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Obbligo di repêchage: licenziamento illegittimo

La Corte di Cassazione conferma l’illegittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La sentenza ribadisce che l’onere della prova sull’impossibilità di ricollocamento del dipendente, noto come obbligo di repêchage, grava interamente sul datore di lavoro. L’azienda sanitaria ricorrente non è riuscita a dimostrare di aver esplorato tutte le possibili alternative occupazionali, anche a mansioni inferiori, rendendo così il recesso nullo.

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Pubblicato il 5 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Obbligo di Repêchage: la Cassazione Conferma il Licenziamento Illegittimo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17366/2025, ha riaffermato un principio cardine del diritto del lavoro: l’obbligo di repêchage a carico del datore di lavoro in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Questa pronuncia chiarisce che il datore non solo deve provare la ragione economica o organizzativa alla base del licenziamento, ma anche l’impossibilità di ricollocare il dipendente in altre mansioni. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Licenziamento per Esternalizzazione

Una società operante nel settore sanitario decideva di licenziare una dipendente per giustificato motivo oggettivo, a seguito dell’esternalizzazione delle attività di laboratorio di analisi. La lavoratrice impugnava il licenziamento, sostenendo che l’azienda non avesse adempiuto al suo dovere di cercare una posizione alternativa per lei all’interno della struttura.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello davano ragione alla dipendente. I giudici di merito evidenziavano come la società, nonostante le sue notevoli dimensioni, non avesse mai offerto alla lavoratrice mansioni alternative, neppure di livello inferiore. Altri elementi, come l’offerta di ricollocazione fatta ad altri due colleghi licenziati nello stesso periodo, rafforzavano la convinzione che l’azienda non avesse esplorato tutte le vie possibili per evitare il licenziamento.

L’Obbligo di Repêchage e la Prova a Carico del Datore

Il datore di lavoro, nel suo ricorso per cassazione, sosteneva di aver fornito prove sufficienti dell’impossibilità di ricollocazione. Tra queste, la mancanza di assunzioni nei mesi successivi e l’assenza di titoli specifici della lavoratrice per altre posizioni. Inoltre, riteneva che offrire un posto con mansioni molto inferiori, come quello di addetta alle pulizie, avrebbe comportato un demansionamento eccessivo e un onere di formazione sproporzionato.

Il concetto di obbligo di repêchage impone al datore di lavoro di dimostrare attivamente e concretamente di aver fatto tutto il possibile per salvaguardare il posto di lavoro. Non è sufficiente una generica affermazione sull’impossibilità di ricollocamento; è necessario fornire prove precise che attestino l’inesistenza di posizioni vacanti compatibili con il bagaglio professionale del lavoratore, anche considerando adattamenti ragionevoli.

La Decisione della Cassazione sull’Obbligo di Repêchage

La Suprema Corte ha dichiarato i motivi del ricorso in gran parte inammissibili e, per la parte restante, infondati. I giudici hanno sottolineato che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio per riesaminare i fatti e le prove, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito.

La Corte ha ribadito che la valutazione degli indizi e delle prove è di competenza del giudice di merito, il quale aveva correttamente concluso che l’azienda non aveva assolto al proprio onere probatorio. L’insieme degli elementi raccolti (dimensioni aziendali, offerte ad altri dipendenti, rifiuto di offrire alternative in sede conciliativa) costituiva una base sufficiente per presumere la violazione dell’obbligo di repêchage.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha chiarito diversi punti fondamentali. In primo luogo, ha specificato che le censure relative alla violazione delle norme sulla valutazione delle prove (artt. 115 e 116 c.p.c.) sono valide solo quando il giudice fonda la sua decisione su prove non prodotte dalle parti o valuta erroneamente prove legali, non quando esercita il suo potere di apprezzamento delle prove non legali. Nel caso di specie, l’azienda contestava, in realtà, la valutazione di merito fatta dalla Corte d’Appello, un’operazione non consentita in sede di legittimità.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito il principio consolidato secondo cui l’onere di provare l’impossibilità del repêchage spetta integralmente al datore di lavoro. Questo onere include la prova della soppressione effettiva del posto di lavoro e, cumulativamente, l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni differenti, anche inferiori. Infine, la Corte ha specificato che qualsiasi offerta di ricollocazione avanzata dall’azienda solo in un momento successivo al licenziamento, ad esempio durante il processo, è del tutto irrilevante per valutare la legittimità originaria del recesso.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale a forte tutela del lavoratore. Per le aziende, emerge chiaramente la necessità di una gestione estremamente scrupolosa dei processi di riorganizzazione che comportano licenziamenti per motivo oggettivo. Non basta avere una valida ragione economica o produttiva; è imperativo documentare in modo inoppugnabile tutti i passaggi volti a cercare una soluzione alternativa al licenziamento. Questo include una mappatura completa delle posizioni interne, la valutazione di possibili adattamenti delle mansioni e, se necessario, l’offerta formale di posizioni anche di livello inferiore, prima di intimare il recesso. In assenza di una prova così rigorosa, il rischio che il licenziamento venga dichiarato illegittimo è molto elevato.

Chi deve provare l’impossibilità di ricollocare un lavoratore in caso di licenziamento per motivo oggettivo?
L’onere della prova grava interamente sul datore di lavoro. Egli deve dimostrare non solo la sussistenza della ragione organizzativa o produttiva, ma anche l’impossibilità di adibire il dipendente ad altre mansioni presenti in azienda.

L’obbligo di repêchage si estende anche a mansioni di livello inferiore?
Sì. La giurisprudenza, confermata da questa sentenza, stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di verificare la possibilità di ricollocare il lavoratore anche in mansioni inferiori, purché compatibili con il suo bagaglio di competenze e professionalità.

Un’offerta di ricollocazione fatta dopo il licenziamento può sanarne l’illegittimità?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che un’offerta di reimpiego avanzata dalla società in una data successiva al provvedimento di licenziamento è irrilevante ai fini della valutazione della legittimità del recesso stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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