Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7343 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7343 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7542/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del rappresentante legale in atti indicato, già elettivamente domiciliata presso lo studio legale dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è ora domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliata per legge;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
Ad. cc. 12 marzo 2025
-intimato-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 358/2023 depositata il 18/01/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025 dal
Consigliere COGNOME NOME;
FATTI DI CAUSA
Ad istanza della RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Velletri emise decreto ingiuntivo nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, rispettivamente la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE)
Successivamente, sempre ad istanza della RAGIONE_SOCIALE, fu eseguito il pignoramento presso terzi dei crediti del debitore esecutato RAGIONE_SOCIALE nei confronti del terzo RAGIONE_SOCIALE (di seguito, sempre per brevità, la RAGIONE_SOCIALE), fino alla concorrenza di euro 66.752,79, e la procedura è stata rubricata al n. 1990/2013 R.G.E. del Tribunale di Velletri.
RAGIONE_SOCIALE, terza pignorata, con pec del 04/02/2014, inviò al creditore procedente la sua dichiarazione ai sensi dell’art. 547 c.p.c., di senso negativo.
Tale dichiarazione fu contestata dal creditore procedente, sul presupposto che tra il debitore esecutato NOME ed il terzo NOME era intervenuto il 16/07/2013 atto di cessione di ramo di azienda, per effetto del quale la RAGIONE_SOCIALE aveva delegato alla RAGIONE_SOCIALE i pagamenti dovuti ai subappaltatori relativamente al ramo di azienda ceduto, tra i quali rientrava anche il suo credito.
Nelle more, con sentenza n. 38/2014 del 08/07/2014, il Tribunale di Avellino dichiarò il fallimento della debitrice esecutata Emp.
Il Giudice dell’esecuzione – dopo aver rilevato che il creditore non aveva introdotto la fase di accertamento ex art. 549 c.p.c. e dopo aver pertanto chiuso detta fase – con successiva ordinanza del 20/07/2015 assegnò comunque alla RAGIONE_SOCIALE le somme pignorate, ordinando alla RAGIONE_SOCIALE di pagare le somme stesse all’assegnataria.
RAGIONE_SOCIALE, ritenuto che l’ordinanza di assegnazione fosse illegittima, propose opposizione avverso detta ordinanza, con ricorso ex art. 617, comma 2 c.p.c.
Il Giudice dell’esecuzione sospese in via cautelare l’efficacia esecutiva dell’ordinanza di assegnazione impugnata e concesse il termine per l’introduzione del giudizio di merito, ai sensi dell’art. 618, comma 2 c.p.c.
Con atto di opposizione ex art. 617 c.p.c. la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE al fine di sentire accertare la nullità ed illegittimità dell’ordinanza di assegnazione delle somme emessa nel procedimento iscritto al n° 1990/13 RGE atteso l’intervenuto fallimento della debitrice RAGIONE_SOCIALE, la violazione del disposto di cui all’art. 630 c.p.c. e la violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c. A sostegno dell’opposizione, la RAGIONE_SOCIALE deduceva che: a) tra il terzo pignorato ed il debitore vi era stata una cessione di ramo d’azienda e dai conteggi effettuati il terzo era in realtà creditore (a sua volta) del debitore principale; b) nelle more era intervenuto il RAGIONE_SOCIALE del debitore principale con conseguente improcedibilità dell’azione intrapresa.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, contestando la domanda avversaria, della quale chiedeva il rigetto, con conferma della ordinanza impugnata. In estrema sintesi, secondo parte opposta, la RAGIONE_SOCIALE, a seguito dell’acquisto, per cessione, del ramo di azienda della RAGIONE_SOCIALE, era divenuta essa stessa sua debitrice, in quanto con detta cessione il debito era stato trasferito dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE. Comunque, chiedeva accertarsi il suo diritto alla riscossione del credito vantato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
Nessuno si costituiva in giudizio per il RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale di Velletri con sentenza n. 234/2017 in accoglimento dell’opposizione:
in accoglimento dell’opposizione, revocava l’ordinanza emessa in data 16/07 /2015 depositata in data 20/07/2015;
in accoglimento della domanda di accertamento, articolata in via subordinata dalla RAGIONE_SOCIALE, accertava che quest’ultima era creditrice nei confronti della RAGIONE_SOCIALE della somma di € 69.029,43;
compensava integralmente tra le parti le spese di lite.
Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE, articolando più motivi, ad alcuni dei quali rinunciava dopo la notifica dell’atto di appello. Pertanto, il giudizio di appello proseguiva soltanto in relazione al secondo motivo di appello, attinente al capo della sentenza con la quale il giudice di primo grado aveva accolto la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE. Parte appellante concludeva, chiedendo alla Corte di dichiarare l’inammissibilità della domanda del creditore procedente diretta all’accertamento di un credito dello stesso nei confronti di essa terza, e conseguentemente, revocare l’accertamento della esistenza del credito della RAGIONE_SOCIALE nei suoi confronti per la somma di euro 69.029,43.
La RAGIONE_SOCIALE si costituiva anche nel giudizio di appello, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità ovvero l’infondatezza dell’impugnazione, con vittoria delle spese del grado.
La Corte d’appello di Roma con sentenza n. 358/2023, richiamato il principio stabilito da Cass. n. 9868/2021, dichiarava inammissibile l’appello, condannando la RAGIONE_SOCIALE al rimborso delle spese processuali relative al grado in favore di parte appellata RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
Il difensore di parte ricorrente ha depositato memoria a sostegno del ricorso.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La RAGIONE_SOCIALE – nel dolersi che è stato dichiarato inammissibile il suo appello avverso il provvedimento abnorme con il quale il giudice di primo grado si era pronunciato su un’autonoma domanda di accertamento di un rapporto debito-credito, che era stata proposta dalla RAGIONE_SOCIALE (convenuta in un giudizio di opposizione agli atti esecutivi) del tutto estranea all’oggetto della opposizione – articola in ricorso due motivi.
1.1. Con il primo motivo, denuncia: <>.
Sostiene che la sentenza resa nel giudizio di primo grado è un provvedimento abnorme, in quanto il giudice dell’opposizione agli atti esecutivi ha interpretato la domanda della RAGIONE_SOCIALE come autonoma domanda di accertamento della esistenza di un credito nei confronti di essa NOME, e l’ha accolta, senza previamente qualificarla in alcun modo, anziché dichiararla inammissibile.
Richiamando il principio affermato da Cass. n. 28131/2022, osserva che l’art. 617 c.p.c. delinea e circoscrive il ‘ thema decidendum’ del giudizio di opposizione agli atti esecutivi, sancendone la natura tipicamente rescindente. L’oggetto di tale giudizio, per espressa disposizione di legge, è circoscritto al vaglio della legittimità dei singoli segmenti del processo esecutivo, e quindi dei singoli atti esecutivi, nei limiti delle censure mosse dall’opponente. Con la conseguenza che la domanda di accertamento, proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, non poteva avere ingresso nel giudizio di opposizione ex art. 617 c.p.c. ed avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile dal giudice dell’opposizione.
Sottolinea che essa – poiché il giudice di primo grado aveva accolto la domanda di accertamento della RAGIONE_SOCIALE con sentenza avente efficacia di giudicato esterno ai sensi dell’art. 2909 c.c. – non aveva potuto far altro che impugnare detta sentenza con l’appello.
Invocando principi della giurisprudenza di questa Corte, sostiene che la corte di merito – in presenza di una sentenza solo formalmente unica, ma contenente due distinte decisioni (la prima attinente alla opposizione agli atti esecutivi e la seconda attinente ad altra domanda decisa) con una pronuncia dichiarativa della esistenza di un credito (del tutto indipendente dalla opposizione esecutiva); e, nella totale assenza di una qualificazione della domanda della parte opposta da parte del Giudice del primo grado, avrebbe dovuto qualificare la domanda come
ordinaria domanda di accertamento della esistenza di un credito e, quindi, ritenere legittimo l’appello da essa proposto.
1.2. Con il secondo motivo, denuncia: <>.
Invocando il principio affermato da Cass. n. 10206/2021, si duole che la corte territoriale, nel liquidare le spese del grado in favore della appellata vittoriosa, ha riconosciuto anche il compenso per la “fase istruttoria e/o di trattazione”, che in realtà non ha avuto luogo nel giudizio appello.
Il primo motivo non è fondato.
Giova premettere che la questione, che esso sottende, non è la qualificazione della domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE (che è stata qualificata come opposizione agli atti esecutivi dalla stessa società, oltre che dal giudice di primo grado, per come ritenuto dalla corte territoriale), ma la mancata qualificazione della domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE da parte del giudice di primo grado.
In estrema sintesi, secondo la ricorrente, come sopra rilevato, la corte territoriale, in assenza di detta qualificazione, avrebbe dovuto qualificare la domanda come autonoma domanda di accertamento dell’esistenza di un credito della RAGIONE_SOCIALE nei confronti di essa ricorrente, e, ritenuto ammissibile l’appello (il cui oggetto era per l’appunto l’autonomo capo della sentenza con il quale era stata decisa detta autonoma domanda, mai qualificata dal giudice di primo grado), avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la domanda autonomamente
introdotta dalla RAGIONE_SOCIALE nell’ambito del giudizio di opposizione ex art. 617 c.p.c..
Orbene, vero è che, secondo un consolidato principio di diritto, anche di recente affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 907/2004 e n. 6844/2024), <>.
Tuttavia, erra la ricorrente quando afferma, come fa in memoria (p. 6), che: <> e che <>.
Invero, questa Corte ha di recente precisato (Cass. n. 33464/2024) che: <>.
Tanto nel solco di precedente pronuncia (Cass. n. 11111/2020), nella quale era stato affermato che: <>.
Orbene, nel caso sotteso al ricorso in esame, la richiesta di accertamento dell’esistenza di un debito del terzo pignorato nei confronti della creditrice precedente non trasmoda in una causa diversa, condizionando intrinsecamente la fondatezza della proposta opposizione. Invero, secondo parte opposta, come si desume dallo stesso ricorso (p. 6), la RAGIONE_SOCIALE, a seguito dell’acquisto, per cessione, del ramo di azienda della RAGIONE_SOCIALE, era divenuta essa stessa sua debitrice, in
quanto con detta cessione il debito era stato trasferito dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE.
In definitiva, l’accertamento del credito (in sede ‘riconvenzionale’ in azione ai sensi dell’art. 617 c.p.c.) era la ragione della contestazione del creditore opposto all’opposizione all’ordinanza ai sensi dell’art. 553 c.p.c.
Pertanto, il motivo di ricorso potrebbe essere deciso già soltanto sulla base del presente principio di diritto:
<>.
D’altronde ed in via dirimente, l’ordinanza di assegnazione di un credito ex 553 c.p.c., una volta pronunciata, può essere opposta soltanto per vizi suoi propri o degli atti che l’hanno preceduta (oltre che per confutare l’interpretazione che il giudice dell’esecuzione ha dato alla dichiarazione del terzo, anche quanto alla entità ed alla esigibilità del credito: Cass. n. 20310/12), ma, comunque, sempre e solamente con opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 15822/23; n. 12690/22). Ciò in quanto, una volta concluso il procedimento esecutivo con l’assegnazione del credito pignorato, non è più possibile contestare il diritto di procedere ad esecuzione forzata, nelle forme dell’opposizione ex art. 615 c.p.c.
Fondato è, invece, il secondo motivo.
Occorre premettere che, nel caso di specie, nel giudizio di appello si sono tenute esclusivamente l’udienza di prima comparizione del 13/06/2018 – nella quale la Corte si è limitata a rinviare la causa ad altra udienza per la decisione e non si è svolta nessuna delle attività
previste dall’art. 350 c.p.c., ovvero di quelle riconducibili alla previsione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, lett. c) – e l’udienza di precisazione delle conclusioni, quest’ultima tenutasi in trattazione scritta, in applicazione dell’art. 221 d.l. n. 34 del 2020, come convertito nella legge n. 77 del 2020, su disposizione della Corte con decreto del 28/01/2021.
Orbene, il Collegio non ignora che, secondo una recente ordinanza di questa Corte (Cass. n. 8870/2022, che richiama Cass. n. 20993/2020 e n. 21743/2019), <>; e che, secondo una ordinanza ancora più recente (Cass. n. C 28325/22, che richiama Cass. n. 15182/2022) <>.
Tuttavia, essendo specifico al giudizio di appello e – pertanto – più rispettoso delle peculiarità di questo e delle attività defensionali ivi svolte, reputa preferibile dare continuità al principio di diritto (già
affermato da Cass. n. 10206/2021 e di recente ribadito da Cass. n. 29077/2024) secondo il quale <>.
In definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata, sia pure esclusivamente con riferimento alla liquidazione delle spese di lite poste a carico della parte soccombente; e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, essa può anche essere decisa nel merito, con rideterminazione dell’importo delle spese liquidate in favore della appellata per il secondo grado, con esclusione dei compensi per la fase istruttoria e/o di trattazione.
L’accoglimento solo parziale del ricorso e, per di più, esclusivamente in punto di regolazione delle spese del grado di appello giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il primo ed accoglie il secondo motivo;
cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito, condanna l’odierna ricorrente al pagamento delle spese di lite relative al giudizio di secondo grado, liquidandole in euro 9.515,00, oltre spese generali e accessori come per legge;
compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 12 marzo 2025, nella camera di