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Onere della prova: compenso extra per medico dirigente

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un dirigente medico che richiedeva un compenso per prestazioni di consulenza svolte per un’altra Azienda Sanitaria. La Corte ha stabilito che grava sul lavoratore l’onere della prova di aver svolto tali prestazioni al di fuori del proprio orario di lavoro ordinario e dopo aver adempiuto a tutti gli obblighi contrattuali con l’ente di appartenenza.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Onere della prova nel pubblico impiego: chi dimostra il lavoro extra?

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro pubblico: la retribuzione per prestazioni aggiuntive. Il caso riguarda un dirigente medico e solleva una questione fondamentale sull’onere della prova: spetta al dipendente o all’amministrazione dimostrare che le attività extra sono state svolte al di fuori dell’orario di servizio ordinario? La risposta della Corte è netta e consolida un principio di responsabilità fondamentale per i lavoratori del settore pubblico.

I Fatti di Causa

Un dirigente medico, direttore di un’unità operativa presso un’Azienda Sanitaria Locale (ASL), aveva stipulato una convenzione per svolgere attività di consulenza specialistica a favore dei presidi ospedalieri di un’altra ASL. Per diversi anni, dal 2000 al 2009, ha svolto questo incarico, ma al momento di richiedere il pagamento, la ASL (nella quale erano nel frattempo confluite le precedenti entità) si è opposta.

Il medico ha ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento dei compensi, ma l’Azienda Sanitaria ha presentato opposizione. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione all’ente pubblico. Secondo i giudici di merito, il dirigente non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare due elementi essenziali: di aver completato il suo debito orario ordinario presso la struttura di appartenenza e di aver effettivamente svolto le prestazioni di consulenza in aggiunta a tale orario. Di fronte a questa doppia sconfitta, il medico ha deciso di ricorrere alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del dirigente medico, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. La Cassazione ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso, centrati sulla presunta violazione delle norme sull’onere della prova e sulla valutazione delle prove documentali.

Secondo i giudici, la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi giuridici, ponendo a carico del lavoratore, che chiede un compenso ulteriore, la responsabilità di dimostrare i fatti costitutivi del suo diritto. In questo specifico contesto, ciò significava provare di aver svolto le consulenze al di fuori dell’orario di lavoro standard, un requisito esplicitamente previsto sia dalla convenzione stipulata tra le parti sia dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) di riferimento.

Le Motivazioni della Corte sull’Onere della Prova

Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione dell’articolo 2697 del Codice Civile, che disciplina l’onere della prova. La Corte ha chiarito che, quando un dipendente pubblico richiede il pagamento per prestazioni aggiuntive, non è sufficiente dimostrare di aver svolto l’incarico extra. È indispensabile provare che tale incarico sia stato espletato dopo aver interamente assolto ai propri doveri lavorativi ordinari.

La stessa convenzione tra le ASL specificava che la consulenza sarebbe stata “effettuata fuori dell’orario di servizio dovuto presso l’U.O. di appartenenza”. Questa clausola, unita alle disposizioni del CCNL di settore, rendeva la prova dell’adempimento dell’orario ordinario un prerequisito per il diritto al compenso aggiuntivo.

La Corte ha inoltre specificato che le prove offerte dal ricorrente (documenti e richieste di testimonianze) non erano idonee a superare questo scoglio. La documentazione prodotta è stata ritenuta non avere valore di prova legale, ma di riflettere mere opinioni personali formulate in termini ipotetici. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha legittimamente ritenuto non provato il completo assolvimento del debito orario e, pertanto, ha negato il diritto al compenso.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale per chiunque lavori nel pubblico impiego e svolga incarichi extra-istituzionali. Il diritto a un compenso aggiuntivo non è automatico, ma è subordinato a una prova rigorosa. Il lavoratore deve essere in grado di dimostrare, in modo inequivocabile, di aver prima adempiuto a tutti i suoi obblighi contrattuali e solo successivamente di aver dedicato tempo a prestazioni ulteriori. In assenza di tale dimostrazione, l’onere della prova non è soddisfatto e la richiesta di pagamento non può essere accolta. La decisione serve da monito: la trasparenza e la corretta documentazione dell’attività lavorativa sono essenziali per tutelare i propri diritti.

Chi deve provare che le prestazioni extra sono state svolte al di fuori dell’orario di lavoro ordinario?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta al lavoratore che richiede il compenso aggiuntivo. È lui che deve dimostrare di aver adempiuto al proprio debito orario ordinario prima di svolgere le prestazioni extra.

Un dirigente medico può ricevere un compenso aggiuntivo per consulenze svolte per un’altra Azienda Sanitaria?
Sì, ma a condizione che tali prestazioni siano effettivamente aggiuntive e svolte al di fuori dell’orario di servizio dovuto presso la propria struttura di appartenenza. Il diritto al compenso sorge solo se viene fornita la prova di questo requisito.

La documentazione prodotta dal lavoratore è sempre considerata prova legale sufficiente?
No. Nel caso di specie, la Corte ha stabilito che la documentazione prodotta non aveva carattere di prova legale, in quanto rifletteva mere opinioni personali formulate in termini ipotetici. Pertanto, i giudici possono ritenerla inidonea a comprovare i fatti affermati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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