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Passaggio dipendenti pubblici: la Cassazione decide

Un dipendente comunale, addetto al servizio idrico, si oppone al trasferimento presso la società privata subentrata nella gestione del servizio. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32773/2024, stabilisce che il passaggio dei dipendenti pubblici in questi casi è automatico e non richiede il consenso del lavoratore. La normativa, infatti, configura una fattispecie legale di trasferimento finalizzata a garantire la continuità occupazionale, applicando la disciplina del trasferimento d’azienda (art. 2112 c.c.). Il rifiuto del lavoratore è quindi irrilevante.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Passaggio Dipendenti Pubblici: Il Trasferimento è Automatico e non Richiede Consenso

Introduzione: Esternalizzazione dei Servizi e Tutela del Lavoro

Il tema del passaggio dipendenti pubblici da un ente locale a una società privata che ne acquisisce la gestione di un servizio è di grande attualità e solleva importanti questioni legali. Cosa succede al rapporto di lavoro? Il dipendente può rifiutare il trasferimento e scegliere di rimanere nell’organico dell’ente di provenienza? Con l’ordinanza n. 32773 del 2024, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale: il trasferimento avviene ope legis, ovvero per effetto diretto della legge, e il consenso del lavoratore è irrilevante.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un dipendente di un Comune, con la qualifica di operatore fontaniere, impiegato presso il servizio idrico. In seguito alla decisione di esternalizzare la gestione di tale servizio, il lavoratore viene posto in comando presso la nuova società concessionaria. Successivamente, il Comune delibera il trasferimento definitivo del personale addetto al servizio idrico presso la società privata.
Il lavoratore, tuttavia, manifesta la sua volontà di non trasferirsi, forte di una presunta facoltà di opzione per rimanere alle dipendenze dell’ente locale. Di fronte al rifiuto di una formale offerta di assunzione da parte della società e alla conseguente cessazione del comando, il dipendente si ritrova senza lavoro e avvia un contenzioso legale per chiedere di essere reintegrato nel Comune o, in subordine, di veder riconosciuto il suo diritto al passaggio diretto presso la società, con risarcimento del danno.
I giudici di primo e secondo grado riconoscono il diritto del lavoratore alla prosecuzione del rapporto con la nuova società, ma è sul risarcimento del danno che la questione approda in Cassazione.

Il Passaggio Dipendenti Pubblici secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato le argomentazioni della società, la quale sosteneva che il rifiuto del lavoratore di accettare il trasferimento la liberasse da ogni obbligo. I giudici hanno chiarito che la normativa di riferimento (in particolare l’art. 31 del D.Lgs. 165/2001 e l’art. 173 del D.Lgs. 152/2006) delinea una fattispecie legale tipica di passaggio di personale.
Questo significa che il legislatore ha previsto un meccanismo automatico di trasferimento dei rapporti di lavoro, un ‘travaso’ diretto e immediato del personale dall’ente pubblico al gestore privato. Lo scopo di questa previsione è duplice: da un lato, garantire l’efficienza nella riorganizzazione del servizio; dall’altro, attuare una ‘clausola sociale’ per salvaguardare i livelli occupazionali e la continuità dei rapporti di lavoro.

L’Irrilevanza del Consenso del Lavoratore

Il punto centrale della decisione è che, essendo un trasferimento necessitato dalla legge, non assume alcun rilievo il consenso o il dissenso del lavoratore. La vicenda traslativa trova la sua fonte esclusiva nella legge, non in un accordo tra le parti. La normativa richiama espressamente la disciplina del trasferimento di ramo d’azienda (art. 2112 c.c.), che assicura al lavoratore la conservazione di tutti i diritti derivanti dal rapporto di lavoro precedente. La tutela è quindi già insita nella legge e non dipende da una scelta individuale.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha spiegato che la normativa sul passaggio dipendenti pubblici in caso di esternalizzazione di servizi è concepita per proteggere il lavoratore, garantendogli la continuità del posto di lavoro con il nuovo gestore. Questa garanzia è automatica. Di conseguenza, l’eventuale rifiuto del dipendente è un atto privo di rilievo giuridico, incapace di impedire il perfezionamento del trasferimento. La Corte ha inoltre osservato che l’erroneo convincimento del lavoratore di poter scegliere di rimanere presso l’ente locale era stato ingenerato dalla ‘improvvida condotta degli enti coinvolti’, che non avevano chiarito la natura obbligatoria del passaggio. Pertanto, tale rifiuto non poteva essere usato dalla società per negare il risarcimento del danno derivante dal ritardo nell’effettiva immissione in servizio.

Conclusioni

La Corte di Cassazione ha stabilito il seguente principio di diritto: nel pubblico impiego contrattualizzato, quando un’attività viene trasferita da un ente pubblico a un gestore privato, si configura una fattispecie legale di passaggio. Questo trasferimento è diretto, immediato e necessitato, rendendo irrilevante il consenso del lavoratore. L’ente gestore è vincolato a garantire la continuità occupazionale del personale trasferito, applicando le tutele previste per il trasferimento di ramo d’azienda. Questa pronuncia consolida un orientamento volto a bilanciare le esigenze di riorganizzazione della pubblica amministrazione con la fondamentale tutela dei diritti dei lavoratori.

Nel passaggio di dipendenti da un ente pubblico a un gestore privato di un servizio, è necessario il consenso del lavoratore?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il trasferimento del personale avviene ‘ope legis’, cioè per effetto diretto della legge. Si tratta di una fattispecie legale tipica di passaggio in cui il consenso o il rifiuto del lavoratore sono giuridicamente irrilevanti.

Qual è lo scopo della normativa che regola il passaggio dei dipendenti pubblici in caso di esternalizzazione?
La normativa ha lo scopo di salvaguardare i rapporti di lavoro e garantire la continuità occupazionale. Si tratta di una ‘clausola sociale’ che protegge i dipendenti, assicurando che il loro rapporto di lavoro prosegua senza interruzioni con il nuovo gestore, mantenendo i diritti acquisiti.

Se un dipendente rifiuta il trasferimento, il nuovo gestore è comunque obbligato ad assumerlo?
Sì. Poiché il trasferimento è automatico e necessitato per legge, il rifiuto del lavoratore non impedisce il passaggio del rapporto di lavoro. Il nuovo gestore rimane vincolato al rispetto della garanzia di continuità occupazionale prevista dalla normativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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