Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9263 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9263 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31920/2021 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
NOME Elisabetta , elett. dom.ta in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 1021/2021 pubblicata in data 22/07/2021, n.r.g. 460/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- In data 28/02/2012 Intesa Sanpaolo Private Banking spa aveva stipulato con NOME NOME un patto di non concorrenza per la durata di venti mesi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, che
OGGETTO:
patto di non concorrenza corrispettivo – valutazione della sua congruità -necessità ex ante – criteri autonomia del patto
nell’ambito territoriale della regione Lombardia le inibiva di acquisire i clienti – gestiti come private banker presso la stessa società -per conto di altri intermediari finanziari e di svolgere mansioni di private banker per altro intermediario finanziario concorrente. Il corrispettivo previsto era pari ad euro 6.000,00 ogni anno e per tre anni, da versare in due rate semestrali posticipate di pari importo nel corso del rapporto di lavoro.
La banca deduceva che, cessato il rapporto di lavoro per dimissioni del 27/08/2012, la Valentino aveva violato il patto, poiché aveva iniziato a svolgere mansioni di private banker presso Allianz Bank Financial Advisors spa ed aveva sviato numerosi clienti a favore del nuovo datore di lavoro.
Adìva pertanto il Tribunale di Milano per ottenere l’accertamento della violazione del patto di non concorrenza da parte della NOME; l’ordine a quest’ultima di cessare i comportamenti concorrenziali vietati dal patto; la condanna della NOME al risarcimento del danno in misura pari alla clausola penale di euro 24.000,00 prevista nel patto; la condanna della NOME alla restituzione della somma di euro 3.000,00 da lei percepita ma non dovuta in conseguenza del suo inadempimento al patto di non concorrenza.
2.- Con un secondo ricorso la banca adìva il Tribunale di Milano per ottenere la condanna della Valentino, previo accertamento della violazione del patto di non concorrenza, al risarcimento dei danni ulteriori rispetto alla clausola penale, da liquidare in via equitativa in relazione alla perdita del margine di intermediazione (MINT) sul portafoglio da lei stornato, o in subordine nella somma di euro 262.168,32.
3.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale riuniva i due giudizi e poi, in parziale accoglimento delle domande, dichiarava l’avvenuta violazione del patto di non concorrenza e condannava la Valentino al risarcimento del danno, liquidato in euro 262.168,32.
4.- Con sentenza n. 1469/2017 l a Corte d’Appello di Milano , in riforma della decisione di primo grado e in accoglimento dell’appello incidentale della Valentino, rigettava le domande della banca, dichiarando la nullità del patto di non concorrenza per indeterminatezza e indeterminabilità del corrispettivo e conseguente impossibilità -per il lavoratore e per il giudice -di verificare la sua congruità.
5.- Questa Corte di legittimità, con ordinanza n. 5540/2021, dichiarava nulla la sentenza d’appello per vizio di motivazione, consistente in un ‘insanabile contraddizione, laddove i giudici d’appello da un lato avevano affermato ‘ che il patto di non concorrenza ha una durata di tre anni e che è previsto un corrispettivo di euro 6.000,00 all’anno ‘, dall’altro avevano poi affermato ‘ l’esatto contrario, ovvero che il patto non prevede una durata minima e non è previsto il pagamento di un importo minimo garantito e predeterminato ‘. Quindi questa Corte disponeva che il giudice di rinvio procedesse ‘ a nuovo esame valutando distintamente la questione della nullità per mancanza del requisito di determinatezza o determinabilità del corrispettivo pattuito tra le parti e, poi, verificando che il compenso, come determinato o determinabile, non fosse simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore, alla riduzione delle sue possibilità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresentava per il datore di lavoro, come dal suo ipotetico valore di mercato ‘.
6.- Riassunto il giudizio, con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello, accertata la determinatezza o comunque la determinabilità del corrispettivo, dichiarava la nullità del patto di non concorrenza per non congruità del corrispettivo, condannava la banca a pagare nuovamente alla Valentino la somma che aveva a suo tempo a lei versato in esecuzione della sentenza di primo grado, detratto quanto dalla stessa percepito a titolo di corrispettivo del patto dichiarato nullo.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
i criteri di determinazione del compenso, in quanto correlati ad una non preventivabile durata del rapporto di lavoro, non sono in grado di assicurare ‘in ogni caso’ un compenso equo e proporzionato al sacrificio imposto al dipendente;
tale criticità trova conferma proprio nel caso in esame, in cui a fronte del sacrificio imposto alla Valentino per 20 mesi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, attesa la concreta durata del rapporto le spetta la somma esigua di euro 3.000,00 lordi,
all’evidenza non proporzionata all’obbligo di non concorrenza a lei imposto;
al riguardo si intende applicare il principio di diritto affermato da Cass. sez. un. n. 9140/2016 e da Cass. sez. un. n. 22437/2018;
l’applicazione del meccanismo delineato nel patto che non prevede, in caso di anticipata risoluzione del rapporto di lavoro, una somma minima garantita -ha portato alla liquidazione di un corrispettivo di soli euro 3.000,00, pari a circa il 6% del compenso lordo annuale percepito dalla Valentino, laddove la Suprema Corte ha ritenuto congruo un compenso per il patto di non concorrenza che sia almeno pari al 10% della retribuzione annua lorda (Cass. n. 7835/2006).
7.- Avverso tale sentenza Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
8.- NOME ha resistito con controricorso e poi ha depositato memoria.
9.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e per motivazione oggettivamente incomprensibile ed apparente, per avere la Corte territoriale dapprima accertato che il corrispettivo è indicato nel patto come pari alla somma annua di euro 6.000,00 per ogni anno di durata del patto (tre anni), per un totale di euro 18.000,00, poi conclude però che, in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro prima dei tre anni di durata del patto, il lavoratore non avrebbe diritto al percepimento del residuo corrispettivo, il che renderebbe incongruo il corrispettivo.
Il motivo è infondato.
Nella parte iniziale del suo ragionamento la Corte territoriale, esaminando il requisito della determinatezza o determinabilità del corrispettivo, ha affermato che ‘in linea di massima’ (v. sentenza impugnata, p. 12) il corrispettivo è determinabile in funzione del periodo di efficacia del patto (tre anni) e della prevista somma annua di euro 6.000,00, sicché il corrispettivo ‘può’ ammontare, al termine del periodo di efficacia del patto,
a complessivi euro 18.000,00, mentre in caso di anticipata cessazione del rapporto di lavoro, il corrispettivo è limitato alle somme maturate fino a quel momento.
In entrambi i casi -rapporto di lavoro che cessa allo scadere del triennio di durata del patto oppure dopo; rapporto di lavoro che cessa prima della scadenza del triennio di durata del patto -la Corte territoriale ha ritenuto che il corrispettivo sia determinato nel primo caso, determinabile nel secondo. E quindi ha concluso che, sotto questo profilo, il patto sarebbe valido.
E’ poi passata a valutare la congruità del corrispettivo, secondo quella metodologia di indagine indicata da questa Corte di legittimità nell’ordinanza rescindente.
Sotto questo diverso profilo la Corte territoriale ha ritenuto che la modalità di determinazione del compenso non fosse tale da assicurare ‘in ogni caso’ la sua congruità, specie nell’ipotesi di anticipata cessazione del rapporto di lavoro prima dello scadere del triennio di durata del patto (v. sentenza impugnata, p. 13, pen.cpv.: ‘ … la clausola in esame, già con la sua formulazione ed i criteri di determinazione del compenso correlati ad una non prevedibile durata del rapporto lavorativo, non appare in grado di assicurare in ogni caso un compenso equo e proporzionato al sacrificio imposto al dipendente (tenuto conto che le obbligazioni in capo a quest’ u ltimo rimangono comunque inalterate) … ‘). In tal caso la Corte territoriale ha ritenuto che il compenso spettante fosse limitato alla durata intercorsa fra la stipula del patto di non concorrenza e la cessazione del rapporto di lavoro, in conseguenza del metodo di pagamento del corrispettivo a carico della banca, indicato nella clausola contrattuale come riferito al semestre (posticipato) di ogni anno di durata del rapporto di lavoro. Sotto questo profilo ha ritenuto pertanto non congruo il corrispettivo, qualora -come nella specie -quello dovuto fosse limitato ad una somma inferiore al 10% della retribuzione annua lorda.
Ragionando in tal modo non è incorsa in alcuna contraddizione, poiché i due piani di indagine -quello della determinatezza o determinabilità del corrispettivo e quello della sua congruità -sono del tutto distinti, come già affermato da questa Corte nell’ordinanza rescindente n. 5540/2021. Ne
deriva che l’esito della prima indagine non ha alcuna influenza sulla seconda.
Neppure sussiste il vizio di motivazione apparente, risultando soddisfatto il c.d. minimo costituzionale delle ragioni addotte per spiegare l’iter logico -giuridico seguito per pervenire ad un determinato convincimento e, quindi, ad una determinata decisione.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, relativo alla contestazione stragiudiziale dell’inadempimento dell’ex dipendente al patto di non concorrenza, quale unica ragione per la quale l’ulteriore parte del compenso di euro 18.000,00 non era stato versato, ai sensi dell’art. 1460 c.c. in termini di eccezione di inadempimento.
Il motivo è fondato.
Nella sentenza impugnata non vi è alcun cenno alla contestazione dell’inadempimento, effettuata dalla banca con la raccomandata del 04/10/2012 (doc. 14 fasc. ricorrente) e alla conseguente eccezione di inadempimento, sollevata dalla banca sin nel suo ricorso introduttivo del 13/12/2013 (v. ricorso per cassazione, p. 21 ss.), quale ragione di interruzione del pagamento del compenso ai sensi dell’art. 1460 c.c.
Questo fatto storico -la contestazione stragiudiziale dell’inadempimento -era stato oggetto di discussione fra le parti, ma non è stato in alcun modo esaminato dalla Corte territoriale, che si è limitata a rilevare il mancato pagamento del compenso residuo e a considerarlo ‘comportamento successivo’ idoneo a corroborare la sua interpretazione del patto in termini di stretta correlazione fra compenso e durata del rapporto di lavoro.
Questo fatto è altresì ‘decisivo’, perché se rilevato, attribuisce a quel mancato pagamento del residuo compenso tutt’altro significato, idoneo altresì a pregiudicare l’interpretazione del patto compiuta dalla Corte territoriale e, quindi, a condurre ad una decisione opposta.
Pertanto la sentenza impugnata va nuovamente cassata ed il giudice di rinvio dovrà rivalutare la congruità del corrispettivo, secondo una prospettiva ex ante , ma comunque tenendo conto della durata del patto svincolata da quella de l rapporto di lavoro, attesa l’autonomia più volte affermata da questa Corte, come puntualmente ricordato anche
nell’ordinanza rescindente del patto rispetto al rapporto di lavoro. In virtù della predetta autonomia, il rapporto di lavoro si riduce a mera occasione di stipula di quel patto, atteso che quest’ultimo è destinato a regolare i rapporti fra le parti, per definizione, proprio a partire da un momento successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Quindi è del tutto accidentale -e come tale irrilevante anche ai fini interpretativi -il fatto che il patto di non concorrenza venga stipulato all’inizio o durante il corso del rapporto di lavoro, oppure ancora in prossimità della sua cessazione.
Infine, il giudice di rinvio dovrà altresì tenere conto del fatto che, nel caso concreto, il mancato pagamento delle rate successive all’estinzione del rapporto di lavoro non è dimostrativo di una riparametrazione del compenso del patto, bensì frutto di un’eccezione di inadempimento e quindi non può assurgere a comportamento successivo delle parti (art. 1362 c.c.) utile ai fini interpretativi delle clausole del patto.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2125 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che il patto di non concorrenza, per assicurare la congruità del compenso, avrebbe dovuto prevedere espressamente il diritto del dipendente all’intero corrispettivo anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro in data antecedente la scadenza del patto. Ad avviso della ricorrente, in tal modo la Corte territoriale avrebbe violato l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui il patto di non concorrenza è autonomo e disgiunto rispetto alle sorti del rapporto di lavoro, sicché non vi era alcuna necessità di prevedere espressamente il diritto del lavoratore all’intero corrispettivo anche in caso di anticipata estinzione del rapporto di lavoro.
Il motivo è fondato, in considerazione del principio di autonomia -più volte affermato da questa Corte, come puntualmente ricordato anche nell’ordinanza rescindente del patto di non concorrenza rispetto al rapporto di lavoro. Dunque, la congruità del corrispettivo va valutata ex ante , ossia alla luce del tenore delle clausole e non per quanto poi in concreto possa accadere.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c. per avere la Corte territoriale interpretato il patto di non concorrenza nel
senso dell’esclusione del diritto del lavoratore all’intero corrispettivo nel caso di anticipata risoluzione del rapporto di lavoro in data anteriore alla scadenza del termine triennale di durata del patto, senza considerare la portata letterale e sistematica degli art. 4) e 8) del patto.
Il motivo è assorbito.
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1418 e 1325 c.c., come interpretati da Cass. sez. un. n. 26724/2007, per avere la Corte territoriale fatto discendere la nullità del patto (vizio genetico) dalla condotta tenuta dalle parti in sede di esecuzione del contratto, ossia alla luce del pagamento effettivo del corrispettivo nel minor importo -ritenuto non congruo -di euro 3.000,00.
Il motivo è assorbito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo; rigetta il primo; dichiara assorbiti il quarto ed il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in