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Ore buco: quando sono retribuite a scuola?

Un docente ha richiesto la retribuzione per le cosiddette “ore buco” e un risarcimento per la presunta violazione della Legge 104/1992. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che le ore buco non sono retribuibili se il lavoratore non dimostra di essere rimasto a disposizione del datore di lavoro. Inoltre, ha chiarito che l’assegnazione a una sede distaccata dello stesso istituto scolastico non costituisce un trasferimento ai fini della tutela prevista per i caregiver.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Ore buco: quando l’attesa tra le lezioni va retribuita? L’analisi della Cassazione

Le ore buco nell’orario scolastico rappresentano una questione dibattuta e di grande interesse per tutto il personale docente. Si tratta di quel tempo di attesa tra una lezione e l’altra che, se non gestito correttamente, può frammentare la giornata lavorativa. Ma questo tempo deve essere retribuito? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti decisivi, stabilendo i criteri per cui tali ore possono essere considerate orario di lavoro effettivo.

I Fatti del Caso: Un Docente Contro il Ministero

Un insegnante si era rivolto al tribunale per ottenere il pagamento delle cosiddette “ore buco” accumulate durante un anno scolastico e il risarcimento del danno non patrimoniale. Quest’ultimo derivava, a suo dire, dall’essere stato assegnato a una sede distaccata dello stesso istituto, in violazione delle tutele previste dalla Legge 104/1992, in quanto assisteva la madre affetta da grave disabilità.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le sue richieste. I giudici di merito avevano ritenuto che l’assegnazione a una sede vicina (distante solo un chilometro) non costituisse un “trasferimento” e che, per quanto riguarda le ore di inattività, il docente non avesse né allegato né provato di essere rimasto a disposizione della scuola durante tali intervalli. Insoddisfatto, l’insegnante ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle ore buco

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del docente, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La sentenza si articola su due punti principali: la retribuibilità delle ore buco e l’applicazione delle tutele per i lavoratori caregiver ai sensi della Legge 104/1992.

La Corte ha stabilito che, per ottenere il pagamento delle ore di inattività, non è sufficiente la semplice presenza di intervalli nell’orario. È onere del lavoratore dimostrare che, durante quel tempo, era a disposizione del datore di lavoro e non poteva disporre liberamente del proprio tempo.

Le Motivazioni della Corte

La decisione della Cassazione si fonda su un’analisi rigorosa dei motivi di ricorso presentati dal docente, che sono stati tutti ritenuti infondati.

L’Onere della Prova sulle Ore Buco

Il punto cruciale della controversia sulle ore buco è l’onere della prova. La Corte territoriale aveva evidenziato che l’insegnante non aveva né allegato né dimostrato di essere rimasto a disposizione del datore di lavoro durante gli intervalli tra le lezioni. Il semplice richiamo a tabulati orari che mostravano delle pause non era sufficiente. La Cassazione ha confermato questo orientamento, specificando che la valutazione se il docente fosse libero o meno in quelle ore è una questione di merito, non sindacabile in sede di legittimità. Il ricorrente, inoltre, non aveva provato che quelle ore fossero state impiegate per spostarsi tra le due sedi dell’istituto, un’allegazione che, se provata, avrebbe potuto cambiare l’esito della domanda.

La Violazione della Legge 104/1992: Un’ipotesi esclusa

Anche il motivo relativo alla violazione dei diritti del lavoratore caregiver è stato respinto. La Corte ha chiarito che l’assegnazione a un plesso diverso ma appartenente allo stesso istituto scolastico non configura un “trasferimento”. Di conseguenza, le tutele della Legge 104/1992, che proteggono il lavoratore disabile o il caregiver da trasferimenti non richiesti, non erano applicabili al caso di specie. La lamentela del docente sulla riduzione del tempo a disposizione per l’assistenza alla madre è stata inoltre giudicata troppo generica e non supportata da prove concrete.

Altri motivi di ricorso respinti

La Corte ha rigettato anche gli altri motivi di ricorso, inclusi quelli procedurali relativi alla condanna alle spese legali. Ha infatti confermato la piena legittimità della condanna alle spese a favore della Pubblica Amministrazione anche quando questa è difesa da un proprio funzionario, e ha ribadito che la compensazione delle spese è una facoltà discrezionale del giudice.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ribadisce un principio fondamentale nel diritto del lavoro: chi chiede il pagamento di una prestazione deve provarne i presupposti. Nel caso delle ore buco, il docente deve dimostrare in modo specifico e circostanziato di essere rimasto a disposizione della scuola, senza poter gestire liberamente il proprio tempo. La mera permanenza intra moenia (all’interno dei locali scolastici) non è di per sé sufficiente. Per quanto riguarda la tutela dei caregiver, la sentenza chiarisce che la nozione di “trasferimento” è interpretata in senso restrittivo e non si estende ai semplici spostamenti organizzativi all’interno della medesima unità produttiva o istituto scolastico.

Le “ore buco” di un insegnante devono essere sempre retribuite?
No. Secondo la Corte, le “ore buco” non sono automaticamente retribuite. Il lavoratore deve allegare e dimostrare di essere rimasto a disposizione del datore di lavoro durante tali intervalli, senza potersi allontanare o gestire liberamente il proprio tempo. La semplice esistenza di un’ora di pausa nell’orario non è sufficiente a far scattare il diritto alla retribuzione.

L’assegnazione di un docente caregiver (legge 104/1992) a una sede distaccata della stessa scuola costituisce un trasferimento illegittimo?
No. La Corte ha stabilito che l’assegnazione a diversi plessi appartenenti al medesimo istituto scolastico non costituisce un “trasferimento” ai sensi della Legge 104/1992. Pertanto, tale organizzazione dell’orario non viola le tutele previste per il lavoratore che assiste un familiare con disabilità grave.

Chi paga le spese legali se la Pubblica Amministrazione vince una causa facendosi difendere da un proprio funzionario?
La parte soccombente. La Corte ha confermato che, in base alla normativa vigente (art. 152 bis disp. att. c.p.c.), la Pubblica Amministrazione ha diritto al rimborso delle spese legali anche quando è assistita in giudizio da propri dipendenti, secondo il principio generale della soccombenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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