Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20529 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 20529 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 15449-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N. 15449/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 09/04/2025
PU
avverso la sentenza n. 145/2019 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO SEZ. DIST. DI BOLZANO, depositata il 11/10/2019 R.G.N. 55/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME
R.G. 15449/20
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del giorno 11.10.2019 n. 145, la Corte d’appello di Trento -sezione distaccata di Bolzano -, respingeva il gravame proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Bolzano che aveva rigettato il ricorso proposto da quest’ultima società nei confronti dell’Inps, volto a chiedere l’accertamento negativo del credito per contributi e sanzioni esposti nel verbale ispettivo del 13.2.2017 dell’Ispettorato nazionale del Lavoro (INL), a mezzo del quale veniva accertato che a d ecorrere dall’ottobre 2011 la società RAGIONE_SOCIALE aveva iniziato a versare per due suoi dipendenti, l’importo dei contributi previdenziali calcolato su un massimale contributivo rivalutato annualmente, ex art. 2 comma 18 della legge n. 335/95, applicabi le in caso d’intervenuto esercizio del diritto d’opzione per il sistema contributivo, da parte del lavoratore. Nel verbale, si rilevava che la comunicazione all’Inps dei due dipendenti, di esercizio dell’opzione per il sistema contributivo integrale, era d el 31.10.2016, pertanto, l’Istituto aveva addebitato alla società l’importo di € 319.930,82, a titolo
di contributi per la parte eccedente il massimale ed € 50.478,70 a titolo di somme aggiuntive, per il periodo aprile 2012-agosto 2016: infatti, l’opzione era stata manifestata solo verbalmente alla datrice di lavoro nel corso del 2011 ed erroneamente la società datrice, da quel momento, aveva iniziato a inserire nelle denunce individuali dei lavoratori RAGIONE_SOCIALE, il codice di tributo specificamente previsto a tale fine, dalla circolare Inps n. 177 del 7.9.1996, mentre la comunicazione all’Inps era stata effettuata solo il successivo 30.10.2016, con la quale i due dipendenti avevano confermato la scelta già effettuata verbalmente al datore di lavoro nel 2011.
La Corte d’appello ha confermato le ragioni del rigetto della domanda espresse dal tribunale, infatti, la Corte del merito ha rilevato che le norme d’interesse individuano nell’ente previdenziale il soggetto destinatario dell’opzione e non nel datore di lavoro che è parte del rapporto di lavoro, in corso alla data dell’esercizio dell’opzione, essendo l’Inps e non il datore di lavoro il soggetto al quale compete istituzionalmente la verifica della sussistenza dei requisiti contributivi necessari per l’esercizio del diritto d’opzione, finalizzato alla liquidazione del trattamento pensionistico esclusivamente con le forme del sistema contributivo, né avevano rilievo eventuali comportamenti concludenti del datore di lavoro, quale il versamento dei contributi nei limiti del massimale attraverso i modelli uniEmens, che si configurerebbero come una illegittima autoriduzione del carico contributivo.
Avverso tale sentenza, la società RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, mentre l’Inps ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il PG ha rassegnato conclusioni scritte, nel senso del rigetto del ricorso.
Il Collegio riserva sentenza, nel termine di novanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 1 comma 23 e 2 comma 18 della legge n. 335/95 perché erroneamente, la Corte d’appello aveva ritenuto che la comunicazione resa dalla società datrice di lavoro all’Ente previdenziale non poteva essere idonea a comunicare l’intenzione del lavoratore per l’esercizio del diritto di opzione sia perché inviata da un soggetto diverso rispetto al titolare del diritto di opzione sia perché non emergeva una manifestazione di volontà del lavoratore, in quanto il diritto di opzione si esercita con un atto unilaterale recettizio, ex artt. 1324, 1334 c.c., che per produrre i suoi effetti in capo al destinatario deve essere esercitato dal diretto interessato.
Con il secondo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 1334 e 1399 c.c., perché la Corte d’appello non aveva ritenuto l’efficacia ex tunc dell’esercizio del diritto di opzione, effettuato i l 31.10.2016 all’Inps, mediante raccomandata ovvero la sua valenza di ratifica della precedente comunicazione verbale, alla società datrice, della volontà dei dipendenti di effettuare l’opzione per il regime contributivo.
La controversia pone la questione delle modalità di esercizio del diritto di opzione di cui all’art. 1, comma 23, della legge nr. 335 del 1995 novellato dal D.L. 28 settembre 2001, n. 355,
convertito con modificazioni dalla L. 27 novembre 2001, n. 417, che consente ai lavoratori -che, alla data del 31 dicembre 1995, possono far valere un’anzianità contributiva pari o superiore a 15 anni, di cui almeno 5 nel sistema contributivo- di optare per la liquidazione del trattamento pensionistico esclusivamente con le regole del sistema contributivo.
In proposito, va rilevato che che la legge n. 335 del 1995, art. 1, nell’introdurre dal 1° gennaio 1996 il nuovo sistema di calcolo contributivo della pensione, ha preso in esame, ai commi 12 e 13, la posizione dei lavoratori che già avevano una anzianità contributiva alla data del 31 dicembre 1995.
In particolare, il comma 12 disciplina la posizione dei lavoratori (iscritti nell’assicurazione generale obbligatoria e nelle forme sostitutive ed esclusive della stessa) che al 31 dicembre 1995 avevano un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni: per detti lavoratori il calcolo del trattamento pensionistico avviene secondo il principio del pro rata, con la distinzione di due quote, in modo che le anzianità contributive maturate al 31.12.1995 restino liquidate con il sistema retributivo.
Il successivo comma 13 considera, invece, i lavoratori con anzianità contributiva alla data del 31.12.1995 di almeno 18 anni e dispone che la pensione resti in tal caso liquidata interamente con il sistema retributivo.
Il comma 23 del medesimo articolo 1, qui rilevante, al secondo periodo, ha introdotto la facoltà dei lavoratori di cui ai precedenti commi 12 e 13 -e cioè i lavoratori la cui pensione sia liquidata con il sistema retributivo, pro rata (comma 12) o interamente (comma 13)- di optare per la liquidazione della intera pensione con il sistema contributivo «a condizione che
abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a quindici anni di cui almeno cinque nel sistema medesimo».
L’articolo 2, comma 1, del d.l. 28 settembre 2001, n. 355, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 2001, n. 417, ha in seguito interpretato autenticamente il predetto periodo, stabilendo che esso: «si interpreta nel senso che l’opzione ivi prevista è concessa limitatamente ai lavoratori di cui al comma 12 del predetto articolo 1 che abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a quindici anni, di cui almeno cinque nel sistema contributivo».
L’opzione, poi, quanto alle ricadute sul piano dell’obbligo contributivo gravante sul datore di lavoro, è disciplinata dall’art. 2, comma 18, della legge nr. 335 che, nella parte di interesse, stabilisce quanto segue: « per coloro che esercitano l’opzione per il sistema contributivo, ai sensi del comma 23 dell’art. 1, è stabilito un massimale annuo della base contributiva e pensionabile , con effetto sui periodi contributivi successivi alla data di esercizio dell’opzione».
È’pacifico come detto – che i lavoratori (in relazione alla cui posizione è insorta controversia) avessero, in astratto, i requisiti utili per formulare la scelta del sistema di calcolo interamente contributivo, ai fini della liquidazione del futuro trattamento pensionistico e l’unica questione devoluta al Collegio riguarda la validità dell’opzione, come in concreto esercitata, con dichiarazione di volontà indirizzata al datore di lavoro e, da quest’ultimo, inoltrata all’INPS, mediante comunicazione Uniemens.
L’assunto della società ricorrente, che ne propugna la validità, non è condivisibile.
È vero che le norme richiamate, nel disciplinare l’istituto, fanno riferimento unicamente ad un’opzione da parte del lavoratore, senza ulteriori indicazioni circa le modalità attraverso le quali la stessa debba essere formulata.
E tuttavia, forma e modi dell’opzione sono connaturali alla natura e agli effetti propri dell’atto in questione.
L’opzione di cui all’art. 1, comma 23, della legge nr. 335 del 1995 è un negozio unilaterale, necessariamente recettizio, idoneo a determinare la scelta del sistema di calcolo del futuro trattamento pensionistico. Con l’opzione, l’interessato manifesta la volontà di preferire, quale criterio per la liquidazione della pensione, le regole del sistema contributivo. Essa, dunque, integra un diritto potestativo del lavoratore, al cui valido esercizio la legge ricollega effetti sul rapporto previdenziale, tra lavoratore assicurato ed ente assicurativo, e, in via conseguenziale, su quello contributivo, tra datore di lavoro ed ente assicuratore, per la corrispondente previsione di un massimale.
La portata della scelta, i riflessi, anche di natura pubblicistica, e le connesse esigenze di certezza impongono allora di ritenere che la manifestazione di volontà sia espressa in forma scritta dal lavoratore e indirizzata all’Ente previdenziale, nella cu i sfera giuridica, secondo le regole di cui all’art. 1334 c.c., è destinata a produrre i suoi effetti.
Si tratta di oneri proporzionati alla rilevanza dell’atto, funzionali allo stesso e compatibili -quanto alla necessità di forma scritta
– con una deroga al generale principio di libertà delle forme degli atti.
Ne consegue, pertanto, che le indicate modalità di forma non sono surrogabili dalla comunicazione mensile datoriale dei flussi cd. Uniemens, dovendosi al contempo precisare che ogni diversa questione -concernente, per esempio, la sussistenza di un potere rappresentativo conferito dall’interessato al datore di lavoro- resta del tutto estranea dalla presente fattispecie.
Venendo all’esame dei motivi di ricorso, si rileva quanto segue. Il primo motivo è, in via preliminare, inammissibile, perché censura genericamente e non si confronta con la statuizione dalla Corte d’appello secondo cui, il diritto d’opzione, a prescindere dalla forma utilizzata, ha natura recettizia e deve essere comunicato al destinatario individuato nell ‘Istituto previdenziale, quale soggetto legittimato passivo e che solo con la comunicazione del 31.10.2016 era stata espressa una dichiarazione di volontà conforme al precetto normativo; nel merito, il motivo è infondato, in quanto, nessun compito è attribuito al datore di lavoro nella trasmissione all’ente della dichiarazione di volontà del lavoratore: da parte sua, invece, la società ricorrente ‘spende’ buona parte delle proprie argomentazioni, in un profilo non decisivo, cioè, che il datore non aveva necessità di una delega scritta per comunicare la volontà del lavoratore di esercitare il diritto di opzione.
Il secondo motivo è, in via preliminare, inammissibile, perché il ricorrente non riporta dove e quando abbia svolto analoga censura nei precedenti gradi di giudizio; nel merito, è infondato, in quanto vuole accreditare un’interpretazione dell’efficacia degli atti unilaterali che contrasta con entrambe le prospettazioni dei
giudici di merito, nel senso che ritiene che l’atto unilaterale, destinato ad avere efficacia nei confronti del destinatario, possa retroagire a un momento precedente a quello della ricezione dello stesso, per scelta unilaterale del dichiarante, quando tale scelta non può all’evidenza operare nel rapporto previdenziale, ove per volontà del legislatore e salve le ipotesi tassativamente disposte dallo stesso, non è prevista la possibilità di disporre liberamente del rapporto previdenziale stesso.
Il ricorso va, quindi, respinto e può enunciarsi il seguente principio di diritto:
«La volontà di optare per la liquidazione del trattamento pensionistico esclusivamente con le regole del sistema contributivo, ex art 1, comma 23, della legge nr. 335 del 1995, va espressa con dichiarazione scritta, indirizzata dall’interessato all’Ente previdenziale. La comunicazione mensile Uniemens del datore di lavoro non è idonea a surrogare detta manifestazione di volontà».
La novità della questione giustifica la compensazione delle spese.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso.
Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 9.4.25.