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Orario di lavoro: il tragitto casa-lavoro conta?

La Corte di Cassazione ha stabilito che il tempo di spostamento casa-lavoro per dei macchinisti non rientra nell’orario di lavoro. La decisione si basa sul fatto che i lavoratori, pur operando in più sedi, si recavano presso una “base operativa” con un numero predeterminato di impianti, non trovandosi quindi in una situazione di assenza di un luogo di lavoro fisso e non essendo sotto il pieno potere direttivo del datore durante il tragitto.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Orario di lavoro: il tragitto da casa al primo cliente è lavoro retribuito? La Cassazione chiarisce

La definizione di orario di lavoro è una delle questioni più dibattute nel diritto del lavoro, specialmente con l’aumento di mansioni itineranti. Il tempo impiegato per recarsi da casa al primo luogo di lavoro deve essere considerato parte dell’orario lavorativo e, quindi, retribuito? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15332 del 2024, offre un’importante chiarificazione, distinguendo nettamente tra lavoratori veramente privi di una sede fissa e coloro che operano all’interno di una “base operativa” predefinita.

I Fatti di Causa

Un gruppo di lavoratori, impiegati come macchinisti presso due importanti società di trasporto ferroviario, ha adito le vie legali per ottenere il riconoscimento del tempo di spostamento dal proprio domicilio al primo impianto di servizio (e viceversa, dall’ultimo impianto al domicilio) come orario di lavoro.
La loro richiesta era fondata sulla natura itinerante della loro mansione, che li portava a iniziare e terminare la giornata lavorativa in luoghi diversi. Sia il tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano rigettato la domanda, ritenendo che non sussistessero i presupposti per tale qualificazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha confermato le decisioni dei gradi precedenti, rigettando il ricorso dei lavoratori. I giudici hanno ritenuto che il tempo di spostamento in questione non potesse essere computato nell’orario di lavoro. La sentenza si basa su un’attenta analisi della nozione di “luogo di lavoro fisso o abituale” alla luce della normativa europea e nazionale, distinguendo il caso di specie dalla celebre sentenza Tyco della Corte di Giustizia Europea.

Le Motivazioni della Sentenza: l’orario di lavoro e la “base operativa”

Il cuore della motivazione risiede nella distinzione tra un lavoratore senza alcun luogo di lavoro fisso e un lavoratore che, pur muovendosi tra più sedi, opera all’interno di una “base operativa” ben definita. Nel caso esaminato, il Contratto Collettivo Nazionale prevedeva proprio una “base operativa”, ovvero un insieme di impianti (un numerus clausus, un numero chiuso) preventivamente individuati e noti al lavoratore, presso cui poteva iniziare il servizio.

Secondo la Cassazione, questa circostanza è decisiva per escludere l’applicazione dei principi del caso Tyco, dove i lavoratori non avevano alcuna sede fissa e ricevevano le loro assegnazioni quotidianamente su un dispositivo mobile. I macchinisti, invece, pur potendo iniziare il lavoro in luoghi diversi, sapevano in anticipo quali fossero le possibili sedi. Di conseguenza:
1. Non c’è assenza di un luogo di lavoro fisso: La “base operativa”, sebbene composta da più impianti, costituisce un riferimento lavorativo predeterminato, non continuamente mutevole o indeterminato.
2. Manca l’eterodirezione durante lo spostamento: Durante il tragitto casa-impianto, il lavoratore non è soggetto al potere organizzativo e di conformazione del datore di lavoro. Non riceve istruzioni né svolge attività funzionali alla prestazione; gode ancora della sua libertà di autodeterminazione.

L’obbligo di divisa e il trasporto di attrezzatura

I ricorrenti avevano sostenuto che l’obbligo di indossare la divisa e di portare con sé gli strumenti di lavoro durante il tragitto fosse un indicatore della sottoposizione al potere datoriale. Anche su questo punto, la Corte ha dato torto ai lavoratori. I giudici hanno specificato che, affinché il tempo per indossare la divisa rientri nell’orario di lavoro, è necessario che tale operazione sia soggetta all’eterodirezione del datore di lavoro. Nel caso di specie, non è stato provato che i lavoratori fossero obbligati a vestirsi prima di uscire di casa o che la divisa fosse di natura tale da non poter essere considerata un normale abbigliamento per il tragitto.

L’inammissibilità del quarto motivo di ricorso

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso basato su una presunta violazione di una clausola di un precedente contratto collettivo (CCNL del 2003). La questione, infatti, non era mai stata sollevata nei precedenti gradi di giudizio e, pertanto, rappresentava una domanda nuova, non proponibile per la prima volta in sede di legittimità.

Conclusioni

La sentenza n. 15332/2024 consolida un principio fondamentale: per qualificare il tragitto casa-lavoro come orario di lavoro, non è sufficiente che la mansione sia itinerante. È necessario valutare tre elementi chiave:
1. Il lavoratore deve essere al lavoro.
2. Deve essere a disposizione del datore di lavoro.
3. Deve essere nell’esercizio delle sue funzioni.

Nel caso dei macchinisti, la Corte ha concluso che durante il tragitto questi requisiti non sussistono. La presenza di una “base operativa” con sedi predeterminate esclude la condizione di lavoratore privo di un luogo di lavoro fisso e, durante lo spostamento, il dipendente non è ancora sotto il pieno potere direttivo dell’azienda. Questa pronuncia offre un criterio distintivo cruciale per le aziende che gestiscono personale itinerante, sottolineando l’importanza delle definizioni contenute nei contratti collettivi.

Il tempo di spostamento da casa al primo luogo di lavoro è sempre considerato orario di lavoro per i lavoratori itineranti?
No, secondo questa sentenza non lo è se il lavoratore opera all’interno di una “base operativa” composta da un numero predeterminato e conosciuto di possibili sedi di lavoro. Il tempo di spostamento rientra nell’orario di lavoro solo se il lavoratore non ha un luogo di lavoro fisso o abituale ed è, durante il tragitto, già a disposizione e sotto il potere direttivo del datore di lavoro.

Cosa si intende per “luogo di lavoro fisso o abituale” secondo la Corte?
Non deve essere necessariamente un singolo luogo. Anche un insieme predeterminato di più impianti, definito dal contratto collettivo come “base operativa”, può essere considerato un luogo di lavoro abituale. La caratteristica chiave è che non sia continuamente mutevole e indeterminato, ma preventivamente individuabile dal lavoratore.

Indossare la divisa e portare con sé gli strumenti di lavoro durante il tragitto casa-lavoro è sufficiente per qualificarlo come orario di lavoro?
No, di per sé non è sufficiente. È necessario dimostrare che queste attività avvengano sotto l’eterodirezione, cioè sotto il potere di controllo e direzione del datore di lavoro. Ad esempio, se l’azienda imponesse di indossare la divisa solo all’arrivo sul luogo di lavoro, il tempo per la vestizione sarebbe orario di lavoro, ma non necessariamente il tragitto per arrivarci.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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