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Patto di non concorrenza: la congruità va vista ex ante

La Corte di Cassazione interviene su un caso riguardante la validità di un patto di non concorrenza tra una banca e un suo ex dipendente. La Corte ha stabilito che la congruità del corrispettivo deve essere valutata *ex ante*, cioè al momento della stipula, e non può essere messa in discussione da eventi successivi come le dimissioni anticipate del lavoratore. L’accordo è un contratto autonomo rispetto al rapporto di lavoro, e la sua validità non dipende dalla durata effettiva del rapporto lavorativo. La sentenza della Corte d’Appello è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Patto di non concorrenza: la congruità si valuta alla firma, non dopo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, torna a pronunciarsi su un tema cruciale nel diritto del lavoro: la validità del patto di non concorrenza e i criteri per valutarne il corrispettivo. La decisione chiarisce un principio fondamentale: la congruità del compenso pattuito deve essere valutata con una prospettiva ex ante, cioè al momento della sottoscrizione dell’accordo, indipendentemente dagli eventi successivi come la cessazione anticipata del rapporto di lavoro. Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione per datori di lavoro e dipendenti sulla struttura e l’autonomia di tale accordo.

I fatti di causa

Una nota società di private banking aveva stipulato un patto di non concorrenza con un proprio dipendente, un private banker. L’accordo prevedeva un vincolo di 20 mesi post-cessazione del rapporto e un corrispettivo complessivo di 30.000 euro, da erogare in rate semestrali durante il rapporto di lavoro.

Il dipendente si dimetteva prima del previsto e iniziava a lavorare per una società concorrente. La banca agiva in giudizio per ottenere l’inibitoria dell’attività concorrenziale e il risarcimento dei danni, sostenendo la violazione sia dell’obbligo di fedeltà sia del patto di non concorrenza. In subordine, chiedeva la restituzione delle somme già versate a titolo di corrispettivo.

L’iter processuale: dal Tribunale alla Corte d’Appello

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Milano, in un primo momento, dichiaravano nullo il patto di non concorrenza. La motivazione principale risiedeva nell’indeterminatezza e nell’incongruità del corrispettivo. Secondo i giudici di merito, il fatto che il compenso fosse legato alla durata del rapporto di lavoro lo rendeva incerto: in caso di cessazione anticipata, come avvenuto, il lavoratore non avrebbe percepito l’intero importo pattuito (30.000 euro), ma solo una frazione, rendendo il sacrificio imposto sproporzionato.

La questione giungeva una prima volta in Cassazione, che accoglieva uno dei motivi di ricorso della banca, censurando la contraddittorietà della sentenza d’appello. La Suprema Corte rinviava quindi la causa alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, affinché riesaminasse la validità del patto separando la questione della determinatezza del corrispettivo da quella della sua congruità.

La Corte d’Appello, in sede di rinvio, pur riconoscendo che il compenso era determinabile (10.000 euro annui per tre anni), lo riteneva comunque non congruo e sproporzionato rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore, confermando di fatto la nullità del patto.

L’autonomia del patto di non concorrenza secondo la Cassazione

Avverso quest’ultima decisione, la società bancaria ha proposto nuovamente ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendo assorbiti gli altri, e ha cassato nuovamente la sentenza con rinvio.

Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione di un principio consolidato: il patto di non concorrenza è una fattispecie negoziale autonoma rispetto al contratto di lavoro subordinato. Sebbene spesso stipulato contestualmente, esso ha una causa distinta e una propria autonomia funzionale. Il suo scopo è regolare i rapporti tra le parti dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Il contratto di lavoro, quindi, è solo l’occasione per la stipula del patto, non la sua causa.

La corretta valutazione del corrispettivo nel patto di non concorrenza

Da questa autonomia discende una conseguenza fondamentale: la valutazione della validità del patto, e in particolare della congruità del suo corrispettivo, deve essere effettuata ex ante. Ciò significa che il giudice deve porsi nella stessa posizione delle parti al momento della firma dell’accordo e valutare se, in base alle clausole pattuite, il compenso fosse adeguato al sacrificio richiesto (durata del vincolo, ampiezza territoriale e oggetto dell’attività inibita).

La Corte d’Appello ha errato nel giudicare l’incongruità basandosi su un evento successivo e imprevedibile al momento della stipula, ovvero le dimissioni anticipate del lavoratore. La cessazione del rapporto di lavoro è un evento che attiene alla fase di esecuzione del patto, non alla sua validità genetica. L’obbligo di pagamento del corrispettivo da parte del datore di lavoro, infatti, sussiste indipendentemente dalle sorti del rapporto di lavoro e perdura per tutta la durata del vincolo di non concorrenza.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito che il patto di non concorrenza, essendo un contratto autonomo a prestazioni corrispettive, obbliga il datore di lavoro a versare una somma e il lavoratore a non svolgere attività concorrenziale post-rapporto. La congruità di questo scambio deve essere valutata al momento della sottoscrizione, analizzando il tenore delle clausole. La modalità di erogazione del corrispettivo (durante il rapporto, alla fine o dopo) è irrilevante ai fini della validità, purché l’importo sia determinato o determinabile e non meramente simbolico o manifestamente sproporzionato.

I giudici di legittimità hanno sottolineato che confondere la fase genetica (validità) con quella esecutiva (eventi successivi) del contratto costituisce un errore di diritto. La Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare la congruità del corrispettivo complessivo di 30.000 euro a fronte di un vincolo di 20 mesi, senza farsi influenzare dal fatto che il lavoratore ne avesse percepito solo una parte a causa delle proprie dimissioni.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione cassa nuovamente la sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Milano. Il giudice di rinvio dovrà rivalutare la congruità del corrispettivo secondo una prospettiva ex ante, tenendo conto della durata del patto svincolata da quella del rapporto di lavoro. Questa ordinanza rafforza il principio dell’autonomia del patto di non concorrenza e stabilisce un criterio chiaro per la sua valutazione, offrendo maggiore certezza giuridica a imprese e lavoratori nella redazione e interpretazione di tali accordi.

Come deve essere valutata la congruità del corrispettivo in un patto di non concorrenza?
La congruità del corrispettivo deve essere valutata ex ante, cioè sulla base delle condizioni e delle clausole esistenti al momento della firma del patto, senza considerare eventi successivi come la cessazione anticipata del rapporto di lavoro.

Il patto di non concorrenza è valido se il lavoratore si dimette prima di aver maturato l’intero corrispettivo?
Sì, la validità del patto non è influenzata dalla cessazione anticipata del rapporto di lavoro. Il patto è un contratto autonomo e i suoi requisiti di validità, inclusa la congruità del compenso, si cristallizzano al momento della sottoscrizione. L’obbligo del datore di lavoro di pagare il corrispettivo continua per tutta la durata del vincolo.

Perché il patto di non concorrenza è considerato un contratto autonomo?
È considerato autonomo perché ha una causa e una funzione distinte da quelle del contratto di lavoro. Mentre il contratto di lavoro regola la prestazione lavorativa, il patto di non concorrenza regola il comportamento del lavoratore dopo la fine del rapporto, configurandosi come un contratto a prestazioni corrispettive con una propria specifica finalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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