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Parità di trattamento e contratti diversi: la Cassazione

Una dipendente pubblica ha richiesto un’indennità di posizione pari a quella di una collega con la stessa mansione ma proveniente da una diversa zona territoriale, successivamente accorpata. La Corte di Cassazione ha stabilito che il principio di parità di trattamento non si applica se la disparità economica deriva da differenti contratti collettivi decentrati preesistenti all’accorpamento. L’eventuale ritardo dell’amministrazione nel creare un nuovo sistema retributivo unificato può dar luogo a un risarcimento del danno, ma non a un automatico adeguamento della retribuzione.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Parità di trattamento nel Pubblico Impiego: i limiti fissati dalla Cassazione

Il principio di parità di trattamento è un pilastro del diritto del lavoro, ma la sua applicazione può presentare complesse sfaccettature, specialmente nel settore del pubblico impiego privatizzato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sui limiti di questo principio quando le differenze retributive derivano da distinti contratti collettivi decentrati, anche in caso di fusione tra enti. Analizziamo la vicenda per comprendere la portata di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Richiesta di Adeguamento Retributivo

La controversia nasce dalla richiesta di una dipendente di un’azienda sanitaria pubblica. Dopo il pensionamento, la lavoratrice aveva citato in giudizio l’ex datore di lavoro per ottenere il pagamento di differenze retributive. In particolare, chiedeva che la sua indennità di posizione organizzativa fosse adeguata a quella, di importo superiore, percepita da un’altra collega che svolgeva le medesime mansioni ma era in servizio presso una diversa Zona territoriale. Successivamente, un processo di riorganizzazione amministrativa aveva portato all’accorpamento di entrambe le Zone territoriali in una nuova e più ampia ‘Area Vasta’. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione alla lavoratrice, condannando l’azienda sanitaria al pagamento delle differenze.

La Decisione della Corte: la parità di trattamento e la Contrattazione Collettiva

La Corte di Cassazione, ribaltando le decisioni dei gradi precedenti, ha accolto il ricorso dell’azienda sanitaria. I giudici hanno chiarito che il principio di parità di trattamento, sancito dall’art. 45 del D.Lgs. 165/2001, opera all’interno del sistema di inquadramento definito dalla contrattazione collettiva. Esso vieta trattamenti individuali peggiorativi o migliorativi ingiustificati, ma non serve a livellare le differenze che trovano la loro origine in pattuizioni collettive distinte e legittime.

Il Ruolo dei Contratti Collettivi Decentrati

Nel caso specifico, le diverse misure delle indennità erano state stabilite da due differenti contratti collettivi integrativi, sottoscritti a livello delle singole Zone territoriali (Jesi e Fabriano) prima della loro fusione. Queste pattuizioni, frutto dell’autonomia negoziale delle parti sociali a livello locale, avevano legittimamente fissato importi diversi per la stessa posizione organizzativa, utilizzando fondi distinti e separati. Pertanto, la disparità non derivava da una scelta datoriale unilaterale e discriminatoria, ma dall’applicazione di fonti contrattuali diverse.

Le Conseguenze dell’Accorpamento Amministrativo

La Corte ha sottolineato che l’accorpamento delle due Zone territoriali nella nuova ‘Area Vasta’ non ha comportato un’estensione automatica del trattamento economico più favorevole. L’istituzione della nuova unità organizzativa imponeva all’amministrazione l’obbligo di avviare una nuova contrattazione per definire una graduazione unitaria degli incarichi e una nuova quantificazione delle indennità per tutta l’Area Vasta. Un eventuale ritardo colpevole dell’amministrazione in questo processo può generare, per i lavoratori penalizzati, un diritto al risarcimento del danno, ma non un diritto a percepire la retribuzione più elevata prevista dal contratto del collega. Di conseguenza, la pretesa della lavoratrice è stata ritenuta infondata sotto il profilo retributivo.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione tra disparità di trattamento derivante da scelte unilaterali del datore di lavoro e quella che origina da fonti collettive. Mentre la prima è illegittima, la seconda è espressione dell’autonomia negoziale delle parti sindacali. Il principio di parità di trattamento non può essere invocato per ‘scegliere’ il contratto collettivo più vantaggioso tra quelli applicabili in diverse unità amministrative, anche se successivamente unificate. L’unificazione crea un obbligo per l’amministrazione di armonizzare i trattamenti, ma questo processo richiede una nuova contrattazione e non avviene in modo automatico. Riconoscere un livellamento verso l’alto immediato sarebbe, inoltre, incompatibile con il principio di invarianza dei fondi disponibili per le retribuzioni accessorie.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio consolidato: nel pubblico impiego privatizzato, l’autonomia della contrattazione collettiva, anche a livello decentrato, è la fonte primaria per la determinazione dei trattamenti economici. Il principio di parità di trattamento non consente di superare le differenze retributive legittimamente stabilite da accordi sindacali diversi. In caso di riorganizzazioni e accorpamenti, i lavoratori che subiscono un pregiudizio a causa dei ritardi dell’amministrazione nel definire un nuovo assetto contrattuale unificato possono agire per il risarcimento del danno, ma non possono rivendicare un automatico adeguamento della propria retribuzione a quella più favorevole prevista in un diverso contratto preesistente.

Un dipendente pubblico può chiedere lo stesso stipendio di un collega con la stessa mansione ma proveniente da un’altra unità amministrativa?
No, se la differenza di stipendio deriva da due diversi e legittimi contratti collettivi decentrati applicati alle rispettive unità amministrative di provenienza, anche se queste vengono successivamente fuse.

Il principio di parità di trattamento si applica sempre nel pubblico impiego?
Si applica per vietare trattamenti individuali discriminatori e ingiustificati decisi unilateralmente dal datore di lavoro, ma non può essere usato per annullare le differenze economiche che trovano fondamento in diverse fonti di contrattazione collettiva.

Cosa succede alle retribuzioni quando due enti pubblici vengono fusi o accorpati?
L’accorpamento non comporta un’estensione automatica del trattamento economico più favorevole. L’amministrazione ha l’obbligo di avviare una nuova contrattazione per armonizzare i trattamenti. Un ritardo colpevole in questo processo può dare diritto ai lavoratori penalizzati a un risarcimento del danno, ma non a un diretto adeguamento retributivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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