Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23639 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23639 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25202-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
Gestione separata
avvocati – sanzioni
R.G.N.25202/2019
COGNOME
Rep.
Ud.25/02/2025
CC
avverso la sentenza n. 82/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 20/02/2019 R.G.N. 909/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Salerno ha accolto parzialmente il gravame proposto da NOME COGNOME e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato non dovute le sanzioni applicate da INPS ai sensi dell’art. 116 comma 8 lett. B della L. 388/2000, ritenendo invece applicabile il regime di cui all’art. 116 comma 8 lett. A della stessa legge. In particolare, la Corte territoriale ha confermato l’obbligo contributivo in favore della gestione separata INPS sui redditi prodotti dal ricorrente per l’anno 2006 nell’ambito dell’attività professionale di avvocato iscritto all’albo, ai sensi dell’art. 2 co mma 26 L. 335/1995, come autenticamente interpretato dall’art. 18 comma 12 D.L. n.98 del 2011, con estensione della copertura assicurativ a nell’ambito della c.d. politica di universalizzazione delle tutele, senza il rischio di una duplicazione di contribuzione in presenza di duplice iscrizione per ciascuna diversa attività lavorativa.
Richiamati i principi regolatori della materia e considerato che non era stata riproposta in appello l’eccezione di intervenuta prescrizione quinquennale, con asserita decorrenza dalla presentazione della dichiarazione dei redditi, la Corte d’appello ha invece accolto l’eccezione dell’appellante contribuente relativa all’applicazione del regime sanzionatorio previsto per l’evasione fiscale dall’art. 116 comma 8 lett. B della L. 388/2000, afferente a denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero ovvero al caso di occultamento di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate; invero, nel caso di specie la
Corte non ha ravvisato un’intenzione specifica di non versare i contributi avendo il professionista appellante regolarizzato gli obblighi verso la cassa professionale e denunciato i redditi, in tal modo consentendo all’INPS di avanzare le proprie pretese. Pertanto, in presenza di incertezze giurisprudenziali sul punto, la Corte di merito ha ritenuto applicabile il disposto della lett. A dell’art. 116 relativo al ‘caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie’.
Ricorre per cassazione l’INPS deducendo un motivo a cui il professionista resiste con controricorso.
Nell’Adunanza del 25 febbraio 2025 il ricorso è stato trattato e deciso.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di ricorso l’Istituto di previdenza deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 116 comma 8 lett. a) e lett. b) della L. n. 388/2000, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che non ricorrerebbe nella specie la più grave ipotesi di evasione contributiva in luogo del meno gravoso regime sanzionatorio dell’omissione, nonostante il tardivo pagamento dei contributi e l’omessa comunicazione dello svolgimento di attività lavorativa. In particolare, non vi sarebbe stato un mero ritardo nell’adempimento ma un’ omissione che ha generato inadempimento, e l’Istituto aveva proceduto d’ufficio al calcolo del reddito di imposta dopo aver accertato in via autonoma che l’intimato aveva presentato un modello fiscale. In sostanza si doveva trattare di omessa denuncia, avendo l’INPS appreso solo indirettamente il rapporto di lavoro a seguito della dichiarazione
dei redditi, avvenuta peraltro oltre il termine previsto per l’adempimento dell’obbligazione contributiva.
Nel controricorso NOME invoca l’inammissibilità e/o l’improponibilità del ricorso per intervenuto atto di acquiescenza di INPS all’impugnata sentenza avendo l’Istituto comunicato la rideterminazione della somma dovuta per la posizione contributiva del professionista, ricalcolata in base alla pronuncia di secondo grado. Ne discenderebbe la sopravvenuta carenza d’interesse all’impugnazione proposta per aver e l’Istituto manifestato la volontà implicita di rinunciare all’impugnazione. Inoltre, evidenzia la condivisibile pronuncia di merito non avendo il professionista mai occultato alla gestione separata i propri redditi, regolarmente denunciati, sì da consentire all’INPS di avanzare le proprie pretese; e ad ogni modo non vi era l’intenzione specifica di occultare l’attività professionale svolta, poiché l’omissione dell’iscrizione alla gestione separata era stata indotta da incertezze giurisprudenziali e da lacune legislative.
3. Il ricorso è infondato.
L’unico motivo di ricorso involge la questione inerente alla distinzione tra le ipotesi di evasione ed omissione contributiva. Contrariamente a quanto affermato dal giudice di secondo grado, l’INPS insiste per la qualificazione della condotta del professio nista, pacificamente tenuto all’obbligo contributivo, nel senso di evasione per avere omesso di comunicare, entro i termini previsti, i dati attinenti al proprio rapporto di lavoro, rilevanti ai fini del computo dell’importo contributivo; in particolare l’Istituto ha ritenuto che non sia condivisibile l’applicazione del meno gravoso regime sanzionatorio in presenza di un tardivo pagamento dei contributi e dell’omessa
comunicazione dello svolgimento di attività lavorativa; non si tratterebbe di un mero ritardo ma di una vera e propria omissione nelle comunicazioni che il lavoratore doveva rendere all’Ente previdenziale.
Questa Corte ha già affermato (con sentenza n. 28966/2011) che la fattispecie di ‘omissione contributiva’ di cui alla lettera a) dell’art. 116 comma 8 della L. n.388/2000 riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi invece ritenere che l’omessa o infedele denuncia (che integra l’ipotesi di evasione) configuri l’occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi ‘e faccia presumere l’esistenza datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti’. Di seguito, con ordinanza n. 29272/2022 la Corte, nel richiamare la precedente pronuncia, ha affermato che il termine occultamento non indica necessariamente l ‘ assoluta mancanza di qualsivoglia elemento documentale che renda possibile l’eventuale accertamento della posizione lavorativa o della retribuzione, ma la mancata, o incompleta, o non conforme al vero, denuncia obbligatoria attraverso la quale viene celata all’Ente previdenziale l’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali dell’imposizione.
Nel caso in esame, l’Istituto ricorrente dà atto della ‘ circostanza (riportata nella sentenza impugnata) che la comunicazione all’Ente vi è stata ‘; trattasi , quindi, di una circostanza non contestata, corroborata dalla presentazione della dichiarazione dei redditi che ‘ è avvenuta oltre il termine previsto per l’adempimento dell’obbligazione contributiva ‘, di cui la sentenza impugnata chiaramente dà atto laddove afferma
che il professionista non si sarebbe posto in regola con la cassa professionale e non avrebbe denunciato i redditi se avesse voluto occultare l’attività professionale svolta.
L’evasione, quindi, è connessa ad un’intenzione specifica di non versare i contributi che, sulla base di un accertamento di fatto svolto dal giudice di merito, non è rivedibile in sede di legittimità. La Corte ha precisato (ord. 4730/2025) che il rilievo attribuito dalla norma all’elemento intenzionale consente di escludere l’evasione anche in caso di denunce omesse. Si tratta infatti di presunzione relativa, superabile mediante l’ allegazione e la prova (con onere a carico del soggetto inadempiente) di circostanze dimostrative dell’assenza del fine fraudolento, il cui apprezzamento è rimesso al giudice del merito.
Sul tema della rilevanza della omissione ai sensi dell’art. 116, comma 8, lett. a) della L. 388/2000 in assenza di un fine fraudolento o di un volontario occultamento dei rapporti o delle retribuzioni, si è pronunciata anche sentenza n. 9159/2017; e, sulla non configurabilità di un automatismo tra la mancata compilazione del quadro RR nella dichiarazione dei redditi e l’occultamento doloso del debito contributivo, in quanto il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione rimessa al giudice di merito, censurabile in cassazione nei ristretti limiti di cui all’art. 360, co.1, n. 5 c.p.c., si rammenti la pronuncia di questa Corte con ordinanza n. 330/2025.
Non va obliterato, altresì, l’orientamento pure espresso nelle predette pronunce n.330/2025 e 4730/2025, secondo il quale la doglianza dell’INPS si basa su un quadro normativo superato dalla sentenza della Corte Cost. n. 104/2022, con la quale è stata dich iarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011 conv. con L. n. 111 del 2011, nella
parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alta Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui alla L. n. 576 del 1980, art. 22 (e perciò tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’INPS) siano esonerati dal pagamento, in favore dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore. Non avendo il controricorrente proposto ricorso incidentale avverso la condanna al pagamento delle sanzioni dovute per omissione contributiva, detta condanna va tenuta ferma nonostante la suddetta sentenza della Corte costituzionale; infatti, come ricordato da Cass. n. 20466/2022, la previsione dell’art. 136 Cost., secondo cui la declaratoria d’incostituzionalità di una norma di legge comporta che quest’ultima cessi di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, deve essere raccordata con i principi generali in materia di impugnazioni e specialmente con quello secondo cui la mancata impugnazione della parte che potrebbe giovarsi della pronuncia d’incostituzionalità impedisce che lo ius superveniens costituito dalla sentenza della Corte costituzionale possa operare in danno della parte impugnante, ostandovi il divieto di reformatio in peius , di cui al combinato disposto degli artt. 100 e 112 c.p.c. Concernendo il ricorso principale dell’INPS la sola questione della configurabilità dell’evasione -invece che dell’omissione contributiva- non si potrebbe dar corso all ‘ applicazione dello ius superveniens costituito dalla declaratoria di incostituzionalità delle sanzioni senza con ciò stesso riformare la sentenza impugnata in danno della parte impugnante.
Da ultimo, va rilevato che non ha prego l’osservazione del controricorrente circa un ‘ ipotizzabile acquiescenza alla sentenza
di parziale riforma sul solo profilo sanzionatorio, desumibile dalla comunicazione dell’INPS di rideterminazione della posizione contributiva del professionista, con ricalcolo della somma dovuta alla gestione separata per l’anno 2006 in € 1.140,23 (anziché in € 2.000,93): invero, non è ravvisabile l’ipotesi cui all’art. 329 c.p.c. non avendo adottato l’Istituto atti incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione, ed avendo fatto riferimento alla sentenza di appello nella comunicazione relativa all’importo, ricalcolato d’ufficio, dovuto per l’anno 2006.
Il ricorso va, pertanto, respinto. Segue per soccombenza la condanna al pagamento delle spese, nonché la sanzione del doppio del contributo unificato, come per legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in € 1.500,00, oltre accessori di rito, ed € 200,00 per esborsi.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta