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Obbligo di repêchage: reintegro se violato

Una lavoratrice viene licenziata per giustificato motivo oggettivo. La Cassazione, accogliendo il suo ricorso, stabilisce che la violazione dell’obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro integra l’insussistenza del fatto e comporta la reintegrazione nel posto di lavoro, non un semplice indennizzo, alla luce delle recenti sentenze della Corte Costituzionale.

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Pubblicato il 18 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Obbligo di repêchage: la sua violazione comporta il reintegro

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di licenziamenti: la violazione dell’obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro non si traduce in un mero risarcimento, ma impone la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Questa decisione, fondata sui recenti interventi della Corte Costituzionale, chiarisce che l’impossibilità di ricollocamento è un elemento essenziale del ‘fatto’ che giustifica il licenziamento per motivo oggettivo.

Il caso: licenziamento e la questione del repêchage

Il caso esaminato riguardava una lavoratrice, dipendente di una grande società di telecomunicazioni, licenziata per giustificato motivo oggettivo. La lavoratrice aveva impugnato il licenziamento sostenendo, tra le altre cose, che l’azienda non aveva adempiuto al proprio dovere di verificare la possibilità di un suo ricollocamento in altre mansioni.

Nei primi due gradi di giudizio, i tribunali avevano concordato sul fatto che l’azienda avesse violato l’obbligo di repêchage, dichiarando quindi il licenziamento illegittimo. Tuttavia, avevano concesso alla lavoratrice solo una tutela risarcitoria, corrispondente a 20 mensilità, escludendo la reintegrazione. La lavoratrice ha quindi presentato ricorso in Cassazione per ottenere la tutela più forte, ovvero il reintegro.

La decisione della Cassazione e il rafforzato obbligo di repêchage

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione dei giudici di merito, accogliendo il ricorso della lavoratrice. Il punto centrale della sentenza risiede nell’applicazione dei principi stabiliti da due fondamentali sentenze della Corte Costituzionale (la n. 59/2021 e la n. 125/2022).

Queste sentenze hanno modificato in modo sostanziale il quadro normativo relativo alle tutele in caso di licenziamento illegittimo per giustificato motivo oggettivo. La Cassazione ha chiarito che il ‘fatto’ che legittima un tale licenziamento non è composto solo dalle ragioni organizzative e produttive, ma include anche, come elemento costitutivo, l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre posizioni disponibili.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che se il datore di lavoro non riesce a provare di aver fatto tutto il possibile per trovare una posizione alternativa per il dipendente (violando così l’obbligo di repêchage), viene a mancare uno degli elementi fondanti del giustificato motivo oggettivo. Di conseguenza, si configura una ‘insussistenza del fatto’ alla base del licenziamento.

Grazie agli interventi della Corte Costituzionale, quando viene accertata l’insussistenza del fatto, la legge non lascia più discrezionalità al giudice. La tutela da applicare non è quella meramente economica, ma quella reintegratoria, prevista dal comma 4 dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il giudice, pertanto, deve ordinare la reintegrazione del lavoratore e il pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata.

La Corte ha anche dichiarato inammissibile il ricorso incidentale dell’azienda, la quale tentava di rimettere in discussione la valutazione delle prove testimoniali effettuata nei gradi precedenti, un’attività preclusa in sede di legittimità.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di massima importanza per la tutela dei lavoratori. La violazione dell’obbligo di repêchage assume un peso decisivo: non è più una semplice irregolarità che conduce a un indennizzo, ma un vizio fondamentale che invalida il licenziamento e dà diritto alla reintegrazione. Per le aziende, ciò significa che l’onere di provare l’impossibilità di ricollocamento diventa ancora più stringente e cruciale per la legittimità di un licenziamento per motivi economici o organizzativi.

Cosa succede se un datore di lavoro viola l’obbligo di repêchage?
Secondo la Corte di Cassazione, alla luce delle recenti sentenze della Corte Costituzionale, la violazione dell’obbligo di repêchage comporta l’applicazione della tutela reintegratoria. Il lavoratore ha quindi diritto a essere reintegrato nel suo posto di lavoro e a ricevere un’indennità risarcitoria.

L’impossibilità di ricollocare il lavoratore è parte del ‘fatto’ che giustifica un licenziamento per motivo oggettivo?
Sì. La Corte ha stabilito che l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore è un elemento costitutivo del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Se il datore di lavoro non prova tale impossibilità, il fatto si considera insussistente.

Perché il giudice deve ordinare il reintegro e non può scegliere di concedere solo un risarcimento?
In seguito agli interventi della Corte Costituzionale, in caso di ‘insussistenza del fatto’ alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il giudice non ha più la facoltà di scegliere tra reintegro e indennizzo. La norma impone l’applicazione della tutela reintegratoria, eliminando la precedente discrezionalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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