Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34652 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34652 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16880-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME ;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 188/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 26/01/2023 R.G.N. 542/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 16880/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 30/10/2024
CC
Rilevato che
la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, ha accertato che il tempo impiegato da ll’originario ricorrente, dipendente di Telecom Italia RAGIONE_SOCIALE per raggiungere la postazione di lavoro e collegarsi al sistema informatico aziendale così come, in uscita, quello necessario, dopo essersi scollegato, per abbandonare i locali aziendali, costituisce ‘orario di lavoro’ ai sensi della direttiva CE n. 2003/88, del d.lgs. n. 66/2003 e della vigente normativa; ha ritenuto pertanto che il R egolamento aziendale adottato nell’anno 2017, che escludeva la configurabilità come tempo di lavoro dei periodi necessari a raggiungere la postazione di lavoro dopo avere superato i tornelli in entrata e quello necessario a raggiungere dalla postazione di lavoro i tornelli in uscita, si ponesse in contrasto con il d. lgs. n. 66/2003 di attuazione della Direttiva n. 34/2000 diretta a regolamentare in maniera uniforme su tutto il territorio dell’unione, e nel pieno rispetto del ruolo dell’autonomia negoziale collettiva, i profili di disciplina del rapporto di lavoro connessi all’organizzazione dell’orario di lavoro; la disciplina dettata dal d. lgs. n. 66/2003 non era, in relazione a tale aspetto, derogabile in via convenzionale e, tantomeno, per iniziativa unilaterale della società;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Telecom Italia RAGIONE_SOCIALEp.a. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso;
RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria;
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 414 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per l’omesso rilievo della inammissibilità della domanda – che asserisce essere stata tardivamente formulata- di accertamento della nullità del
regolamento aziendale; rappresenta che correttamente il giudice di prime cure aveva respinto la originaria domanda, di inapplicabilità al lavoratore dell’accordo del 27 marzo 2013 ( regolante il computo dei tempi di lavoro) e della disposizione inerente la timbratura in postazione sul rilievo che la fonte della disposizione aziendale era da individuarsi nel Regolamento aziendale entrato in vigore nel 2017, non tempestivamente censurato dalla parte. Deduce che il lavoratore avrebbe dovuto impugnare il Regolamento aziendale e tale erronea individuazione della fonte regolatoria della disciplina della timbratura in postazione si riverberava sulla fondatezza della domanda proposta, risultando a tal fine irrilevante la deduzione del lavoratore di essere venuto a conoscenza dell’esistenza del regolamento solo nel corso del giudizio di primo grado;
con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2 lett. a) d. lgs n. 66/2003 con riferimento all’errata qualificazione del regolamento aziendale come contrario a norme imperative nonché con riferimento all’insussistenza di soggezione dei dipendenti al potere direttivo, organizzativo e/o disciplinare del datore di lavoro nel lasso di tempo tra l’ingresso in azienda ed il login ( e/o durante la pausa e/o in uscita) ;
il primo motivo di ricorso deve essere respinto;
3.1. Come chiarito dal giudice di legittimità, si ha domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione della “causa petendi” quando i nuovi elementi, dedotti dinanzi al giudice di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (Cass. 15506/2015);
tale situazione non è ravvisabile in relazione alla fattispecie in esame posto che il fatto costitutivo della pretesa azionata dal lavoratore, quale ricostruibile dalla detta sentenza e dallo stesso ricorso per cassazione, è costituito dalla mancata ‘qualificazione’ ( e quindi remunerazione come attività di lavoro), del periodo decorrente dalla timbratura dei tornelli in ingresso fino alla postazione di lavoro e viceversa; rispetto al fatto costitutivo dedotto, vale a dire prestazione di attività di lavoro non remunerata in quanto tale dalla parte datoriale, ai fini di identificazione della causa petendi risulta irrilevante la fonte, negoziale o unilaterale, che ha determinato la mancata configurazione come lavorativo del periodo necessario a raggiungere la postazione di lavoro dopo avere superato i tornelli in entrata e quello necessario a raggiungere dalla postazione di lavoro i tornelli in uscita; invero l’esistenza di una fonte negoziale regolatrice della fattispecie, diversa da quella individuata dal lavoratore, non avrebbe giammai potuto incidere sulla corretta identificazione della causa petendi ma, al più, costituire, in astratto, oggetto di eccezione della convenuta destinata al fine di paralizzare la pretesa di controparte;
4. il secondo motivo è infondato. Premesso che non è validamente censurato l’accertamento di fatto alla base della decisione, si ritiene di dare seguito alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte maturata in relazione ad analogo contenzioso scaturito dall’accordo aziendale 27 marz o 2013 che, anch’esso, come il regolamento, escludeva dall’orario di lavoro i periodi necessari a raggiungere dai tornelli la postazione di lavoro e viceversa; in tali pronunce, che si richiamano anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. , il giudice di legittimità, in relazione a fattispecie sovrapponibili a quella in esame (Cass. 27008/2023, Cass. n. 16674/2024, Cass. 17096/2024, Cass. 14845/2024), in coerenza con precedenti di legittimità riferiti
ad altro contenzioso(cfr. Cass., n. 17511/2010, Cass. n. 5496/2006, Cass. e 5775/2003) e con le indicazioni della Corte di Giustizia, ha ritenuto che il tempo per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell’attività lavorativa vera e propria (e va quindi sommato al normale orario di lavoro come straordinario) allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione, come ricostruito in concreto dalla sentenza impugnata, con accertamento non validamente censurato;
al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese processuali ed pagamento, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali, dell’ulteriore importo del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, co mma quater d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 30 ottobre