Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18075 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 18075 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
Oggetto
R.G.N. 26414/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 11/06/2025
PU
SENTENZA
sul ricorso 26414-2024 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3481/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/10/2024 R.G.N. 441/2024; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del
del 11/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME; ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato
NOME COGNOME;
udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma, con la impugnata sentenza, decidendo in sede di rinvio a seguito dell’ordinanza n.2739/24 di questa Corte di cassazione, ha rigettato le domande avanzate da NOME COGNOME con ricorso ex art. 1, comma 48, legge n. 92/2012 avverso il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole il 18 maggio 2016 da RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE
A fondamento della decisione la Corte ha ritenuto che la società datrice di lavoro avesse provato l’impossibilità di adibire la lavoratrice a mansioni equivalenti rispetto a quelle in precedenza espletate, o a mansioni inferiori, tenuto conto della organizzazione aziendale vigente al momento del licenziamento e della capacità professionale della lavoratrice. In particolare risultavano provate le seguenti circostanze: la soppressione delle mansioni di centralinista espletate dalla Santi e il collegamento con il licenziamento intimatole; le residue mansioni svolte dalla COGNOME erano svolte anche dagli altri dipendenti ed erano state in parte esternalizzate; l’impossibilità di adibire la lavoratrice allo svolgimento di mansioni equivalenti o inferiori, dal momento che le uniche mansioni rimaste erano quelle di segretaria, già svolte da NOME COGNOME o di addetta allo sportello per le quali la COGNOME non aveva le necessarie competenze professionali.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con due motivi di ricorso ai quali ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso. Le parti hanno depositato memorie prima dell’udienza.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo si deduce (ex art. 360 n.5 c.p.c.)
l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; si sostiene che la circostanza circa l’asserita assenza in capo alla ricorrente di competenze professionali per svolgere le mansioni di segretaria o di addetta allo sportello ai fini della valutazione del repêchage non sarebbe stata indagata affatto, salvo assegnarle un ruolo decisivo nell’escludere il repêchage . Ciò porterebbe a configurare un palese caso di travisamento della prova ossia di un fatto probatorio che aveva costituito un punto controverso sul quale la sentenza si era pronunciata, quindi un vizio di motivazione che si era concretizzato in una decisiva svista percettiva del giudice di merito in ordine al contenuto informativo oggettivo della prova.
1.1. Il motivo è infondato.
La Corte territoriale, procedendo in sede di rinvio al giudizio sulla impossibilità della ricollocare in altre mansioni la lavoratrice licenziata per g.m.o., ha in primo luogo ampiamente ricostruito le attività svolte dalla Santi nel corso del rapporto di lavoro intrattenuto con la datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE (centralinista, smistamento posta, fotocopiatura, ricevimento clienti, smistamento clienti) e i loro contenuti professionali ed ha concluso, poi, che la lavoratrice non possedeva le competenze professionali per svolgere le mansioni di addetta allo sportello, mentre quelle di segretaria venivano già svolte da un’altra lavoratrice.
Per giungere alla stessa conclusione la Corte ha quindi valutato le capacità professionali della lavoratrice sulla scorta dell’esperienza di lavoro puntualmente rico struita nella pronuncia; sicché non v’è stata svista percettiva né omessa valutazione di un fatto decisivo.
In particolare, secondo la consolidata giurisprudenza di
questa Corte (Sez. U. n. 8053/2014) quest’ultima fattispecie, regolata dalll’art.360, n. 5 c.p.c. riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, non è integrata qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, o il giudice non abbia espletato tutte le prove che lo riguardino.
Neppure si può parlare nel caso in esame di svista percettiva o travisamento del fatto atteso che (Cass., sez. un., 5 marzo 2024, n. 5792) per ‘fatto probatorio’ si intende non già il fatto storico che per mezzo dell’istruzione probatoria deve accertarsi, bensì l’oggetto della percezione del giudice (il documento, la foto, la dichia razione, l’indizio etc.), sicché il travisamento del contenuto oggettivo della prova, ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica de lla riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, ed esso trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c.; mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale.
Nel caso in esame, le mansioni svolte dalla ricorrente, per come individuate nella stessa sentenza, attenevano a mansioni operative ed elementari; e pertanto, secondo il giudizio della Corte di merito, doveva ritenersi presuntivamente provato che ella fosse priva del bagaglio professionale e delle conoscenze necessarie ai fini
dell’evasione delle pratiche assicurative demandate ad un addetto allo sportello, la cui gestione implica invece conoscenze tecniche e specialistiche. Se quindi non può essere messo in discussione che la Corte d’appello non abbia ammesso le prove dirette sulla circostanza in oggetto, ciò non esclude tuttavia che il fatto relativo alle competenze professionali della lavoratrice sia stato comunque in concreto indagato attraverso presunzioni, che sono prove di cui la Corte si è servita procedendo dal fatto no to dell’attività di lavoro svolta per giungere al fatto ignoto del possesso o meno delle capacità professionali per svolgere le altre mansioni (peraltro nel caso di specie di livello superiore).
D’altra parte, l’uso delle presunzioni è ampiamente ammesso in materia di repêchage , dato che la prova della impossibilità di ricollocazione deve essere contenuta entro limiti di ragionevolezza e può considerarsi assolta anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva e indiziaria quando esistano gli elementi della precisione, gravità e concordanza, come è nel caso di specie.
2.- Con il secondo motivo si sostiene, ex art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 604 del 1966 e dell’art. 2103 c.c. per avere la Corte d’appello sostenuto, in palese violazione della novella dell’art.2103 c.c. (di cui al d.lgs. 81/2015), che l’obbligo di repechage in mansioni inferiori è limitato alle attitudini, al bagaglio professionale ed alla formazione di cui il lavoratore sia dotato al momento del licenziamento escludendo la sussistenza dell’obbligo del datore di lavoro di fornire un’ulteriore diversa formazione per salvaguardare il posto di lavoro del dipendente.
2.1. Anche questo motivo deve essere disatteso.
Anzitutto la Corte d’appello non ha affermato che fosse da escludere l’obbligo del datore in relazione alla formazione del
dipendente; sul punto la Corte ha invece affermato che la datrice aveva provato l’impossibilità di adibire la lavoratrice a mansioni equivalenti ed ha pure escluso che la lavoratrice avesse la competenza professionale richiesta per rivestire il ruolo superiore dell’addetta allo sportello di pratiche assicurative.
2.2. Entrambe le affermazioni sono rispondenti all’ordinamento ed alla conforme giurisprudenza di questa Corte in materia di obbligo di repechage .
2.3. Si ricorda infatti che secondo la giurisprudenza di legittimità, in materia di licenziamento per g.m.o., la verifica della possibilità di repêchage va effettuata sia in riferimento a mansioni equivalenti che a mansioni inferiori esistenti nell’organico aziendale.
2.4. Quanto all’equivalenza, a seguito delle modifiche all’art. 2103 cod. civ., apportate dall’art. 3 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il concetto di bagaglio professionale è stato sostituito da quello della riconducibilità delle mansioni ‘allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.’
2.5. Inoltre il datore, prima di intimare il licenziamento, è tenuto a ricercare possibili situazioni alternative e, ove le stesse comportino l’assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata ( Cass. n. 29099 del 2019).
L’obbligo di repechage non può riguardare invece la ricollocazione in una posizione di livello superiore a quella rivestita dal lavoratore e non è pertanto nemmeno ipotizzabile un obbligo di formazione in tale senso, neanche a mente dell’art. 2103 c.c. novellato dal d.lgs.81/2015 (v. Cass. n. 10627 del 19/04/2024 e n. 17036 del 20/06/2024).
3.- Sulla scorta di tali considerazioni il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono il regime della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo in favore della parte controricorrente; segue altresì il raddoppio del contributo unificato ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, alla pubblica udienza dell’11 giugno 2025
Il Giudice estensore Il Presidente
Dott. NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME