Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18064 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 18064 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 12761-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 576/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/01/2023 R.G.N. 392/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità de ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N.12761/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 28/05/2025
PU
Fatti di causa
La Corte d’appello di Firenze, con la sentenza in atti, in parziale accoglimento dell’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ha annullato il licenziamento impugnato dal lavoratore e condannato la società appellata a risarcire all’appellante il danno derivante dall ‘ illegittimità del licenziamento nella misura di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori e rifusione delle spese dei due gradi di giudizio.
A fondamento della decisione la Corte ha rilevato che il lavoratore, assunto l’1/3/2012 con mansioni di operaio edile specializzato e inquadrato nel terzo livello secondo le declaratoria del contratto di categoria, era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo con lettera del 14/3/2018 dalla società datrice di lavoro che assumeva la prossima chiusura del cantiere cui il lavoratore era addetto e più in generale la dismissione dell’attività edile e l’impossibilità di adibire COGNOME ad altre mansioni.
La Corte d’appello ha ritenuto in primo luogo che dovesse escludersi, già sulla base delle allegazioni della memoria di costituzione di RAGIONE_SOCIALE in primo grado, che la società avesse offerto a Caci l’adibizione ad un altro settore aziendale, seppure in esito ad un patto di dimensionamento.
Risultava infatti inequivocabilmente dalla capitolazione istruttoria di quell’atto come la datrice di lavoro avesse proposto invece al lavoratore una nuova assunzione successiva di sei mesi al licenziamento, nel settore dei bagni chimici con una diversa e inferiore retribuzione.
D’altro canto era provato ed ammesso dalla stessa appellata, che, a partire da ottobre 2017, essa avesse adibito alla produzione di bagni chimici un altro dipendente, il lavoratore COGNOME, già assegnato alle lavorazioni edili. Ed era altresì
dimostrato che a partire dal 3/5/2018, quindi neppure due mesi dopo il licenziamento, avesse assunto per lavorazioni relative a quel settore aziendale, un’altra dipendente con contratto part-time a tempo determinato.
Entrambi questi indici, ad avviso del collegio, comprovavano l’esistenza nell’immediatezza del licenziamento di effettive esigenze di manodopera operaia nell’ambito della compagine aziendale di RAGIONE_SOCIALE cosicché sarebbe stato onere della società di dimostrare specificamente che tali esigenze non avrebbero potuto essere soddisfatte con la prestazione di COGNOME, per le più diverse ragioni, o che quelle mansioni gli fossero state offerte con esito negativo.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE con sette motivi di ricorso illustrati da memoria, ai quali ha resistito COGNOME con controricorso. Il ricorrente ed il PG hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art . 111 Cost. e all’art. 132 c.p.c., co. 2, n. 4 e art. 3 legge n. 604/1966, in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., per essere la sentenza impugnata a tal punto contraddittoria da risultare apparente, avendo la Corte di merito da un lato affermato che la proposta fatta al lavoratore dopo il licenziamento fosse una nuova assunzione e come tale non poteva ritenersi una valida offerta di repêchage, e dall’altro lato, in modo del tutto contraddittorio, che tale proposta apparisse come indicativa di una concreta possibilità di ‘reimpiego’ del lavoratore del diverso settore aziendale della plastica relativo alla produzione di bagni chimici.
2.- Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 3 della legge n. 604/1966 e dell’art. 2103 c.c. per avere la sentenza impugnata trascurato di considerare che, in
applicazione di tale ultima norma, il lavoratore avrebbe dovuto essere adibito a mansioni, pari e/o anche inferiori ma comunque corrispondenti a quelle per cui era stato assunto e comunque rientranti nel proprio bagaglio professionale, e pertanto erano del tutto irrilevanti le diverse assunzioni effettuate nella divisione della plastica di altro lavoratore a tempo indeterminato nell’ottobre del 2017 e di un’addetta alle pulizie, part time ed a tempo determinato, il 03.05.2018.
3.- Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604/1966 in relazione all’art.2967 cod. civ. e all’art. 360, n. 3, c.p.c. con riferimento alla statuizione della Corte di Appello di Firenze di accoglimento dell’appello sul capo della decisione impugnata con cui, in totale riforma della sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Siena, ha ritenuto non provato il tentativo di repêchage nei confronti del lavoratore COGNOME
4.- Con il quarto motivo si afferma la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 604/1966, 1175 e 1375 cod. civ. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. con riferimento alla statuizione della Corte di Appello di Firenze di accoglimento dell’appello sul capo della decisione impugnata con cui, in totale riforma della sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Siena, ha ritenuto assente il tentativo di repêchage nei confronti del lavoratore COGNOME
5.-Con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge n. 604/1966 in relazione agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. e all’art. 360, n. 3, c.p.c., con riferimento alla statuizione della Corte di Appello di Firenze di accoglimento dell’appello sul capo della decisione impugnata con cui, in totale riforma della sentenza del
Giudice del lavoro del Tribunale di Siena, ha erroneamente interpretato quale ulteriore elemento di assenza del tentativo di repêchage l’offerta di una nuova occupazione al Caci.
6.- Con il sesto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. con riferimento alla statuizione della Corte di Appello di Firenze di accoglimento dell’appello sul capo della decisione impugnata con cui, in totale riforma della sentenza del Giudice del Tribunale di Siena, non ha valorizzato quanto sul punto da quest’ultimo statuito, anche ammettendo la prova testimoniale tesa a dimostrare sia la sussistenza del g.m.o. del licenziamento del C aci, sia l’avvenuto tentativo di reimpiego attuato nei suoi confronti.
7.- Con il settimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 111 Cost., 115 c.p.c. 416 e 437 c.p.c. e in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c. per l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ovvero il rifiuto del lavoratore di un reimpiego offertogli in altro settore aziendale non ammettendo a riguardo la prova per testi richiesta dalla parte datoriale e comunque non tenendo conto che la circostanza non era stata contestata dal lavoratore.
8.- Preliminarmente va rilevato che il vizio della procura in capo al difensore di parte ricorrente, eccepito dal controricorrente, deve ritenersi insussistente posto che la procura, prodotta con atto separato privo di data, è stata bensì prodotta col ricorso ed è successiva all’atto impugnato, in quanto menzionato nella stessa procura.
L’eccezione sollevata dalla parte controricorrente va pertanto disattesa alla luce del criterio topografico già affermato da Sez. U. n. 36057 del 09/12/2022: ‘In tema di procura alle liti, a seguito della riforma dell’art. 83 c.p.c. disposta dalla l. n. 141 del 1997, il requisito della specialità,
richiesto dall’art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all’atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso; tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione, tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall’art. 1367 c.c. e dall’art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all’atto di produrre i suoi effetti. Si legge ancora in motivazione che «la procura speciale, redatta in margine o in calce ad un determinato atto (e attualmente anche in un foglio separato congiunto materialmente all’atto), deve ritenersi rilasciata per il giudizio cui l’atto stesso si riferisce. Pertanto, anche per il giudizio di legittimità non sembra infondato inferire che la procura rilasciata in margine, in calce o in un foglio separato ma unito al ricorso (o al controricorso) si riferisca al giudizio di cassazione. In definitiva, dalla disposizione dell’art. 83 cpv. cit. può argomentarsi che la posizione topografica della procura conferisca la certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e che, ad un tempo, dia luogo alla presunzione di riferibilità della procura stessa al giudizio cui l’atto accede». Tale presunzione, peraltro, secondo quanto già indicato dalla suindicata sentenza del 1995, non opera in presenza «di espressioni, che univocamente
conducano ad escludere l’intenzione della parte di rilasciare la procura per proporre ricorso per cassazione».
9.I motivi di ricorso possono essere affrontati unitariamente per la connessione delle censure che si rivolgono tutte contro la tesi posta a base della pronuncia impugnata circa la mancata ottemperanza della datrice di lavoro dell’obbligo di ricollocazione del lavoratore licenziato per g.m.o.
10.- In primo luogo va escluso qualsiasi vizio di motivazione per avere la Corte di appello sostenuto, da una parte, che la proposta fatta al lavoratore dopo il licenziamento fosse una nuova assunzione e come tale non potesse ritenersi una valida offerta di repêchage; e dall’altra parte che tale proposta apparisse come indicativa di una concreta possibilità di ‘reimpiego’ del lavoratore nel diverso settore aziendale.
In realtà la Corte ha operato un accertamento più ampio avendo pure verificato che, oltre all’offerta di una ‘nuova’ assunzione successiva, a partire da ottobre 2017 la datrice avesse adibito alla produzione di bagni chimici, un altro dipendente (il lavoratore NOME) già assegnato alle lavorazioni edili; e inoltre che, a partire dal 3/5/2018, quindi neppure due mesi dopo il licenziamento del ricorrente, avesse assunto per lavorazioni relative a quel settore aziendale, un’altra dipendente con contratto part-time a tempo determinato.
Da tale complessivo accertamento la Corte ha desunto la prova dell’esistenza nell’immediatezza del licenziamento di COGNOME COGNOME di effettive esigenze di manodopera operaia nell’ambito della compagine aziendale di Homleg; ed inoltre ha accertato che nessuna offerta di ricollocazione alternativa al licenziamento fosse stata effettuata nei confronti del medesimo lavoratore.
11.In secondo luogo non sussistono i vizi della motivazione denunciati posto che anche la proposta di una nuova assunzione testimoniava la presenza di un’esigenza occupazionale che poteva essere soddisfatta con il tentativo di ricollocazione che, ad avviso della Corte, è invece mancato nei termini che sono pretesi dall’ordinamento ovvero in alternativa al licenziamento, nell’ottica della continuità del rapporto, e non della sua estinzione con successiva riassunzione.
Inoltre va pure rilevato che, come è noto, con le sentenze n. 8053 e 8054 del 2014, le Sez. Unite hanno precisato che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione.
12.- Deve essere ricordato altresì che l’onere del reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, sebbene non costituisca un requisito espresso a livello normativo, è stato elaborato dalla giurisprudenza di legittimità sulla base del principio generale secondo cui il recesso datoriale deve rappresentare sempre una extrema ratio ; ed esso trova la sua giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro ( artt. 4, 35 e 41, 2 comma Cost.) che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore
(Cass.24882/2017). Pertanto la giustificazione del recesso fondato su un motivo oggettivo inerente all’interesse dell’impresa è necessario sia integrata dall’impossibilità di impiegare convenientemente il dipendente da licenziare in un altro posto di lavoro.
13.- Ciò posto, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, la verifica della possibilità di repêchage va effettuata sia in riferimento a mansioni equivalenti che a mansioni inferiori esistenti nell’organico aziendale.
Quanto all’equivalenza, a seguito delle modifiche all’art. 2103 cod. civ., apportate dall’art. 3 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il concetto di equivalenza professionale è stato sostituito da quello della riconducibilità delle mansioni ‘allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.’ Inoltre il datore, prima di intimare il licenziamento, è tenuto a ricercare possibili situazioni alternative e, ove le stesse comportino l’assegnazione a mansioni inferiori, a pros pettare al prestatore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata (Cass. n. 29099 del 2019).
14.- Per quanto attiene al bagaglio professionale, la Corte ha rilevato che nello stesso posto era stato adibito un altro lavoratore edile ed in ogni caso che al lavoratore licenziato non è stata rivolta alcuna proposta pur nella presenza di altre posizioni lavorative occupate da altri lavoratori.
15.- In relazione alla prova non ammessa la Corte di appello ha correttamente rilevato che risultava inequivocabilmente dalla capitolazione istruttoria contenuta nella memoria di primo grado come la datrice di lavoro avesse proposto al lavoratore una nuova assunzione successiva di sei mesi al licenziamento nel settore dei bagni chimici con una diversa e
inferiore retribuzione; pertanto, una simile proposta, quand’anche rifiutata , sarebbe stata comunque insufficiente ad escludere che il lavoratore fosse stato invece interessato ad una prosecuzione del rapporto in un diverso settore aziendale, seppure a differenti condizioni retributive;
16.-La ricorrente non trascrive neppure le circostanze di prova, mentre non rileva quanto sosteneva il tribunale di Siena avendo la Corte negato che ve ne fosse prova. La Corte d’appello ha ritenuto che in primo luogo dovesse escludersi già sulla base delle allegazioni della memoria di costituzione di Homleg in primo grado che la società avesse offerto a Caci l’adibizione ad un altro settore aziendale, seppure in esito ad un patto di demensionamento.
Risultava infatti inequivocamente dalla capitolazione istruttoria di quell’atto come la datrice di lavoro avesse proposto invece al lavoratore, una nuova assunzione successiva di sei mesi al licenziamento nel settore dei bagni chimici con una diversa e inferiore retribuzione. Si trattava di una circostanza diversa, cosicché anche la prova dell’assunto rifiuto da parte del lavoratore di una simile proposta sarebbe comunque insufficiente ad escludere che egli fosse stato invece interessato ad una prosecuzione del rapporto in un diverso settore aziendale, seppure a differenti condizioni retributive.’
Si trattava di una prova di cui non era traccia in atti; al contrario la proposta che la società stessa assumeva di aver fatto all’odierno appellante prima del licenziamento imponeva di ritenere che la professionalità di questi sarebbe stata adeguata anche ad altre lavorazioni presenti in azienda, mentre come si è detto dalle stesse allegazioni dell’appellata doveva desumersi non essere mai stata effettivamente offerta al lavoratore, la prosecuzione del rapporto con altre mansioni (avendo ad oggetto quella
proposta invece una nuova assunzione dopo sei mesi dal recesso).
17.- Non esiste nemmeno alcuna violazione degli artt. 1175 o 1375 c.c. essendo noto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, prima di intimare il licenziamento, il datore è tenuto a ricercare possibili situazioni alternative e, ove le stesse comportino l’assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata (Cass. n. 29099 del 2019). Ma, nel caso in esame -giova ribadire -non era stato prospettato un mero demansionamento, bensì una nuova assunzione, con conseguente azzeramento dei diritti pregressi.
18.- Neppure sus siste alcuna violazione dell’art.116 c.p.c. non avendo la Corte violato i limiti stabiliti dalla norma valutando secondo il suo prudente apprezzamento delle prove legali, ovvero considerando come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione discrezionale.
19.- Per il resto il ricorso si risolve in un continuo riferimento alle prove, ai fatti di causa ed agli apprezzamenti operati dal giudice di primo grado sulla cui base si intende censurare la sentenza d’appello; il che rende le stesse critiche del tutto inammissibili in sede di legittimità.
20. Sulla scorta delle premesse il ricorso deve essere quindi complessivamente rigettato. Le spese processuali seguono il regime della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo in favore della parte controricorrente; segue altresì il raddoppio del contributo unificato ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, alla pubblica udienza del 28 maggio