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Orario di lavoro effettivo: il tempo per il login vale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha stabilito che il tempo impiegato da un lavoratore tra la timbratura del cartellino all’ingresso e il login alla postazione di lavoro deve essere considerato orario di lavoro effettivo e, di conseguenza, retribuito. La Corte ha respinto il ricorso di una grande società di telecomunicazioni, la quale sosteneva che tale periodo non fosse sotto il suo diretto potere di controllo. Secondo i giudici, tutte le attività preparatorie, necessarie e obbligatorie per l’inizio della prestazione, rientrano a pieno titolo nell’orario di lavoro, poiché il dipendente è già a disposizione dell’azienda.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Orario di Lavoro Effettivo: Il Tempo per Raggiungere la Postazione e Accendere il PC va Retribuito

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 14845/2024, ha fornito un’importante chiarificazione sul concetto di orario di lavoro effettivo. La questione centrale è tanto comune quanto dibattuta: il tempo che intercorre tra la timbratura del cartellino all’ingresso dell’azienda e l’effettivo login alla postazione di lavoro deve essere considerato lavoro e quindi retribuito? La risposta dei giudici è stata un chiaro e sonoro sì, consolidando un principio fondamentale a tutela dei diritti dei lavoratori.

I Fatti del Caso: La Controversia sul Tempo “Preparatorio”

La vicenda giudiziaria ha visto contrapposti alcuni dipendenti e una grande società di telecomunicazioni. I lavoratori lamentavano il mancato pagamento del tempo impiegato quotidianamente per compiere il tragitto dai tornelli di ingresso fino alla propria scrivania, accendere il computer ed effettuare il login ai sistemi aziendali. Questo lasso di tempo, sebbene necessario per poter iniziare a svolgere le proprie mansioni, non veniva riconosciuto dall’azienda come parte dell’orario di lavoro.

La questione era stata originata da un accordo aziendale del 2013 che, in una sua specifica clausola, stabiliva che l’inizio e la fine della prestazione lavorativa dovessero essere attestati esclusivamente tramite la registrazione online sulla postazione di lavoro, escludendo di fatto tutto il tempo “preparatorio”.

L’Analisi della Corte e la Decisione sul Ricorso

La Corte d’Appello di Milano aveva già dato ragione ai lavoratori, dichiarando la parziale nullità della clausola aziendale e condannando la società al pagamento delle differenze retributive. L’azienda ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandosi su tre motivi principali, tutti respinti dalla Suprema Corte.

La Tesi dell’Azienda: Inscindibilità e Mancanza di Potere Direttivo

L’azienda sosteneva, in primo luogo, che la clausola sull’orario di lavoro fosse una parte essenziale e “inscindibile” dell’intero accordo aziendale. Di conseguenza, la sua nullità avrebbe dovuto travolgere l’intero patto sindacale. In secondo luogo, affermava che nel tempo tra l’ingresso e il login il lavoratore non fosse ancora sotto il suo potere direttivo e gerarchico, e che quindi quel tempo non potesse qualificarsi come orario di lavoro effettivo ai sensi del D.Lgs. 66/2003.

La Definizione di Orario di Lavoro Effettivo Secondo la Cassazione

La Cassazione ha smontato punto per punto le argomentazioni aziendali. Sul tema della nullità, ha ribadito che la nullità parziale di un contratto si estende all’intero accordo solo se la parte interessata prova che non lo avrebbe concluso senza quella specifica clausola. L’azienda non ha fornito tale prova.

Ma il cuore della decisione risiede nella definizione di orario di lavoro. La Corte ha confermato il suo orientamento consolidato: l’orario di lavoro non è solo il tempo in cui si svolge la mansione principale, ma include “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su un concetto chiave: l’eterodirezione. Il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere la postazione dopo aver timbrato è un’attività eterodiretta e obbligatoria. È il datore di lavoro, infatti, a decidere dove collocare i tornelli, dove posizionare la scrivania, quale percorso effettuare e quale procedura di accensione e login seguire. Il lavoratore non ha alcuna autonomia in questa fase; si sta semplicemente conformando a delle disposizioni aziendali indispensabili per poter adempiere alla propria prestazione. Il fatto che il lavoratore debba essere operativo alla postazione a un orario preciso implica che tutto il tempo necessario per arrivare a quella condizione, una volta varcata la soglia aziendale, sia funzionale alla prestazione stessa e quindi a disposizione dell’azienda. Pertanto, deve essere computato e retribuito come orario di lavoro effettivo.

Conclusioni: Cosa Cambia per Lavoratori e Aziende

Questa ordinanza consolida un principio di diritto di grande rilevanza pratica. Per i lavoratori, significa che tutte le attività imposte dal datore di lavoro, anche se preliminari o accessorie alla mansione principale, devono essere riconosciute come lavoro. Per le aziende, emerge la necessità di rivedere le proprie policy interne e gli accordi sindacali per assicurarsi che il calcolo dell’orario di lavoro sia conforme a questa interpretazione estensiva. Non è sufficiente una clausola contrattuale per escludere dalla retribuzione periodi in cui il lavoratore è, di fatto, già a disposizione e sotto la sfera di controllo dell’impresa. La decisione riafferma che la tutela del lavoratore e la corretta quantificazione del tempo di lavoro sono principi che non possono essere derogati da accordi privati in senso peggiorativo.

Il tempo che un dipendente impiega per andare dal tornello d’ingresso alla propria scrivania e accendere il computer è considerato orario di lavoro?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che questo tempo deve essere considerato orario di lavoro effettivo e quindi retribuito, in quanto si tratta di un’attività necessaria, obbligatoria, funzionale allo svolgimento della prestazione e svolta all’interno della sfera di controllo del datore di lavoro.

Una clausola in un accordo aziendale che esclude questo tempo preparatorio dal calcolo dell’orario di lavoro è valida?
No, la Corte ha confermato la nullità parziale di una clausola di questo tipo. Secondo l’ordinamento, le clausole contrattuali non possono derogare in peggio (in peius) alle norme imperative di legge che tutelano il lavoratore, come quelle sulla definizione dell’orario di lavoro.

Se una clausola di un contratto collettivo viene dichiarata nulla, l’intero contratto diventa automaticamente nullo?
Non necessariamente. In base all’art. 1419 del Codice Civile, la nullità si estende all’intero contratto solo se la parte che vi ha interesse dimostra che i contraenti non avrebbero concluso l’accordo senza la clausola poi dichiarata nulla. In questo caso, la società non ha fornito tale prova, e si applica il principio di conservazione del contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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