Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12761 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12761 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22795/2023 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
-resistente –
Avverso l’ordinanza ex art. 702ter cod. proc. civ. recante R.G. n. 650/2022, resa dal Tribunale di Foggia in data 21/11/2023, comunicata in pari data, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 aprile 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME propose ricorso, dinanzi al Tribunale di Foggia, nei confronti del Ministero della Giustizia, avverso il provvedimento di revoca del patrocinio a spese dello Stato disposto nel giudizio R.G. 7319/19.
Il Tribunale adito accolse la domanda con ordinanza resa in data 26 marzo 2021, che fu impugnata in sede di legittimità dal medesimo NOME con ricorso del 8/4/2021, sul presupposto che le spese, sulle quali il giudice di merito aveva dichiarato di non dover statuire, andassero poste a carico del Ministero resistente.
Questa Corte, con ordinanza n. 962/2022, in accoglimento del ricorso, cassò la decisione e dispose il rinvio dinanzi al Tribunale di Foggia in diversa composizione perché decidesse sulle spese.
All’esito del giudizio di riassunzione, instaurato dal medesimo ricorrente, che chiese la condanna del Ministero al pagamento delle spese in relazione al procedimento R.G. 8826/2019, si concluse, nella contumacia del Ministero, con l’ordinanza del 21/11/2023, con la quale il Tribunale di Foggia liquidò le spese del giudizio di opposizione nella misura di euro 856,50 per compensi professionali, quelle del giudizio di legittimità nella misura di euro 892,50 e quelle del giudizio di rinvio in euro 639,00, oltre ad accessori di legge, disponendone in tutti e tre i casi la distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario.
NOME propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Il Ministero della Giustizia deposita atto di costituzione chiedendo il rigetto del ricorso.
Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale -dichiaratosi antistatario – ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
1. In via pregiudiziale, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione dell’intimato Ministero della Giustizia, tardivamente effettuata con un atto denominato «atto di costituzione», non qualificabile come controricorso, sostanziandosi il relativo contenuto nella mera dichiarazione di costituirsi in giudizio «con il presente atto al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 cod. proc. civ., primo comma». Risulta, infatti, in tal modo, violato il combinato disposto di cui agli artt. 370 cod. proc. civ. e 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in base ai quali il controricorso deve, a pena di inammissibilità, contenere l’esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, costituendone requisito essenziale (tra le tante Cass. n. 23921/2020; Cass. n. 27557/2022; Cass., Sez. 1, 6/4/2024, n. 5983).
2.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 384 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per essersi il giudice del rinvio discostato da quanto statuito dalla Suprema Corte, la quale aveva espresso il principio di diritto secondo cui « Il difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato che, ai sensi degli artt. 84 e 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), proponga opposizione avverso il decreto di pagamento dei compensi, agisce in forza di una propria autonoma legittimazione a tutela di un diritto soggettivo patrimoniale; ne
consegue che il diritto alla liquidazione degli onorari del procedimento medesimo e l’eventuale obbligo del pagamento delle spese sono regolati dalle disposizioni di cui agli artt. 91 e 92, commi 1 e 2, c.p.c. relative alla “responsabilità delle parti per le spese” (Cass. n. 7072/2018; n. 27247/2011) ».
2.2 Il primo motivo è inammissibile.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di Cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito (tra le tante Cass., Sez. 6-3, 28/5/2018, n. 13312; Cass., Sez. 6-3, 3/2/2015, n. 1926).
Il principio di autosufficienza non risponde, invero, a un’esigenza di mero formalismo, ma è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione, e a consentire di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti e atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass., Sez. 3, 12/1/2024, n. 1352; Cass., Sez. 5, 4/10/2018, n. 24340).
In particolare, il n. 4 del primo comma dell’art. 366 cod. proc. civ. impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, primo
comma, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge (o eventualmente il principio di diritto) di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (in tal senso, Cass., Sez. U., 28/10/2020, n. 23745; Cass. Sez. 6 – 1, 24/02/2020, n. 4905), né consentendosi altrimenti ad essa di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione in assenza di indicazioni su quali siano state le modalità e sotto quale profilo essa sia stata realizzata (Cass., Sez. 3, 28/10/2002, n. 15177; Cass., Sez. 2, 26/01/2004, n. 1317; Cass., Sez. 6 – 5, 15/01/2015, n. 635; Cass. Sez. 3, 11/7/2014, n. 15882, Cass. Sez. 3, 2/4/2014, n. 7692).
Nella specie, il ricorrente si è limitato a riportare il principio espresso da questa Corte in fase rescindente e la decisione assunta dal giudice del rinvio in fase rescissoria, senza in alcun modo spiegare sotto quale profilo si fosse sostanziata la dedotta violazione del citato art. 384 cod. proc. civ..
3. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 132 secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111, comma sesto, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., e l’incoerenza della motivazione tra parti della stessa tra loro inconciliabili, perché il giudice del merito, dopo avere detto di dover regolare le spese ai sensi dell’art. 91 cod. proc. civ., le aveva poi poste a carico dell’erario come se il ricorrente fosse stato a sua volta ammesso al patrocinio a spese
dello Stato anche per il giudizio di opposizione al provvedimento di revoca e successive fasi, compreso il giudizio di rinvio.
Con il terzo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e l’errata applicazione del d.P.R. 115/2002, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice del merito omesso di liquidare le competenze e le spese come da soccombenza del Ministero e a carico dello stesso e disposto la liquidazione a carico dell’Erario in assenza di domanda. Il giudizio di opposizione davanti al Tribunale di Foggia era stato formulato senza chiedere l’ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato, mentre la relativa ordinanza era stata impugnata in quanto aveva mancato di regolare le spese secondo il criterio della soccombenza, sicché il giudice del rinvio avrebbe dovuto liquidare le spese a carico del Ministero soccombente ai sensi dell’art. 91 cod. proc. civ., sia per il giudizio di opposizione, sia per quello di legittimità, sia per quello di rinvio, per i quali erano stati corrisposti il contributo unificato e la marca da bollo.
Con il quarto motivo, si lamenta, infine, la violazione degli artt. 99 e 101 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché il giudice di merito aveva liquidato le spese dei due gradi e delle due fasi precedenti a carico dell’Erario in assenza di domanda. La decisione si poneva anche ultra petita, in quanto aveva disposto su una domanda, quella dell’ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato, che l’attore non aveva promosso col giudizio di rinvio, né nelle precedenti fasi.
6.1 Il secondo, terzo e quarto motivo sono da trattare congiuntamente in quanto affrontano la medesima questione dell’avvenuta liquidazione delle spese del procedimento di opposizione, di quello di legittimità e di quello di rinvio come se, rispetto ad essi, vi fosse stata l’ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato, lamentando la contraddittorietà della motivazione nella
parte in cui viene citato il principio di diritto espresso in sede di giudizio rescindente, per poi liquidare le spese secondo le norme del Patrocinio a Spese dello Stato (secondo motivo), la violazione di legge in relazione alla condanna dell’Erario (secondo motivo) e la decisione ultra petita per avere disposto in tal senso in assenza di domanda.
Tutte e tre le censure sono infondate.
6.2 Quanto al difetto di motivazione, occorre osservare come, dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, non siano più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257;
Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez . 3, 12/10/2017, n. 23940).
Nella specie, i giudici di merito hanno adeguatamente motivato, allorché hanno ritenuto di applicare il principio di diritto espresso da questa Corte, che imponeva di liquidare le spese nei confronti della parte soccombente anche nel giudizio di opposizione al provvedimento revoca dell’ammissione al beneficio del Patrocinio a Spese dello Stato, provvedendo alla loro quantificazione e condannando al pagamento la parte soccombente.
6.3 Quanto alla violazione di legge e alla pronuncia extra petita , per avere i giudici condannato l’Erario alle spese in assenza di domanda di ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato, occorre innanzitutto osservare come non violi il principio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ. il giudice che esamini questioni non specificamente proposte o sviluppate dalla parte, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte e, in quanto tali, comprese nel thema decidendum del giudizio (Cass., Sez. L, 03/04/2017, n. 8604), come nella specie la disciplina applicabile alla condanna alle spese nel procedimento di opposizione al provvedimento di revoca dell’ammissione al beneficio in questione.
A tal proposito, occorre partire dal principio secondo cui l’ammissione della parte al beneficio del Patrocinio a Spese dello Stato si estende al procedimento di opposizione alla revoca del beneficio, costituendo quest’ultimo un procedimento derivato, accidentale, ma comunque connesso al processo principale (Cass., Sez. 2, 5/12/2022, n. 35691).
Conduce a tale risultato l’esegesi della disposizione generale (applicabile in ogni ambito penale, civile, amministrativo, contabile e tributario) contenuta nell’art. 75, primo comma, del d.P.R. n. 115
del 2002, secondo cui ‘ l’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate e accidentali, comunque connesse ‘, la quale, come osservato di recente da Cass., Sez. 2, 2/11/2023, n. 30380, in parte qua non massimata, «impone di affermare che l’ammissione riguarda non solo il processo per cui è stata disposta, ma anche i procedimenti di carattere strumentale che ne possano scaturire (da notare la consapevole, e dunque significativa, distinzione adoperata nella norma tra il ‘processo’ e le ‘procedure’), ivi inclusi quelli inerenti alla stessa domanda di ammissione, senza necessità di dover riproporre, per ciascuno di questi ultimi, altrettante nuove ed autonome richieste di ammissione. Tale interpretazione non è contraddetta né dalla previsione dell’art. 136, terzo comma, stesso d.P.R., in base al quale la revoca, salvo sia determinata dalla modifica delle condizioni reddituali, ha efficacia retroattiva, né dalla giurisprudenza di questa Corte, che vi riconnette effetto immediato (cfr. Cass., Sez. 62, 6/12/2017, n. 29144)», sia perché l’efficacia retroattiva esclude ogni obbligo di pagamento a carico dello Stato per l’attività difensiva pregressa, sia perché l’effetto immediato serve ad evitare che la parte reiteri la condotta abusiva in sede di impugnazione, continuando a beneficiare del patrocinio, così da pregiudicare la possibilità che lo Stato recuperi le spese anticipate. In questi termini, osserva la ridetta pronuncia, si sono espresse anche le Sezioni penali di questa Corte allorché hanno osservato che, «in tema di patrocinio dei non abbienti, il difensore ha diritto alla liquidazione anche dei compensi relativi all’attività svolta nel procedimento di opposizione al provvedimento di rigetto della domanda di ammissione al beneficio. Per un verso, infatti, il d.P.R. n. 115 del 2002 non fa decorrere gli effetti dell’ammissione al patrocinio dalla data del relativo provvedimento, bensì da quella in
cui è stata presentata la domanda, per l’altro, il medesimo decreto espressamente estende gli effetti dell’ammissione a tutte le procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse al procedimento penale, tra le quali deve essere annoverata quella originata dal rigetto della domanda di ammissione» (Cass. Pen., Sez. 4, 27/06/2007, n. 29990; Cass. Pen., Sez. 3, 04/04/2018, n. 22757in motivazione; Cass. Sez. U pen. n. 25931/08).
Ciò comporta che il difensore della parte ammessa al Patrocinio che abbia svolto la sua attività difensiva nella procedura di opposizione (o subprocedimento) a carattere incidentale, avente ad oggetto il provvedimento di revoca dell’ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato, ha diritto ad una remunerazione soggetta alla riduzione di cui all’art. 130 T.U. n. 115 del 2002, diversamente da quanto accade nel caso in cui l’opposizione sia proposta dal difensore avverso il decreto di liquidazione, le cui spese non sono soggette ad alcuna riduzione, in quanto, esauritasi la prestazione resa a favore del soggetto patrocinato, l’oggetto del contendere verte unicamente sulla misura del compenso (Cass., Sez. 2, 5/12/2022, n. 35691), posto che nel primo caso sussiste la legittimazione dell’interessato, ovvero propriamente della parte che si vuole avvalere del patrocinio a carico dello Stato, o che vi sia stata ammessa ma il cui beneficio sia stato poi revocato, mentre nel secondo sussiste l’esclusiva legittimazione del difensore in proprio (cfr. Cass., Sez. 6-2, 7/1/2022, n. 35691; Sez. 6 2, 7/1/2022, n. 286; Cass., Sez. 2, 15/5/2014, n. 10705; Cass., Sez. 6-2, 27/1/2015, n. 1539; Cass., Sez. U, 23/12/2016, n. 26907/2016).
Alla luce di tali principi, correttamente i giudici di merito hanno dunque posto le spese del giudizio a carico dell’Erario. Consegue da quanto detto l’infondatezza delle censure.
In conclusione, dichiarata l’inammissibilità del primo motivo e l’infondatezza dei restanti, il ricorso deve essere rigettato. Nulla sulle spese, non avendo il Ministero svolto difesa.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va applicato -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., da interpretarsi alla stregua del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con l’ordinanza n. 27195 del 22/09/2023, secondo cui la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ. in favore della cassa delle ammende deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16/4/2025.