Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31795 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31795 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
legittima e costituiva determinazione vessatoria nei riguardi del ricorrente, in realtà impegnato anche in incarichi aggiuntivi come quello di referente aziendale del team della Nutrizione Artificiale;
quanto alla timbratura senza soluzione di continuità, nonostante il transito da Riccione (per l’attività ‘istituzionale’) a Cattolica (per l’attività ‘intramoenia’), il ricorrente ne affermava la legittimità, perché il percorso dalla sede principale alle altre sedi rientrava nel servizio;
il secondo motivo adduce la nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) e con esso si evidenzia come risultassero molteplici irregolarità sia nel ritardo che nell’uscita di altri medici e mancate timbrature, a fronte di un credito orario cospicuo del ricorrente e di anticipazioni orarie al mattino per le quali egli si era reso disponibile, senza contare che, in caso di uscite in anticipo, ciò avveniva previo accordo con un collega per farsi sostituire in modo da non lasciare scoperto il presidio;
in definitiva, al ricorrente era stato sottratto indebitamente un regime di flessibilità in realtà accordato agli altri dirigenti medici; 2.
i motivi possono essere esaminati congiuntamente, data la loro connessione logica e sono infondati;
2.1
il tema principale riguarda le uscite anticipate contestate al ricorrente;
in proposito, in punto di fatto, la Corte d’Appello ha accertato, senza che vi siano censure idonee sul punto, l’esistenza di una disposizione di servizio del superiore gerarchico, titolare di Struttura Complessa, nei confronti del COGNOME, titolare di Struttura Semplice, affinché quest’ultimo nella sua veste di ‘coordinatore delle sale operatorie’ o ‘referente blocco operatorio’, fosse presente dalle ore 8,00 alle ore 14,00;
la Corte ha altresì affermato che le uscite anticipate avrebbero potuto non integrare un inadempimento, se ciò fosse stato giustificato da esigenze di servizio, in tal modo facendo intendere,
evidentemente, che si era trattato di uscite per motivi personali del ricorrente;
2.2
ciò posto, va rammentato come l’orario dei medici, fissato dal CCNL del 3.11.2005 in 38 ore settimanali, sia da intendere come orario minimo (v. Cass. 25 luglio 2024, n. 20796, in motivazione), in quanto la prestazione orario può eccederne, senza che sia dovuto il pagamento di straordinario (Cass. 5 agosto 2020, n. 16711; Cass. 10 dicembre 2019, n. 32264; Cass., S.U., 17 aprile 2009, n. 9146), mentre non vi è luogo a disaminare, perché comunque fuori gioco ratione temporis , la nuova contrattazione collettiva recentemente intervenuta nel settore (CCNL 23 gennaio 2024);
ne deriva che è riduttivo, ove si consideri tale caratteristica dell’orario, pensare che ad esprimere la flessibilità, di cui è menzione nella contrattazione collettiva, stia solo una invariabile tolleranza rispetto a uscite calibrate su ragioni personali;
la flessibilità è infatti destinata ad operare nella logica degli obiettivi, non a caso avendo il ricorrente fatto osservare che, proprio in tale prospettiva e giustamente, egli ha sempre curato di assicurare le operazioni nella prima mattinata, attraverso ingressi anticipati;
su tali premesse, non vi è dubbio che sia da ritenere ammissibile la fissazione di orari rigidi, per certi ruoli ed attività;
il settore dell’anestesia e degli interventi chirurgici, dovendosi inevitabilmente assicurare il concomitante impegno di diverse professionalità, è senza dubbio uno di quelli in cui forme di rigidità sono inevitabili;
va quindi condivisa la corrispondente affermazione che evidentemente, pur se attraverso un articolato fraseggio riportato espressamente nello storico di lite, ha inteso fare la Corte di merito, da intendere nel senso che siano da ammettere poteri conformativi sul piano orario anche in ambito di dirigenza medica;
d ‘altra parte, l’art. 15 del d. lgs n. 502 del 1992 riconosce al direttore di Struttura Complessa poteri di indirizzo, direzione organizzazione destinati a manifestarsi anche nei riguardi delle Strutture Semplici ad esso coordinate, né tale assetto ordinamentale -presupposto dalla sentenza impugnata, che anzi richiama in proposito anche il disposto dell’art. 6 co. 3 (lett. a) del CCNL (6.5.2010) – è posto in discussione dal ricorrente, in sé o perché vi siano in ipotesi contrasti rispetto all’atto aziendale;
2.3
su tali premesse in fatto e in diritto non può condividersi del tutto quanto afferma la controricorrente, ovverosia che, se anche il COGNOME avesse avuto diritto ad un regime orario flessibile, avrebbe dovuto contestare in giudizio la scelta organizzativa adottata e non violare gli obblighi a lui imposti;
infatti, le determinazioni organizzative sull’orario hanno certamente in questi ambiti natura c.d. microrganizzativa e pertengono al diritto privato, sicché a fronte di una loro ipotetica illegittimità, stante la reciprocità delle prestazioni, potrebbe legittimamente porsi un’eccezione di inadempimento, da valutare in tal caso sul piano della buona fede e quindi della proporzione (art. 1460 c.c.);
2.4
ma non è questo il punto, in quanto, sulla base dell’assetto sostanziale quale sopra ricostruito, va detto che non vi sono ragioni per affermare che l’indicazione in ordine al rispetto di un orario rigido da parte del dirigente della Struttura Complessa al dirigente della Struttura Semplice preposto al coordinamento delle sale operatorie sotto il profilo anestesiologico fosse illegittima;
si è detto della ragionevolezza intrinseca di elementi di rigidità oraria nel settore e non si tratta di trasformare il referente delle sale in una guardia anestesiologica, che verosimilmente espande più ampiamente i propri turni nel corso delle 24 ore, ma di assicurare che quel referente, per quelle ore della mattina, fosse
presente al fine di dirimere con prontezza ogni questione organizzativa e sanitaria a lui facente capo;
una tale pretesa della ASL non può dirsi in sé illegittima e le deduzioni del ricorso per cassazione sulla portata ritorsiva dell’accaduto, oltre a fondarsi su atti di altra causa e (v. memoria) su un giudicato che non può esser apprezzato perché manca la sentenza di appello che lo avrebbe suggellato, prospettano profili ulteriori che non inficiano il dato obiettivo sulle violazioni orarie e sul contrasto di esse con un preciso -e in sé come si è detto non illegittimo – indirizzo operativo del superiore preposto alla S.C.;
2.5
analogamente, non hanno rilievo rispetto alla legittimità della sanzione applicata nei riguardi del ricorrente, le questioni che riguardano il trattamento destinato ad altri medici;
a parte la genericità e la necessità in ipotesi di contestualizzare caso per caso, anche questo profilo riguarda semmai altri aspetti, come quelli in generale del trattamento della persona sul luogo di lavoro, ma non inficia necessariamente e con il requisito di ‘decisività’ richiesto dall’art. 360 n. 5 c.p.c., la ricostruzione della Corte d’Appello sull’esistenza della violazione che ha portato all’applicazione della sanzione e sulla fondatezza di quest’ultima nei riguardi del suo destinatario;
2.6
la Corte d’Appello ha poi ritenuto che a fondare l’illecito e la sanzione fosse sufficiente quanto relativo alle inosservanze orarie e dunque non vi è luogo ad attardarsi, tenuto anche conto della riduzione della multa operata con la sentenza impugnata, sui profili, incidentalmente dedotti nei motivi, riguardanti la timbratura nel transito Riccione-Cattolica;
3.
il terzo motivo adduce la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per la violazione degli artt. 36, 112 e 113 c.p.c.;
con esso si assume che il giudice non avrebbe potuto rivalutare discrezionalmente nel merito, per giunta senza domanda della P.A., la proporzionalità della sanzione;
si tratta di motivo infondato;
va premesso il richiamo al principio per cui « in tema di sanzioni disciplinari nel pubblico impiego privatizzato, ai sensi dell’art. 22, comma 13, del d.lgs. n. 75 del 2017 (cd. legge “Madia”), secondo cui le disposizioni di nuova introduzione si applicano agli illeciti commessi successivamente alla data di entrata in vigore del citato decreto, nel caso in cui l’addebito riguardi comportamenti tenuti in parte prima e in parte dopo quella data, deve farsi riferimento alla disciplina della legge sopravvenuta qualora gli stessi siano perseguiti in un unico procedimento sanzionatorio » (Cass. 6 ottobre 2022, n. 29142);
tra tali nuove disposizioni rientra (art. 21 d. lgs. n. 75 del 2017) il testo riformato dell’art. 63 del d. lgs. n. 165 del 2001 e le infrazioni si collocano nella loro gran parte in epoca successiva a quella data dirimente (21.6.2017);
è poi invalso il principio per cui « in tema di illeciti disciplinari nel pubblico impiego privatizzato, l’art. 63, comma 2 bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 – il quale prevede che, nel caso di annullamento della sanzione disciplinare per difetto di proporzionalità, il giudice “può rideterminare la sanzione”, tenendo conto della gravità del comportamento e dello specifico interesse pubblico violato -, va interpretato nel senso che il giudice ha il potere/dovere di rimodulare la predetta sanzione, anche in difetto di sollecitazione ad opera dell’amministrazione, in quanto l’assoluta discrezionalità nell’esercizio del potere in questione renderebbe la norma priva di ragionevolezza, oltre che contrastante con la dichiarata necessità di valorizzare e tutelare gli interessi pubblici coinvolti dall’illecito » (Cass. 18 aprile 2023, n. 10236) e dunque anche questo motivo va disatteso;
4. il ricorso va dunque complessivamente rigettato e le spese del grado seguono la soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro