Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6194 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6194 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37608/2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME presso il quale è domiciliato come da pec registri di giustizia
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliato
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro n. 711/2019, depositata il 4.6.2019, RG 1414/2016;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.12.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato il ricorso con il quale il docente, in relazione all’anno scolastico 2013/2014, aveva chiesto il pagamento delle ore di inattività fra una lezione e l’altra (c.d. ‘ore buco’) ed aveva domandato il risarcimento del danno non patrimoniale patito per essere stato utilizzato anche nella sede distaccata di Satriano, in violazione dell’art. 33 della legge n. 104/1992, applicabile alla fattispecie in ragione della assistenza prestata alla madre affetta da grave disabilità;
la Corte d’Appello, quanto a quest’ultima domanda, ha osservato che l’utilizzazione presso la sede distaccata non integrava trasferimento, poiché il Paparo era rimasto assegnato all’unico istituto scolastico, suddiviso in due plessi, peraltro posti a distanza di solo un chilometro;
quanto all’orario di lavoro il giudice d’appello ha evidenziato che:
-non vi era stata violazione dell’art. 28 del CCNL 2006/2009 che stabilisce solo il limite massimo orario e non fa divieto di eccedere le 4 ore giornaliere;
-la allegazione, generica, non consentiva di comprendere quante fossero le ore di distacco fra un periodo di servizio e l’altro;
-l’appellante non aveva né allegato né dimostrato che fosse rimasto a disposizione del datore di lavoro nell’intervallo;
-il richiamo al principio di cui a Cass. 17511/2010, secondo cui gli spostamenti tra diverse località dopo l’inizio della prestazione era da considerare come lavorativo, non era pertinente perché il ricorrente non aveva allegato, ancora prima che provato, nulla del genere;
2.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui il Ministero ha opposto difese con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.
il primo motivo di ricorso adduce la violazione di legge, con riferimento agli artt. 112 e 115 c.p.c. ed all’art. 111 della Costituzione, evidenziando come la Corte d’Appello abbia omesso di scrutinare il profilo di gravame con il quale si era denunciata l’impossibilità giuridica che il Tribunale disponesse, come aveva indebitamente fatto, la condanna alle spese del ricorrente, nonostante la P.A. fosse stata difesa da un funzionario;
1.1
il motivo censura l’omesso esame di un profilo che tuttavia in diritto è manifestamente infondato;
l’art. 152 bis disp. att. c.p.c., pienamente applicabile ratione temporis , prevede infatti che « nelle liquidazioni delle spese di cui all’articolo 91 del codice di procedura civile a favore delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, se assistite da propri dipendenti ai sensi dell’articolo 417 bis del codice di procedura civile, si applica il decreto adottato ai sensi dell’articolo 9, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto »; non hanno dunque rilievo i richiami di giurisprudenza in senso difforme, che riguarda un diverso e specifico ambito, ovverosia quello delle sanzioni amministrative, in sé non rientrante nel novero dell’art. 417 bis del c.p.c. che è regolato dalla norma sopra testualmente citata;
vale dunque, per disattendere la censura, il principio per cui l’omessa motivazione in diritto, se l’esito del giudizio di appello sia giuridicamente esatto, non giustifica la cassazione della sentenza,
ma soltanto la sua integrazione motivazionale (tra le varie, Cass., S.U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., S.U., 27 dicembre 2013, n. 28663);
2.
il secondo motivo denuncia la violazione di legge, con riferimento all’art. 92 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché l’insufficiente ed omessa motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) e si riferisce alla condanna alle spese pronunciata in secondo grado, sul mero presupposto della soccombenza, richiamando la possibilità di una loro compensazione per gravi ed eccezionali ragioni quale conseguente a Corte Costituzionale 19 aprile 2018, n. 77;
2.1
il motivo è manifestamente infondato, perché la compensazione è rimessa alla discrezionalità del giudice che non è tenuto a motivare le ragioni della applicazione della regola generale della soccombenza (Cass., S.U., 15 luglio 2005, n. 14989; Cass. 26 aprile 2019, n. 11329);
3.
il terzo motivo di ricorso, premesso un incipit della rubrica in termini di ‘insufficiente motivazione’, denuncia la violazione degli artt. 2107 e 2108 c.c., dell’art. 28, co. 9, del CCNL del comparto scuola, nonché dell’art. 491, co. 5, d. lgs. n. 297 del 1993, del d. lgs. n. 66 del 2003, della Direttiva CE 1993/2002 e dell’art. 4, co. 2, dell’accordo contrattuale 14.1.1995, oltre che dell’art. 115 c.p.c.;
nella censura si osserva come il tema non era l’eccedenza del lavoro rispetto alle quattro ore giornaliere, ma semmai quello di avere prolungato la prestazione giornaliera di un’ora, in conseguenza del ‘buco’ orario realizzato;
il motivo, rispetto all’affermazione della Corte territoriale secondo cui non sarebbe stato dimostrato dal ricorrente il suo essere a disposizione del datore di lavoro in quell’ora di ‘buco’, replica che
quell’assetto orario risultava dai quadri orari della stessa scuola, da cui emergevano appunto intervalli brevi, mai eccedenti l’ora e dunque implicanti uno stazionamento intra moenia , richiamandosi in diritto sia la Direttiva eurounitaria che imponeva come orario di lavoro quello in cui il lavoratore sia a disposizione del datore e rimarcando come in quei brevi periodi di una sola ora non si potessero certamente esplicare le libere prerogative extra moenia , come desumibile sulla base di un lineare ragionamento presuntivo; non aveva poi valore l’assunto della sentenza impugnata secondo cui l’appartenenza delle sedi di Soverato e Striano alla medesima scuola potesse escludere in radice la possibilità di configurare ore eccedenti, richiamandosi sul punto il parere del Ministero del lavoro secondo cui la prestazione di uno spostamento obbligato era da qualificare come orario di lavoro ed analoga previsione dell’art. 4, co., 2, dell’accordo contrattuale 14.1.1995 ministeriali;
3.1
l’insufficiente motivazione, che non costituisce più autonomo vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053), è addotta con modalità del tutto generiche, che non consentono di avere per ritualmente introdotto un profilo di censura da questo punto di vista;
3.2
quanto al tema dell’utilizzazione dell’ora di ‘buco’ nell’interesse del datore di lavoro, non è implausibile quanto argomentato dalla Corte territoriale e cioè che comunque in quelle ore il docente fosse libero, sicché gli assunti del ricorrente secondo cui i tabulati orari ed altri eventuali ragionamenti presuntivi potessero condurre a diverse conclusioni attiene al merito ed alla valutazione dell’istruttoria e non è sindacabile, in sede di legittimità (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148; ora anche Cass. 22 novembre 2023, n. 32505), sotto il profilo della violazione di legge;
vi è infine il tema del servire quelle ore di ‘buco’ per gli spostamenti dall’una all’altra sede del medesimo istituto scolastico; la Corte d’Appello non ha eluso il tema, affrontato nel riferire su Cass. 17511/2020, ma in proposito ha affermato che il ricorrente nulla aveva allegato, né provato, sul punto;
quest’ultima affermazione attiene alla mancanza di allegazione e prova di quanto in ipotesi potrebbe sostanziare una domanda fondata sul fatto che le ore di ‘buco’ fossero impiegate e si rendessero necessarie nell’interesse datoriale al trasferirsi del ricorrente da una sede all’altra;
quanto affermato dal citato precedente di legittimità, come anche dal parere ministeriale che cita il ricorrente, non è in discussione, potendosi ritenere che le ore di ‘buco’, se davvero necessarie a quel fine, rientrino nell’orario di lavoro e siano come tali da remunerare, secondo principi comuni e di fondo dell’ordinamento lavoristico;
tuttavia, la Corte territoriale ha detto che in proposito erano mancate le debite allegazioni e prove, che dovrebbero riguardare appunto l’esistenza di quel nesso tra gli intervalli ed il lavoro sulle due sedi;
rispetto a quando detto dalla Corte territoriale, in gran parte riguardante profili di fatto, il motivo nulla replica e pertanto il dibattersi in esso sui conseguenti profili di diritto è sterile ed inammissibile;
4.
il quarto motivo denuncia la violazione di legge, con riferimento agli artt. 4 e 33 della legge n. 104 del 1992 ed al CCNI sulla mobilità del personale docente del 2013/2014, oltre a violazione dell’art. 115 c.p.c. e ad insufficiente motivazione;
in esso si riepiloga la decisione della Corte d’Appello per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno per il pregiudizio
cagionato dalle ore ‘buco’, quali forme di prolungamento di orario, rispetto all’assistenza al genitore disabile, così violando i diritti sanciti dalla legge n. 104 del 1992 e dalle norme civilistiche, oltre che impedendo l’assolvimento deli corrispondenti obblighi parentali;
il motivo adduce che la Corte territoriale avrebbe negato la fondatezza della domanda sul presupposto: a) che la prestazione fosse stata resa presso un unico istituto scolastico, seppure articolato in due diversi plessi e che pertanto non vi era stato alcun riferimento in violazione dell’art. 33, co. 5, della legge n. 104; b) che la riduzione del tempo disponibile per la madre era stata fatta con genericità tale da contenere in sé « i crismi della propria irrilevanza »;
4.1
rispetto a tale assetto decisorio, il motivo adduce una ‘insufficiente motivazione’, nonché, nell’ordine, l’esclusione, sancita dal CCNI per la mobilità del 2013/2014 (art. 7, co. 2, lett. a), dei beneficiari delle precedenze, tra cui rientra chi presti assistenza al genitore con disabilità, dalle graduatorie per le cattedre orario ‘esterne’, oltre al rientrare dei movimenti da ‘sezioni associate, funzionanti in comuni diversi’, nei ‘movimenti tra comuni diversi’ (art. 19, co. 2), tenuto conto che le cattedre ‘orario’ costituite su comuni diversi sono appunto quelle riguardanti scuole di comuni diversi (art. 7, co. 3, lett. c);
da tutto ciò si dovrebbe desumere, secondo il ricorrente, l’erroneità dell’affermazione della sentenza secondo cui non sarebbe stato disposto alcun trasferimento in violazione dell’art. 33 comma 5 della legge n. 104;
il motivo afferma inoltre che, stante l’esistenza della posizione di caregiver del ricorrente, nota all’istituto scolastico, non aveva spiegazione la « pleonastica e non motivata » affermazione di genericità ed irrilevanza ascritta dalla sentenza impugnata alla
prospettazione del ricorrente, il tutto in sostanziale inosservanza, sul piano istruttorio, dell’art. 115 c.p.c. e delle nozioni comuni di esperienza;
4.2
anche in questo caso la denuncia di insufficiente motivazione è del tutto generica ed inammissibile per le stesse ragioni già indicate al punto 3.1;
4.2
inammissibili sono anche le censure che fanno riferimento alla violazione di contratti integrativi, in quanto essi non rientrano nell’ambito dei motivi deducibili con il ricorso per cassazione, riguardando l’art. 360 n. 3 c.p.c. soltanto la violazione dei contratti collettivi ‘nazionali’ e non gli accordi, pur anche nazionali, ma di natura ‘integrativa’ (fra le tante Cass. n. 5565/2004; Cass. n. 20599/2006; Cass. n. 28859/2008; Cass. n. 6748/2010; Cass. n. 15934/2013; Cass. n. 4921/2016, Cass. n. 16705/2018; Cass. n. 33312/2018; Cass. n. 20917/2019; Cass. n.7568/2020; Cass. n. 25626/2020);
in ogni caso, la sentenza impugnata fa riferimento all’istituto di adibizione del ricorrente come ‘unico’, seppure articolato in diversi plessi, sicché, in mancanza di censure o migliori specificazioni in fatto, non ha senso discorrere di cattedre ‘esterne’;
4.3
in assenza di profili di illegittimità in ordine all’orario, né di questioni su altri diritti discendenti dalla legge n. 104, va da sé che non possano avere rilievo questioni sui disagi cui fa riferimento il ricorrente;
ciò è già assorbente, ma in tale quadro, non può comunque ritenersi implausibile il rilievo di genericità contenuto nella sentenza impugnata in ordine alla lamentata riduzione del tempo disponibile per la cura della propria genitrice disabile, non potendosi certo dire
che ciò sia conseguenza necessitata ed inevitabile di quelle ore ‘buco’;
5.
il ricorso va quindi nel suo complesso disatteso e le spese del grado seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 3.500,00 per compensi oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro