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Onere della prova licenziamento: chi paga il conto?

Con la sentenza n. 7647/2019, la Cassazione Civile, Sezione Lavoro, ha affrontato il tema dell’onere della prova nel licenziamento illegittimo. Un istituto di credito, condannato a risarcire un dipendente, sosteneva che il risarcimento dovesse essere ridotto per la mancata ricerca di un nuovo lavoro da parte di quest’ultimo. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che l’onere della prova della negligenza del lavoratore grava interamente sul datore di lavoro, il quale deve allegare fatti specifici e non può limitarsi a una contestazione generica.

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Pubblicato il 5 luglio 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile
In caso di licenziamento illegittimo, chi deve dimostrare che il lavoratore si è impegnato (o meno) a cercare una nuova occupazione? Questa è una domanda cruciale che determina l’entità del risarcimento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito una risposta netta, chiarendo l’onere della prova nel licenziamento e definendo con precisione le responsabilità del datore di lavoro. Analizziamo la decisione per capire le sue implicazioni pratiche.

Il caso: licenziamento e richiesta di risarcimento

La vicenda giudiziaria inizia quando un istituto bancario licenzia un suo dipendente per motivi disciplinari. La Corte d’Appello, in una prima fase, annulla il licenziamento giudicandolo illegittimo e ordina la reintegrazione del lavoratore. Successivamente, con una seconda sentenza, la stessa Corte condanna la banca a versare al dipendente un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità.

L’istituto bancario, tuttavia, non si arrende e ricorre in Cassazione. Il punto centrale del ricorso è che, secondo la banca, l’indennità avrebbe dovuto essere ridotta perché il lavoratore non si era adoperato con la dovuta diligenza per trovare un’altra occupazione, rimanendo colpevolmente inattivo.

L’onere della prova nel licenziamento: l’argomento del datore di lavoro

L’azienda sosteneva che il lavoratore avesse sistematicamente omesso di allegare o provare qualsiasi impegno volto alla ricerca di un nuovo impiego. Secondo la tesi difensiva, questa negligenza avrebbe dovuto comportare una diminuzione del risarcimento, applicando il principio secondo cui il creditore (il lavoratore) non ha diritto al risarcimento per i danni che avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

In sostanza, la banca tentava di ribaltare l’onere probatorio sul dipendente, chiedendogli di dimostrare di essere stato diligente. Ma la Cassazione ha seguito un percorso argomentativo del tutto diverso.

La distinzione chiave: Art. 1227 c.c. e le responsabilità delle parti

La Suprema Corte ha basato la sua decisione sulla corretta interpretazione dell’art. 1227 del codice civile, che disciplina il concorso di colpa del creditore. La norma si divide in due parti ben distinte:

Comma 1: Concorso di colpa nella causazione del danno

Questa ipotesi si verifica quando il comportamento colposo del creditore ha contribuito a causare il danno iniziale. In questo caso, il giudice può rilevare d’ufficio tale concorso di colpa.

Comma 2: Danno evitabile con l’ordinaria diligenza

Questa seconda ipotesi riguarda il comportamento del creditore successivo all’illecito. Se il creditore, con la normale diligenza, avrebbe potuto evitare che il danno si aggravasse, non ha diritto al risarcimento per la parte di danno che poteva essere evitata. Questa, chiarisce la Corte, è un’eccezione in senso stretto: deve essere sollevata e provata dalla parte che ne ha interesse, ovvero il debitore (in questo caso, il datore di lavoro).

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Applicando questi principi al caso di specie, la Corte ha stabilito che l’argomentazione della banca era infondata. L’assunto secondo cui il lavoratore avrebbe dovuto provare il suo ‘impegno volto a cercare una nuova occupazione’ è errato. È il datore di lavoro, che intende ottenere una riduzione del risarcimento, a dover sopportare l’onere della prova del licenziamento e della conseguente negligenza del dipendente.

Il datore di lavoro non può limitarsi a una contestazione generica o a chiedere al giudice di avviare indagini esplorative. Deve, al contrario, allegare e provare circostanze di fatto specifiche che dimostrino la negligenza del lavoratore. Ad esempio, potrebbe dover dimostrare che esistevano concrete opportunità lavorative compatibili con la professionalità del dipendente in quel specifico mercato del lavoro e che il lavoratore le ha colpevolmente ignorate. In assenza di tali prove specifiche, il risarcimento non può essere ridotto.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per datori e lavoratori

La sentenza consolida un principio fondamentale a tutela del lavoratore ingiustamente licenziato. Non spetta al dipendente l’arduo compito di documentare ogni singolo sforzo compiuto per trovare una nuova occupazione. Al contrario, la presunzione gioca a suo favore. Spetta al datore di lavoro, se vuole ottenere uno ‘sconto’ sul risarcimento, attivarsi per dimostrare in modo concreto e circostanziato la colpevole inerzia del suo ex dipendente. Questa decisione rafforza la posizione del lavoratore e impone al datore di lavoro un onere probatorio rigoroso, impedendo eccezioni generiche e pretestuose.

In caso di licenziamento illegittimo, a chi spetta dimostrare che il lavoratore non ha cercato un nuovo lavoro?
La prova spetta interamente al datore di lavoro. È l’azienda che deve dimostrare che il lavoratore, con l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto trovare un’altra occupazione e ridurre così il danno.

Cosa deve fare il datore di lavoro per ottenere una riduzione del risarcimento per negligenza del lavoratore?
Il datore di lavoro non può limitarsi a una contestazione generica. Deve allegare e provare fatti specifici, come l’esistenza di concrete opportunità lavorative nel mercato di riferimento, adatte alla professionalità del dipendente, che quest’ultimo avrebbe colpevolmente trascurato.

Il lavoratore licenziato deve provare di aver cercato attivamente un’altra occupazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il lavoratore non ha l’onere di provare il suo impegno nella ricerca di un nuovo lavoro. L’onere della prova della sua eventuale negligenza grava sul datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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