Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32437 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32437 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 862-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
nonché contro
Oggetto
Licenziamento g.m.o.
R.G.N. 862/2022
COGNOME
Rep.
Ud.23/10/2024
CC
ricorrente principale – controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 2004/2021 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 03/11/2021 R.G.N. 1397/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
con sentenza 3 novembre 2021, la Corte d’appello di Bari ha rigettato i reclami principale di RAGIONE_SOCIALE e incidentale di NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado, che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento intimato con lettera del 7 dicembre 2016 dalla società datrice alla lavoratrice per giustificato motivo oggettivo, negandone tuttavia la natura ritorsiva dedotta e l’aveva condannata alla sua reintegrazione ed al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, di un’indennità in misura di dodici mensilità;
essa ha ritenuto la manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento intimato, per la violazione dell’obbligo di repéchage , perché la lavoratrice ben avrebbe potuto essere adibita ad una posizione con mansioni inferiori rispetto a quelle in passato ricoperte (di responsabile di magazzino, con inquadramento al VI livello), avendone offerto la disponibilità, pur di evitare il licenziamento e avendo invece la società in essa mantenuta altra impiegata (di IV livello), in assenza di alcun legittimo, né ragionevole criterio di scelta (il minor costo della lavoratrice preferita, peraltro annullato dalla detta disponibilità al demansionamento, con la conseguente riduzione retributiva);
la Corte territoriale ha quindi ribadito l’inesistenza della natura ritorsiva del recesso, in difetto del nesso causale tra i
fatti, cronologicamente risalenti, che avrebbero suscitato la supposta reazione di rappresaglia (avere la lavoratrice reclamante incidentale fruito dei permessi ex lege 104/1992 dall’agosto 2012 e rifiutato le dimissioni propostele dal direttore commerciale in una riunione con tutto il personale del 17 gennaio 2013) rispetto al recesso intimato;
con atto notificato il 27 dicembre 2021, la società ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, cui ha resistito la lavoratrice con controricorso, contenente ricorso incidentale con due motivi, avverso al quale la società ha comunicato controricorso improcedibile (depositato in data 8 aprile 2022, oltre i 20 giorni dalla notificazione telematica del 10 marzo 2022).
entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
la ricorrente principale ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 3 legge n. 604/1966, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la violazione dell’obbligo di repéchage , nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto della lavoratrice (responsabile del reparto di magazzino), in ragione della sua disponibilità alla ricollocazione nella posizione di altra impiegata, addetta a mansioni inferiori, in assenza di alcun criterio di scelta (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 3 legge n. 604/1966, anche in relazione all’art. 30, primo comma legge n. 183/2010, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la violazione dell’obbligo di repéchage ,
nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto della lavoratrice (responsabile del reparto di magazzino), ad essa inapplicabile per inesistenza di una fungibilità di mansioni dei dipendenti, come invece nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per riduzione del personale (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 3 legge n. 604/1966, in relazione agli artt. 1175, 1375 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente comparato la posizione inferiore, tuttora necessaria, con quella apicale soppressa, previo demansionamento della lavoratrice titolare, nell’inosservanza del principio di buona fede (terzo motivo); nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., per insanabile illogicità e contraddittorietà della pronuncia, per l’affermazione della violazione dell’obbligo di repéchage nel non avere essa ricorrente demansionato la lavoratrice responsabile di posizione soppressa per compararla con altra lavoratrice addetta a mansioni inferiori (quarto motivo);
essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
giova preliminarmente ribadire che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo a causa della soppressione del posto cui era addetto il lavoratore, il datore ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussistesse alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale o con esso compatibili (Cass. 13 agosto 2008, n. 21579; Cass. 8 marzo 2016, n. 4509; Cass. 11 novembre 2019,
n. 29099). Sempre ai fini dell’obbligo di repéchage , a seguito della soppressione del posto di lavoro, non vengono in rilievo tutte le mansioni inferiori dell’organigramma aziendale, ma solo quelle compatibili con le competenze professionali del lavoratore, ovvero quelle che egli abbia effettivamente già svolto, contestualmente o in precedenza, senza obbligo del datore di lavoro di fornire un’ulteriore o diversa formazione del prestatore per la salvaguardia del posto di lavoro (Cass. 3 dicembre 2019, n. 31520; Cass. 20 giugno 2024, n. 17036); sicché, qualora questi abbia svolto ordinariamente in modo promiscuo mansioni inferiori, oltre quelle soppresse, sussiste a carico del datore di lavoro l’obbligo di repéchage anche in ordine alle mansioni inferiori (Cass. 26 maggio 2017, n. 13379; Cass. 13 novembre 2018, n. 29165).
Nel caso poi di soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili perché occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, non essendo utilizzabile il criterio dell’impossibilità di repéchage , il datore di lavoro deve individuare il soggetto da licenziare secondo i principi di correttezza e buona fede; in questo contesto, l’art. 5 della legge n. 223/1991 offre uno standard idoneo ad assicurare una scelta conforme a tale canone, ma non può escludersi l’utilizzabilit à di altri criteri, purché non arbitrari, improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25192); in ogni caso, l’obbligo per il datore di lavoro di dimostrare l’impossibilità di adibire il dipendente da licenziare ad altri posti di lavoro rispetto a quello da sopprimere è incompatibile con motivazioni strettamente collegate alla mera riduzione dei costi per il personale, in quanto il mantenimento in servizio del dipendente,
seppure in altre mansioni, contrasterebbe con la predetta esigenza (Cass. 25 gennaio 2021, n. 1508);
3.1. la Corte d’appello ha esattamente applicato i suenunciati principi di diritto, in buona parte richiamati (al penultimo e terz’ultimo capoverso di pg. 6 e ultimi due di pg. 7 della sentenza). In ragione della disponibilità della lavoratrice, in assenza di posti disponibili con mansioni equivalenti, ad essere adibita a mansioni inferiori (di fatto espletate dal suo rientro in servizio dal congedo straordinario e comunque) rientranti nel suo bagaglio professionale (così al secondo capoverso di pg. 7 della sentenza), essa ha ritenuto violato l’obbligo di ricollocazione per inosservanza del principio di buona fede, avendo la società datrice adottato, in favore della collega avente una qualifica inferiore, il criterio preferenziale del ‘minor costo’ (così al penultimo di pg. 8 della sentenza).
La congruità e la coerenza dell’articolata argomentazione escludono la ricorrenza del vizio di error in procedendo denunciato, non configurandosi nullità della sentenza per mancanza della motivazione, in ragione di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili le ragioni poste a base della decisione (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 25 giugno 2018, n. 16611);
la ricorrente ha quindi dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 18, settimo e quarto comma legge n. 300/1970, per erronea applicazione della tutela reintegratoria attenuata, in luogo di quella indennitaria forte per la ritenuta violazione dei criteri di scelta (quinto motivo);
anch’esso è infondato;
è noto che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la verifica del requisito della ‘manifesta insussistenza del fatto posto a
base del licenziamento’ concerna entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e pertanto, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa, sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (Cass. 2 maggio 2018, n. 10435; Cass. 11 novembre 2019, n. 29102). Sicché, è corretta l’applicazione della tutela reintegratoria, a norma dell’art. 18, settimo e quarto comma legge n. 300/1970, senza alcuna rilevanza, a seguito della sentenza n. 59 del 2021 della Corte costituzionale, della valutazione sulla non eccessiva onerosità del rimedio (Cass. 25 maggio 2022, n. 16975), né della verifica, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 125 del 2022, di manifesta inesistenza dei presupposti di legittimità dello stesso (Cass. 1 luglio 2024, n. 18075);
l’infondatezza del ricorso principale assorbe i due motivi (violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 legge n. 604/1966 e 2697 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuta provata la sussistenza delle effettive ragioni produttive, organizzative e funzionali per la stabilità della situazione di crisi negli ultimi anni, in difetto di prova, a carico della società: primo motivo; violazione e falsa applicazione artt. 3, 5 legge n. 604/1966, 2697 c.c. e 115 c.p.c., per la mancanza di prova della soppressione della posizione di responsabile del magazzino e del giustificato motivo oggettivo: secondo motivo) del ricorso incidentale della lavoratrice controricorrente (peraltro parimenti infondato);
pertanto, il ricorso principale deve essere rigettato e l’incidentale dichiarato assorbito, con la compensazione integrale delle spese di giudizio tra le parti, in ragione della proposizione da entrambe di gravame avverso la sentenza della Corte d’appel lo e il raddoppio del contributo unificato per
entrambi i ricorrenti, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, con la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2024