Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9256 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9256 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19945-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 469/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/04/2023 R.G.N. 112/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
30/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto patto di non
concorrenza – corrispettivo –
valutazione della sua congruità ex
ante – necessità
– criteri – autonomia del
patto
R.G.N. 19945/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 30/01/2025
CC
RILEVATO CHE
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data 14 dicembre 2015, Intesa Sanpaolo Private Banking s.p.a. adiva il Tribunale di Milano, sezione lavoro, al fine di sentir inibire a NOME COGNOME, suo ex dipendente quale private banker, previo accertamento della violazione, da parte di quest’ultimo dell’obbligo di fedeltà ex art. 2105 c.c. e del patto di non concorrenza stipulato il 30/11/14, lo svolgimento dell’attività concorrenziale a favore di Allianz Bank Financial Advisor s.p.a. fino alla naturale scadenza del patto (20 mesi successivi alla data di cessazione del rapporto lavorativo, avvenuta il 17/11/15 per dimissioni) e di ottenere il risarcimento dei danni (patrimoniali e non) subiti come quantificati in ricorso o in subordine, nell’ipotesi di nullità del patto di non concorrenza, al fine di ottenere la restituzione degli importi percepiti dal predetto a titolo di corrispettivo del suddetto patto.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 2673/16, dichiarava nullo il patto di non concorrenza in quanto contrastante con il disposto dell’art. 2125 c.c. per l’indeterminatezza e l’incongruità del corrispettivo pattuito (somma lorda di € 10.000 all’anno, da pagarsi in 2 rate semestrali posticipate per 3 anni, pari al 17,5% della RAL), e condannava il Cristiano alla restituzione degli importi percepiti come compenso del patto ai sensi dell’art. 2033 c.c.. Rigettava nel resto il ricorso e respingeva altresì le domande avanzate dal Cristiano in via riconvenzionale ed aventi ad oggetto l’accertamento della giusta causa di recesso ed il risarcimento del danno.
La Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 1884/17 rigettava l’appello di Intesa Sanpaolo Private Banking s.p.a. sulla accertata invalidità del patto di non concorrenza e, in accoglimento dell’appello incidentale, riformava la decisione di
primo grado in punto spese processuali, che venivano interamente compensate, mentre le spese del grado erano poste a carico della Banca. La Corte territoriale, richiamando altra pronuncia in controversia analoga (Corte App. Milano n. 1469/17), condivideva la valutazione del giudice di prime cure in ordine alla nullità del patto (ed alla conseguente restituzione di quanto percepito a tale titolo) per la indeterminatezza/indeterminabilità e per la incongruità del corrispettivo, derivando la nullità dal fatto che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima della scadenza del triennio, come nel caso di specie, al dipendente non sarebbe spettato l’intero importo di € 30.000,00, bensì un importo (appunto non determinabile, né determinato) collegato alla durata effettiva del rapporto di lavoro.
Avverso la predetta sentenza Intesa Sanpaolo Private Banking s.p.a. proponeva ricorso per cassazione affidato a 8 motivi, cui resisteva con controricorso il lavoratore. La Corte di cassazione con ordinanza n. 33424/22 accoglieva il terzo motivo di ricorso (nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per assenza di motivazione, contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, motivazione apparente, irriducibile contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione ove si affermava, da un lato, che il corrispettivo del patto di non concorrenza era indeterminato ed indeterminabile nel suo ammontare e, dall’altro, che era incongruo), dichiarava assorbiti gli altri motivi, cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Con sentenza n. 469/2023 del 27.4.2023 la Corte d’appello di Milano decidendo in sede di rinvio, dichiarava la nullità del patto di non concorrenza sottoscritto tra le parti in data
30/11/14 e condannava il Cristiano alla restituzione degli importi netti percepiti a titolo di corrispettivo del patto di non concorrenza, oltre ad interessi legali dal dovuto al saldo. In particolare, per quanto ancora rileva, la Corte milanese, premesso che, in ottemperanza al principio di diritto espresso da questa Corte con l’ordinanza n. 33424/22, doveva valutare ‘in modo distinto e separato i requisiti di validità del patto di non concorrenza oggetto di causa, trattando, dapprima, la questione relativa alla determinazione e/o determinabilità del corrispettivo e, poi, superato questo primo scrutinio, quella connessa alla proporzionalità del compenso in relazione al sacrificio richiesto al lavoratore’, riteneva che il compenso pattuito per il patto di non concorrenza benché determinabile avendo le parti previsto, per il periodo di efficacia del patto (3 anni), l’erogazione, in costanza di rapporto lavorativo, della somma annua di euro 10.000,00, pagata in due tranche semestrali posticipate, con la conseguenza che il corrispettivo poteva ammontare, al termine del periodo di efficacia del patto, a complessivi euro 30.000,00 – non fosse ‘ adeguato al sacrificio imposto al lavoratore, che ha percepito unicamente la somma lorda di € 10.000,00, quale maturata in costanza di rapporto secondo l’accordo intervenuto, a fronte dell’assunzione di un obbligo di non concorrenza della durata di venti mesi esteso alla regione Lombardia per le mansioni di private banking o per mansioni analoghe (ovvero per la professionalità che il predetto aveva acquisito nel corso degli anni)’. La Corte riteneva che la non congruità del compenso concordato emergesse anche ‘ dal contenuto della clausola n. 7, in forza della quale, nel caso di mutamento di mansioni, da un lato permangono a carico del dipendente le obbligazioni previste nel patto di non concorrenza (…) dall’altro cessa invece immediatamente l’obbligo del datore di lavoro di pagare il relativo corrispettivo ‘.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione la Intesa Sanpaolo Private RAGIONE_SOCIALE s.p.a. affidato a quattro motivi.
Il Cristiano replica con controricorso.
Solo parte controricorrente ha depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3 la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2125 c.c. in combinato disposto con l’art. 1346 c.c. secondo l’interpretazione della norma come fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità per avere la Corte territoriale ritenuto che il patto di non concorrenza, per assicurare la congruità del compenso, avrebbe dovuto prevedere espressamente una specifica clausola sul c.d. minimo garantito che prevedesse il diritto del dipendente all’intero corrispettivo anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro in data antecedente la scadenza del patto. Ad avviso della ricorrente, in tal modo la Corte territoriale avrebbe violato l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui il patto di non concorrenza è autonomo e disgiunto rispetto alle sorti del rapporto di lavoro, sicché non vi era alcuna necessità di prevedere espressamente il diritto del lavoratore all’intero corrispettivo anche in caso di anticipata estinzione del rapporto di lavoro, posto che l’obbligazione di pagamento della banca sussiste indipendentemente da tale specificazione e perdura fino alla scadenza naturale del patto di non concorrenza.
Con il secondo motivo Intesa Sanpaolo Private RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE deduce la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili e per motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ed apparente nella parte in cui ritiene incongruo il corrispettivo in ragione della clausola n. 7 del PNC, confondendo, ancora una
volta e in spregio all’ordinanza di cassazione con rinvio di questa Suprema Corte, il profilo della nullità genetica e/o testuale del patto con quello della incongruità del corrispettivo che non può essere dichiarata in astratto imponendo un’analisi del caso concreto.
Con il terzo motivo, sempre ex art. 360 c.p.c. comma 1, n. 4, si lamenta la nullità della sentenza per contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili e per motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ed apparente per avere la Corte territoriale dapprima accertato che il corrispettivo è indicato nel patto come pari alla somma di euro 30.000 ‘al termine di efficacia del patto’ e, dall’altro, affermato che ‘in caso, invece, di anticipata cessazione del rapporto lavorativo’ il corrispettivo sarebbe limitato alle somme maturate fino a quel momento ‘senza spiegare perché la cessazione del rapporto lavorativo (che è un evento che avviene in fase di esecuzione del contratto di lavoro) dovrebbe incidere sulla determinatezza del corrispettivo del PNC (che invece è un profilo genetico del PNC, contratto funzionalmente collegato ma autonomo dal contratto di lavoro)’.
Con il quarto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c. comma 1, n. 5 per omesso esame di due fatti storici decisivi per il giudizio, ovvero l’avvenuto pagamento del corrispettivo del patto anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro, per dimissioni del dipendente, e l’interruzione dei successivi pagamenti a seguito della scoperta dell’inadempimento avversario oggetto di eccezione ex art. 1460 c.c.. Deduce di aver ritualmente allegato detti fatti storici sia nel primo grado di giudizio (pagg. 6 e 17 ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato nel fascicolo del primo grado di giudizio ISPB) che in grado di appello (pag. 20 ss. atto di appello in
riassunzione ex art. 392 c.p.c. che riporta l’atto di appello originario pag. 20 ss.). Deduce la decisività dell’omissione posto che ‘se la Corte di merito avesse tenuto conto di tali decisivi fatti non sarebbe poi giunta alla errata conclusione che il lavoratore avrebbe ricevuto solo 10.000 euro anziché 30.000 euro e che il patto sarebbe nullo per incongruità del corrispettivo determinato nell’erronea percentuale del 6% circa della RAL anziché nella corretta percentuale del 17,9%. Evidenzia la non ricorrenza dell’ipotesi di ‘doppia conforme’ stante la diversità delle ragioni di fatto poste a base delle decisioni di primo grado e d’appello, atteso che quest’ultima, diversamente da quella di prime cure, non prende in alcuna considerazione né la circostanza che vi sia stato un pagamento di corrispettivo successivo alle dimissioni né l’eccezione di inadempimento invocata da ISPB.
Il primo motivo di ricorso è fondato con assorbimento dei restanti.
5.1. E’ opportuno preliminarmente ricordare che questa Corte ha, ormai, chiarito che, al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, si richiede, innanzitutto, che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c.; se determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell’art. 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato, conseguendo comunque la nullità dell’intero patto alla eventuale sproporzione economica
del regolamento negoziale (Cass. n. 5540 del 01/03/2021, Rv. 660541 – 01; Cass. n. 9790 del 26/05/2020, Rv. 657784 – 01).
5.2. Ciò premesso, occorre osservare che, come puntualmente ricordato anche nell’ordinanza rescindente, questa Corte ha ripetutamente affermato, (Cass. Cass. n. 16489/2009, Rv. 610157 – 01; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 5540 del 2021) che il patto di non concorrenza costituisce una fattispecie negoziale autonoma, dotata di una causa distinta, configurando un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, in virtù del quale il datore di lavoro si obbliga a corrispondere una somma di danaro o altra utilità al lavoratore e questi si obbliga, per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, a non svolgere attività concorrenziale con quella del datore (Cass. n. 2221 del 1988). Il patto di non concorrenza, dunque, anche se è stipulato contestualmente al contratto di lavoro subordinato, rimane autonomo da questo, sotto il profilo prettamente causale. In virtù della predetta autonomia, il rapporto di lavoro si riduce a mera occasione di stipula di quel patto, atteso che quest’ultimo è destinato a regolare i rapporti fra le parti, per definizione, proprio a partire da un momento successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.
5.3. Posto, dunque, che il corrispettivo del patto costituisce il compenso per tale autonoma obbligazione di “non facere”, non rilevando, a tal fine, se lo stesso venga erogato in costanza di rapporto di lavoro oppure al termine o dopo la cessazione di questo, ad es. periodicamente per la durata dell’obbligazione di non facere (cfr. ancora Cass. n. 16489/2009), cristallizandosi, in ogni caso, i rispettivi obblighi al momento della sottoscrizione, la sua congruità va valutata ex ante, ossia alla luce del tenore delle clausole e non per quanto poi in concreto possa accadere.
Pertanto la sentenza impugnata va nuovamente cassata ed il giudice di rinvio dovrà rivalutare la congruità del corrispettivo, secondo una prospettiva ex ante, ma comunque tenendo conto della durata del patto svincolata da quella del rapporto di lavoro.
La trattazione di ogni altra doglianza resta assorbita.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere accolto in parte qua, con la cassazione della gravata sentenza e il rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi di legittimità sopra esposti e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della