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Obbligo retributivo in appalto illecito: la Cassazione

La Corte di Cassazione conferma il diritto alla retribuzione per una lavoratrice impiegata tramite un appalto di manodopera illecito. La sentenza stabilisce che l’obbligo retributivo del datore di lavoro sorge dal momento della formale offerta della prestazione lavorativa (messa in mora), anche se la prestazione non è stata effettivamente svolta a causa del rifiuto del datore stesso. Viene inoltre chiarito che un atto di messa in mora contenuto in un ricorso giudiziario, anche se successivamente dichiarato nullo, conserva la sua efficacia.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Obbligo Retributivo in Appalto Illecito: Diritto alla Paga Anche Senza Lavorare?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha riaffermato un principio cruciale in materia di appalti illeciti: l’obbligo retributivo del datore di lavoro sorge anche se il dipendente non ha materialmente svolto la prestazione, a patto che abbia formalmente messo a disposizione le proprie energie lavorative. Questa pronuncia chiarisce la portata della tutela del lavoratore coinvolto in una fittizia interposizione di manodopera, consolidando un orientamento a sua protezione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una lavoratrice impiegata presso il call center di una grande società di servizi. Formalmente, era dipendente di un’azienda appaltatrice, ma di fatto il suo rapporto di lavoro era gestito e diretto dalla committente. A seguito di un’azione legale, i giudici hanno accertato l’esistenza di un appalto illecito, dichiarando che il vero datore di lavoro era la società committente sin dal novembre 2000.

Sulla base di tale accertamento, la lavoratrice ha ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento delle retribuzioni maturate da ottobre 2007 ad aprile 2018. Il periodo richiesto decorreva dalla data in cui, tramite un ricorso notificato alla società, aveva formalmente offerto la propria prestazione lavorativa. La società si è opposta, ma la Corte d’Appello ha dato ragione alla lavoratrice, scatenando il ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte e l’Obbligo Retributivo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. Il punto centrale della controversia era se l’obbligo retributivo potesse sorgere in assenza di una concreta prestazione lavorativa.

La società sosteneva che, per ottenere il pagamento, non fosse sufficiente l’accertamento del rapporto di lavoro, ma fosse necessaria l’effettiva esecuzione della prestazione o, in alternativa, l’impossibilità di eseguirla per un fatto imputabile al datore. Secondo la ricorrente, la semplice offerta di lavoro, per di più contenuta in un atto giudiziario poi dichiarato nullo, non era sufficiente a far scattare il diritto alla paga.

Validità della Messa in Mora

Un aspetto interessante affrontato dalla Corte riguarda la validità della messa in mora. L’offerta formale delle proprie energie lavorative era stata inserita dalla lavoratrice in un ricorso depositato nel 2007. Sebbene quel ricorso sia stato in seguito dichiarato nullo come domanda giudiziale, la Cassazione ha stabilito che esso manteneva la sua validità come atto di costituzione in mora del datore di lavoro. Questo perché, al di là dei suoi vizi processuali, l’atto conteneva una chiara e inequivocabile manifestazione di volontà della lavoratrice di mettersi a disposizione della società. Questo atto è stato ritenuto idoneo a creare la cosiddetta mora accipiendi, ovvero il ritardo del creditore (il datore di lavoro) nell’accettare la prestazione.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha basato la sua decisione sui principi consolidati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 2990/2018. Secondo tale orientamento, quando viene dichiarata la nullità di un’interposizione di manodopera, si instaura un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente con l’utilizzatore. Se quest’ultimo rifiuta illegittimamente di ricevere la prestazione lavorativa offerta dal dipendente, sorge a suo carico l’obbligo retributivo.

Questo approccio supera la rigida regola della sinallagmaticità (lavoro in cambio di retribuzione), in virtù di un’interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 3, 36 e 41 Cost.). Diversamente, si creerebbe una situazione paradossale in cui il datore di lavoro, responsabile dell’appalto illecito, potrebbe continuare a violare la legge e le sentenze senza alcuna conseguenza economica, vanificando il diritto del lavoratore.

Inoltre, la Corte ha respinto la tesi della società secondo cui le somme eventualmente percepite dalla lavoratrice per altri impieghi durante il periodo in questione dovessero essere detratte. I giudici hanno chiarito che il principio della compensatio lucri cum damno non si applica in questo contesto, poiché le somme dovute hanno natura retributiva e non risarcitoria.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza significativamente la tutela dei lavoratori vittime di appalti illeciti. Le conclusioni pratiche sono chiare:
1. Diritto alla Paga: Il lavoratore ha diritto alla retribuzione dal momento in cui offre formalmente la propria prestazione al datore di lavoro effettivo, anche se quest’ultimo la rifiuta.
2. Validità della Messa in Mora: Un atto formale di messa a disposizione delle energie lavorative è efficace anche se contenuto in un atto processuale invalido, purché la volontà del lavoratore sia espressa chiaramente.
3. Nessuna Compensazione: Il datore di lavoro non può ridurre l’importo dovuto detraendo i guadagni che il lavoratore ha ottenuto da altri rapporti di lavoro nel frattempo. L’obbligo retributivo rimane pieno e integrale.

In caso di appalto illecito, il lavoratore ha diritto alla retribuzione anche se non ha lavorato?
Sì, il lavoratore ha diritto alla retribuzione a condizione che abbia formalmente offerto la propria prestazione lavorativa al datore di lavoro effettivo (costituzione in mora). Se il datore di lavoro rifiuta illegittimamente di ricevere la prestazione, è comunque tenuto a corrispondere la paga a partire da quel momento.

Un atto processuale poi dichiarato nullo può valere come messa in mora del datore di lavoro?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che un atto introduttivo di un giudizio, anche se invalido come domanda giudiziale, può valere come atto di costituzione in mora se contiene una chiara ed esplicita manifestazione di volontà del lavoratore di offrire le proprie energie lavorative al datore.

Il datore di lavoro può detrarre dalla retribuzione dovuta i guadagni che il lavoratore ha percepito da altri impieghi?
No. La sentenza chiarisce che le somme dovute al lavoratore in questa situazione hanno natura retributiva, non risarcitoria. Pertanto, non si applica il principio della “compensatio lucri cum damno” e il datore di lavoro non può detrarre quanto il lavoratore ha guadagnato altrove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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