Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14845 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14845 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 17498-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 195/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 02/03/2023 R.G.N. 1241/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Milano, con la sentenza in atti, in accoglimento dell’appello proposto dai lavoratori e in riforma
Rep.
Ud. 27/03/2024
CC
dell’impugnata sentenza ha condannato RAGIONE_SOCIALE a pagare a COGNOME NOME la somma lorda di euro 4.043,51 , a COGNOME NOME la somma lorda di euro 4.180,82, a COGNOME NOME la somma lorda di euro 1.184,36 , a COGNOME NOME la somma lorda di euro 1.429,54 ed a COGNOME NOME la somma lorda di euro 1.715,05, oltre accessori e spese legali.
A fondamento della decisione la Corte ha dichiarato la parziale nullità del paragrafo 4 dell’accordo aziendale stipulato da RAGIONE_SOCIALE in data 27 marzo 2013 con RAGIONE_SOCIALE e con il RAGIONE_SOCIALE nella parte in cui prevedeva che ‘l’attestazione dell’inizio e della fine della prestazione lavorativa degli operatori e del relativo personale di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE avverrà sulla propria postazione di lavoro mediante registrazione on line sui sistemi informatici azien dali’ .
La Corte territoriale ha quindi riconosciuto il diritto RAGIONE_SOCIALE lavoratrici a vedersi riconosciuto quale tempo effettivo di lavoro quello trascorso dalla timbratura del badge personale al tornello posto all’ingresso in azienda fino al completamento della procedura di log on e viceversa dal completamento della procedura di log off fino alla timbratura del cartellino al tornello all’uscita dall’azienda in quanto funzionale allo svolgimento della prestazione; inoltre la Corte di appello ha pure riconosciuto quale tempo effettivo di lavoro quello relativo alla procedura di spegnimento e di accensione del computer nella pausa pranzo.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE con tre motivi di censura ai quali hanno resistito con controricorso i lavoratori sopra individuati.
Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Motivi della decisione
1.- Col primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 c.c. con riferimento alla valutazione degli accordi e della clausola di inscindibilità (ex art 360 n. 3 c.p.c.) per avere la sentenza impugnata, disattendendo il motivo d’appello, riconosciuto la nullità parziale dell’accordo del 27 marzo 2013 applicando erroneamente l’art. 1419 c.c., come aveva già fatto il giudice di prime cure.
1.1. Il motivo è infondato.
Anzitutto non è vero che, come sostenuto dalla società ricorrente, la Corte di appello avrebbe omesso di esaminare in concreto l’eccezione di inscindibilità sollevata dalla società. La Corte di appello al contrario, nel respingere il motivo di appello proposto sul punto dalla RAGIONE_SOCIALE, ha affermato invece che la tesi della inscindibilità della clausola contrattuale sull’orario di lavoro, rispetto al resto dell’accordo sindacale, non era stata provata perché la società non aveva fornito alcuna prova che senza detta clausola non avrebbe sottoscritto l’accordo; nè una simile condizione o previsione risultava specificata nell’accordo sindacale.
1.2. La ricorrente sostiene il contrario.
Ma anzitutto non impugna la prima ratio decidendi affermata dalla Corte relativa al fatto che la società non ha fornito alcuna prova che senza detta clausola non avrebbe sottoscritto l’accordo.
In secondo luogo la ricorrente RAGIONE_SOCIALE si limita a dedurre come significativa la presenza in ciascuno degli accordi sottoscritti in data 27 marzo 2013 di una specifica clausola di inscindibilità -che sarebbe stata totalmente ignorata nella motivazione della sentenza impugnata -e secondo cui ‘ il presente accordo costituisce un corpo unico ed inscindibile con gli accordi sottoscritti in pari data’.
1.3.- Secondo la ricorrente tanto varrebbe a dimostrare la inscindibilità della clausola in questione.
Neppure tale tesi può essere accolta sotto vari aspetti.
Anzitutto l’effettivo carattere inscindibile di una clausola contrattuale non può essere dedotta dalla riproduzione di una singola previsione; era semmai onere del ricorrente riprodurre riportare non solo la singola clausola di inscindibilità di cui sopra, bensì allegare e riprodurre per intero le clausole dell’accordo aziendale atte a consentire un corretto sindacato in sede di legittimità (Cass. n. 22726/2011; Cass. n. 195/2016).
1.4.- In ogni caso il carattere di inscindibilità della clausola sull’orario di lavoro non potrebbe essere desunta dalla previsione sopra indicata, che si riferisce alla connessione tra i diversi ‘accordi sottoscritti in pari data’.
1.5. Inoltre, dal carattere inscindibile di vari accordi -a cui è riferita la clausola sopra citata – ma anche RAGIONE_SOCIALE clausole di un accordo tra di loro, non si deduce direttamente il carattere essenziale e determinante di una singola clausola rispetto al testo complessivo di uno specifico accordo che la contenga.
Ai fini dell’art. 1419, 1 comma c.c. – secondo cui la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto se risulta che il contraente non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità – non è sufficiente che la singola clausola sia interconnessa ovvero costituisca un corpo unico ed inscindibile col resto dell’accordo. Occorre altresì che il suo contenuto abbia anche carattere determinante dell’accordo aziendale, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza di essa.
1.6. Pertanto al fine di stabilire se la nullità di una clausola contrattuale importi la nullità dell’intero contratto, la scindibilità del contenuto del contratto deve essere accertata soprattutto attraverso la valutazione della potenziale volontà RAGIONE_SOCIALE parti in relazione all’ipotesi che nel contratto fosse stata inserita la clausola nulla (Cass. n. 23950 del 10/11/2014).
La nullità della singola clausola contrattuale comporta la nullità dell’intero contratto ovvero all’opposto, per il principio “utile per inutile non vitiatur”, la conservazione dello stesso in dipendenza della scindibilità del contenuto negoziale, il cui accertamento richiede, essenzialmente, la valutazione della potenziale volontà RAGIONE_SOCIALE parti in relazione all’eventualità del mancato inserimento di tale clausola, e, dunque, in funzione dell’interesse in concreto dalle stesse perseguito (Cass. n. 2314 del 05/02/2016).
La nullità di singole clausole contrattuali, o di parti di esse, si estende all’intero contratto, o a tutta la clausola, ove l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, nè persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.
1.7. Nel caso in esame tale valutazione di inscindibilità non essendo desumibile dal contratto aziendale doveva essere addotta e provata dalla parte interessata ad ottenere l’annullamento dell’intero contratto che sarebbe divenuto privo di interesse senza la clausola dichiarata nulla. Ed invero il concetto di nullità parziale, di cui all’art. 1419, comma 1, c.c., esprime il generale favore dell’ordinamento per la conservazione, ove possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale, ed il carattere eccezionale dell’estensione all’intero contratto della nullità che ne colpisce una parte o una clausola; conseguentemente, spetta a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto ( Cass. n. 18794 del 04/07/2023).
1.8. Nel caso di specie, però, secondo l’accertamento di fatto non censurabile effettuato dal giudice d’appello, RAGIONE_SOCIALE non ha assolto in alcun modo all’onere di allegazione e prova che le competeva e tale affermazione non può pertanto ritenersi in contra sto con l’art. 1419 c.c. nei termini appena indicati; posto che il tale carattere non era nemmeno desumibile dal contratto.
1.9.In ogni caso, secondo il secondo comma dell’art.1419 c.c., la nullità della singola clausola non importa la nullità del contratto quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.
Pertanto, neppure nel caso in cui la clausola fosse stata determinante ai fini del regolamento contrattuale ai sensi dell’art.1419, 1 comma c.c. sarebbe possibile pronunciare la nullità dell’intero contratto quando sia possibile sostituire la clausola nulla con norma imperativa di legge ( 2 comma); tanto, in base al principio di conservazione del contratto, siccome si evince anche dall’art 1339 c.c. secondo cui le clausole imposte dalla legge sono di diritto inserite nel contratto anche in sostituzione della clausola difforme apposta dalle parti.
Tutto ciò vale a prescindere dal giudizio RAGIONE_SOCIALE parti sulla essenzialità della clausola nulla di cui all’art. 1419, 1 comma ; ed a maggior ragione vale nella materia del lavoro connotata da esigenze superiori di protezione del lavoratore e nel rapporto tra legge, contrattazione collettiva e contrattazione individuale, ispirata dalla regola dell’inderogabilità in peius del regolamento stabilito dalla legge.
1.10.Va infine rilevato che non ha alcun rilievo l’ordine con cui sono state esaminate la questione della nullità e della inscindibilità della clausola contrattuale in questione. Avendo la Corte disatteso la questione di inscindibilità della clausola, non ha autonomo rilievo il fatto che la Corte abbia valutato la
stessa questione, ritenuta pregiudiziale, dopo aver esaminato il merito sulla sua nullità.
1.11. Inoltre la questione della acquiescenza dei lavoratori rispetto alla invalidità dell’accordo aziendale è questione inammissibile, perché estranea rispetto all’oggetto del motivo e presenta profili di novità perché non risulta sollevata davanti al giudice di appello. Essa è pure infondata nel merito perché i lavoratori originari ricorrenti erano iscritti al sindacato che non ha sottoscritto l’accordo aziendale .
Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, lettera a) d.lgs. n. 66/2003 con riferimento al riconoscimento del tempo intercorrente tra l’ingresso nella sede di lavoro al login presso la postazione come tempo di lavoro (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.).
La sentenza resa dalla Corte d’appello di Milano sarebbe censurabile nella parte in cui ha riconosciuto che il tempo di percorrenza impiegato dai dipendenti del caring services dal momento dell’ingresso nella sede aziendale a quello dell’attestazione dell’inizio della prestazione, mediante login sul proprio personal computer (e viceversa), sia qualificabile come orario di lavoro retribuibile. Secondo lo stesso motivo di ricorso la sentenza sarebbe censurabile anzitutto per non aver correttamente valutato le circostanze di fatto, ampiamente contestate in memoria difensiva dalla società per aver ritenuto provati i fatti posti alla base della motivazione della sentenza, senza che, peraltro, su tali fatti fosse stata svolta alcuna attività istruttoria nel giudizio di prime cure. In secondo luogo, la Corte territoriale avrebbe ribaltato l’onere probatorio ponendo in capo a RAGIONE_SOCIALE l’onere di provare che il prestatore di lavoro, nell’arco temporale in esame, fosse libero di autodeterminarsi o, comunque, non assoggettato il potere gerarchico. Inoltre, il giudice d’appello non avrebbe considerato che RAGIONE_SOCIALE, a fronte della genericità RAGIONE_SOCIALE allegazioni avversarie,
aveva, in sede di memoria difensiva specificamente dedotto le varie operazioni che il lavoratore deve effettuare dal momento dell’entrata all’uscita e viceversa.
Di conseguenza sotto un primo profilo il collegio avrebbe errato nella parte della sentenza in cui ha ritenuto pacifici e dunque provati dei fatti ampiamente contestati dalla società, e così facendo il collegio era giunto a ritenere provate le circostanze dedotte dalle lavoratrici ricorrenti in primo grado. Sotto ulteriore profilo la ricorrente ha evidenziato come la motivazione fornita dalla Corte d’appello tradirebbe una erronea e contraddittoria interpretazione dell’art.1, comma 2 lett. A) del d.lgs. 66/2003 con specifico riferimento ai presupposti che, ai sensi della disposizione invocata, consentono di definire il tempo che il dipendente mette a disposizione dell’azienda come orario di lavoro; posto che nel caso di specie non sussisteva nessun potere direttivo e/o gerarchico e/o eterodirettivo esercitato dalla società datrice di lavoro sulle dipendenti.
2.1.Il secondo motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità e profili di infondatezza.
In primo luogo, il motivo viola il principio di specificità del ricorso per cassazione, promuovendo censure eterogenee, di fatto e di diritto, processuali e sostanziali, promiscuamente accorpate (v. Cass n. 7009/2017)
In secondo luogo, il motivo deduce per buona parte censure che attengono agli accertamenti di fatto ed alla valutazione RAGIONE_SOCIALE prove come tali non deferibili a questa Corte di legittimità (v. Cass n. 30577/2019 ).
2.2. Sul piano logico e giuridico, nella sentenza impugnata non si rinviene, in ogni caso, alcuna violazione di legge, perché la Corte d’appello si è adeguata a quella che è l’interpretazione corrente e consolidata della normativa sull’orario di lavoro ai sensi del d.lgs. n. 66/2003 e RAGIONE_SOCIALE direttive comunitarie nn. 93/104 e 203/88. Avendo la Corte
fondato la propria pronuncia sul medesimo principio di diritto richiamato nel ricorso da RAGIONE_SOCIALE ovvero quello secondo cui il tempo retribuito richiede che le operazioni anteriori o posteriori alla conclusione della prestazione di lavoro siano necessarie e obbligatorie.
In tal senso è orientata la giurisprudenza consolidata di questa Corte, con orientamento di recente ribadito proprio in relazione a vertenze promosse da lavoratori RAGIONE_SOCIALE ai fini della computabilità del tempo per raggiungere il luogo di lavoro, il quale rientra nell’attività lavorativa vera e propria (e va quindi sommato al normale orario di lavoro) allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione lavorativa (Cass. 27008/2023).
La stessa soluzione è da sempre estesa nella giurisprudenza di legittimità a tutte le attività preparatorie e preliminari alla prestazione lavorativa (ordinanza 27799/2017, ordinanza n. 12935/2018).
In termini specificamente aderenti al tema oggetto della presente causa è stato pure affermato (sentenza n. 13466 del 29/05/2017) il principio secondo cui ‘ai fini della misurazione dell’orario di lavoro, l’art. 1, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 66 del 2003 attribuisce un espresso ed alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro; ne consegue che è da considerarsi orario di lavoro l’arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all’interno dell’azienda nell’espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, RAGIONE_SOCIALE mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico. (In applicazione di tale principio, la RAGIONE_SOCIALE ha considerato orario di lavoro il tempo impiegato dai dipendenti di una acciaieria per raggiungere il posto di lavoro, dopo aver
timbrato il cartellino marcatempo alla portineria dello stabilimento, e quello trascorso all’interno di quest’ultimo immediatamente dopo il turno)’.
2.3. Ciò posto, la Corte territoriale non ha affermato nulla di diverso rispetto a tali principi; e solamente -secondo i propri poteri discrezionali in materia di selezione e valutazione del materiale probatorio – ha effettuato una diversa valutazione RAGIONE_SOCIALE circostanze di fatto acquisite in giudizio in ordine alle operazioni che i lavoratori devono compiere: avendo considerato necessario e obbligatorio fare il tragitto dall’ingresso fino alla postazione di lavoro e compiere ogni altra attività preliminare cui essi sono tenuti, prima, ai fini del log in e, dopo, ai fini del log out.
Per la Corte di appello si tratta di una attività eterodiretta ed obbligatoria e tale conclusione deve essere ritenuta altresì logica e fondata perché è la datrice di lavoro che ha deciso come strutturare la propria sede; dove collocare la postazione di lavoro dei ricorrenti ed il percorso da effettuare; è la datrice di lavoro che ha assegnato ai ricorrenti mansioni svolgibili solo tramite una postazione telematica ed ha quindi provveduto a scegliere il tipo di computer che ha ritenuto più opportuno e ne ha determinato con puntualità la procedura di accensione necessaria all’uso della stessa determinando così anche i tempi necessari; e’ la datrice che ha deciso che all’orario esatto di inizio turno i ricorrenti debbano essere già innanzi alla propria postazione già inizializzata e pronta all’uso; è la TIM, infine che, con il regolamento aziendale del febbraio 2017, ha deciso che tutti coloro che accedono agli spazi aziendali sono tenuti durante la loro permanenza all’osservanza di un comportamento corretto e rispettoso RAGIONE_SOCIALE regole stabilite da RAGIONE_SOCIALE.
Conta pure rilevare inoltre che è pacifico che fino al marzo 2013 questo tempo iniziale e finale della prestazione era
considerato tempo di lavoro ed è sempre stato retribuito da RAGIONE_SOCIALE.
3.- Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. con riferimento alla statuizione di condanna della società al pagamento RAGIONE_SOCIALE differenze retributive anche con riferimento alla prescrizione; posto che, a differenza di quanto affermato dal giudice d’appello, la società ricorrente avrebbe provato e documentato il tempo di percorrenza dai tornelli alla postazione (circa 2-3 minuti), mentre i lavoratori nulla avevano dedotto di specifico sul punto. La società ricorrente aveva puntualmente evidenziato come la quantificazione del tempo impiegato dai lavoratori per recarsi dall’ingresso della sede alla propria postazione di lavoro come genericamente dedotta nel ricorso di primo grado fosse all’evidenza comunque eccessiva, generica e priva di riscontro, nonché indicata senza alcun elemento probatorio al supporto. Nel caso di specie come detto le odierne controricorrenti si erano limitate a dedurre la natura di orario di lavoro del predetto lasso temporale, senza offrire alcuna prova in merito alla relativa durata di tale periodo.
3.1. Il motivo è inammissibile essendo incentrato sul tema dell’accertamento dei fatti ed è comunque privo di autosufficienza.
Le stesse censure proposte nel motivo di ricorso violano infatti l’onere di specificità e di autosufficienza del ricorso, di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., pur nella versione dell’onere di specificazione modulata in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/RAGIONE_SOCIALE), secondo i criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti per la parte d’interesse ( in particolare del ricorso dei lavoratori che si dice carente e generico) in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità
e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (cfr. Cass. 04/02/2022 n. 3612).
3.2. Inoltre le questioni poste dallo stesso motivo, implicanti accertamenti di fatto, non sono state specificamente affrontate dalla sentenza impugnata; costituiva pertanto onere della ricorrente, onde impedire una valutazione di novità della questione, allegare l’avvenuta deduzione di esse innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. 20694/2018, 15430/2018, 23675/2013), come, viceversa, non è avvenuto.
3.2. Il motivo non tiene conto che la Corte di appello ha effettuato un accertamento di merito sul tempo di lavoro, attraverso una valutazione di fatto e senza fare applicazione del principio dell’onere della prova e della regola dell’art. 2697 c.c. e non ha perciò certamente violato tale disposizione; mentre i controricorrenti avevano richiesto il pagamento del periodo di tempo minimo, necessario ed inevitabile, per effettuare gli spostamenti; ed è quindi irrilevante ogni eventuale variabilità in più del tempo impiegato.
3.3. E’ infine infondata la censura relativa alla prescrizione RAGIONE_SOCIALE spettanze retributive in oggetto in corso di rapporto alla stregua dell’orientamento di legittimità che si è oramai consolidato sulla scia della nota pronuncia di questa Corte di cassazio ne n. 26246 del 06/09/2022 secondo cui ‘Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lgs. n. 23 del 2015, mancando
dei presupposti di predeterminazione certa RAGIONE_SOCIALE fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro’. A tale orientamento il Collegio intende riportarsi non emergendo giustificate ragioni per discostarsene.
4.- Sulla scorta RAGIONE_SOCIALE premesse, il ricorso va quindi respinto e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 c omma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 27.3.2024