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Obbligo di repêchage: reintegra se violato

Una società di logistica licenzia una dirigente per riorganizzazione aziendale. Tuttavia, la Corte di Cassazione conferma l’illegittimità del licenziamento perché l’azienda non ha rispettato l’obbligo di repêchage, ovvero non ha offerto alla lavoratrice una posizione lavorativa inferiore resasi disponibile prima del recesso. Tale violazione, secondo la Corte, equivale all’insussistenza del fatto e comporta il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.

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Pubblicato il 29 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Obbligo di Repêchage: la Violazione Comporta la Reintegra

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18804/2025, torna su un tema cruciale del diritto del lavoro: l’obbligo di repêchage nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: la mancata offerta di una posizione lavorativa disponibile, anche se di livello inferiore, prima di procedere al licenziamento, non è un mero vizio procedurale, ma una violazione sostanziale che può portare alla reintegrazione del lavoratore. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore dei trasporti e della logistica decideva di licenziare una lavoratrice con mansioni di responsabile amministrativa, adducendo come motivazione una riorganizzazione aziendale che aveva portato alla soppressione della sua posizione.

Il caso, tuttavia, presentava una particolarità: prima di procedere al licenziamento, l’azienda aveva assunto a termine e poi stabilizzato un’altra impiegata per mansioni amministrative di livello inferiore. La posizione non era stata preventivamente offerta alla responsabile amministrativa in esubero.

La lavoratrice impugnava il licenziamento. Mentre il Tribunale, in fase di opposizione, aveva riconosciuto solo una tutela risarcitoria, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, riconoscendo l’illegittimità del recesso per violazione dell’obbligo di repêchage e accordando alla lavoratrice la tutela reintegratoria. L’azienda, insoddisfatta, proponeva ricorso in Cassazione.

La Violazione dell’Obbligo di Repêchage e le sue Conseguenze

Il cuore della controversia risiede nella corretta interpretazione della portata dell’obbligo di repêchage. Il datore di lavoro, prima di poter legittimamente licenziare un dipendente per motivi economici o organizzativi, ha l’onere di provare l’impossibilità di ricollocarlo in altre posizioni lavorative all’interno dell’assetto aziendale.

Nel caso di specie, la società ricorrente sosteneva che la decisione di riorganizzare fosse maturata nel tempo e che la lavoratrice non avesse mai mostrato disponibilità ad accettare mansioni diverse. La Corte d’Appello, però, aveva ritenuto che il comportamento dell’azienda fosse contrario a buona fede, avendo di fatto riempito una posizione vacante senza prima offrirla alla dipendente il cui posto stava per essere soppresso.

La Decisione della Cassazione: un Principio Consolidato

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno chiarito che la violazione dell’obbligo di repêchage non è un vizio minore, ma incide direttamente sulla sussistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito un orientamento consolidato, rafforzato da recenti sentenze della Corte Costituzionale (in particolare la n. 125/2022). Il “fatto” che giustifica un licenziamento economico non è solo la ragione organizzativa (es. soppressione della mansione), ma è un complesso di elementi che include anche l’impossibilità di ricollocare il lavoratore altrove.

Se l’azienda non riesce a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il licenziamento, esplorando ogni possibilità di reimpiego, allora viene a mancare uno degli elementi costitutivi del giustificato motivo oggettivo. Questa mancanza equivale, sul piano giuridico, a una “insussistenza del fatto”, che, ai sensi dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (come modificato dalla Legge Fornero), attiva la tutela più forte: la reintegrazione nel posto di lavoro.

In sostanza, il dovere di buona fede e correttezza impone al datore di lavoro di agire in modo trasparente, offrendo le posizioni disponibili prima di ricorrere alla misura espulsiva, che deve sempre rappresentare l’extrema ratio.

Le Conclusioni

La sentenza n. 18804/2025 rappresenta un importante monito per i datori di lavoro. L’obbligo di repêchage non può essere considerato una mera formalità. È un onere probatorio rigoroso e un dovere sostanziale la cui violazione ha conseguenze gravose. L’azienda deve essere in grado di dimostrare, in modo concreto e documentato, di aver cercato soluzioni alternative al licenziamento. In assenza di tale prova, il rischio non è solo quello di pagare un’indennità, ma di dover reintegrare il lavoratore e risarcire integralmente il danno subito. Per i lavoratori, questa pronuncia rafforza la protezione contro licenziamenti economici non supportati da un’effettiva e improcrastinabile necessità.

Cosa succede se un datore di lavoro viola l’obbligo di repêchage?
Secondo la sentenza, la violazione dell’obbligo di repêchage determina l’illegittimità del licenziamento e comporta l’applicazione della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, comma 4, della Legge n. 300/1970. Questo perché l’impossibilità di ricollocare il lavoratore è un elemento costitutivo del fatto che giustifica il recesso, e la sua mancanza equivale all’insussistenza del fatto stesso.

L’obbligo di repêchage riguarda anche mansioni di livello inferiore?
Sì, la sentenza conferma che l’obbligo si estende anche a mansioni inferiori. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto illegittimo il comportamento dell’azienda che aveva assunto un’altra persona per una posizione di livello più basso senza prima offrirla alla lavoratrice in esubero, anche a costo di un demansionamento.

La prova dell’impossibilità di ricollocamento spetta al lavoratore o al datore di lavoro?
L’onere di provare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni spetta interamente al datore di lavoro. È l’azienda che deve dimostrare di aver adempiuto all’obbligo di repêchage, verificando tutte le posizioni disponibili nell’assetto aziendale prima di procedere con il licenziamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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