Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24011 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24011 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
NOME.
OGGETTO:
giusta causa di dimissioni sussistenza -violazione dell’obbligo di fedeltà -incidenzxa sulla giusta causa – esclusione
ORDINANZA
sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 15909/2021 e 16046/2021 r.g., proposti n.r.g. 15909/2021
da
RAGIONE_SOCIALE , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente contro
n.r.g. 16046/2021
da
COGNOME COGNOME , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente intimato
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 230/2021 pubblicata in data 03/02/2021, n.r.g. 5212/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 10/07/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Roma decreto ingiuntivo per la somma di euro 22.118,21 a titolo di t.f.r. vantato nei confronti della sua datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE
2.- Avverso il provvedimento monitorio la società proponeva opposizione, con cui in via riconvenzionale chiedeva la condanna del COGNOME al pagamento dell’indennità di mancato preavviso, in quanto dimissionario in tronco in data 13/03/2014, nonché al risarcimento di tutti i danni legati alla violazione del dovere di fedeltà ex art. 2105 c.c., avendo l’ex dipendente lucrato indebitamente retribuzioni, sviato il dipendente COGNOME e la clientela aziendale, procurato un ‘calo di fatturato’ ed infine abusato delle strumentazioni informatiche di essa società.
3.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale rigettava l’opposizione , ritenendo peraltro sussistente la giusta causa di dimissioni dovuta al mancato pagamento delle retribuzioni di gennaio e febbraio 2014.
4.Assunte le prove testimoniali ammesse, la Corte d’Appello, in parziale accoglimento del gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE condannava il RAGIONE_SOCIALE a pagare alla società a titolo risarcitorio la somma di euro 31.263,05, oltre accessori, confermando nel resto la decisione di primo grado.
Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale affermava:
dalla prova testimoniale è emerso che effettivamente, durante il rapporto di lavoro, il Modolo svolgeva altra attività in concorrenza quale socio al 50% della RAGIONE_SOCIALE, come risulta altresì dalle visure CCIAA in atti, da cui si desume l’identità di oggetto sociale delle due società;
il teste COGNOME ha confermato che le due società operavano in concorrenza; analoga deposizione ha reso la teste COGNOME
tale condotta del Modolo integra la violazione dell’art. 2105 c.c. (Cass. n. 16377/2006);
che il Modolo operasse contemporaneamente per entrambe le società emerge anche dai bilanci della RAGIONE_SOCIALE relativi agli esercizi
2012 e 2013, dai quali si evince che la società non aveva costi di personale né immobilizzazioni materiali, il che avvalora l’assunto di RAGIONE_SOCIALE in ordine al costante utilizzo delle energie lavorative dei suoi due soci (Modolo e COGNOME) e della strumentazione informatica di RAGIONE_SOCIALE;
quanto alla prova del danno, in difetto di prova in ordine all’effettivo sviamento di clientela, esso può parametrarsi al 20% della retribuzione percepita nel periodo di riferimento dal Modolo, che, pur dipendente di RAGIONE_SOCIALE, non ha svolto solo per questa la prestazione lavorativa;
si tratta di un parametro liquidatorio che ben può essere utilizzato come insegna Cass. n. 22707/2015;
pertanto, in difetto di contestazione sugli importi pagati dalla società nel periodo di riferimento e pari complessivamente ad euro 156.315,28, la somma dovuta a titolo risarcitorio sarà dunque pari ad euro 31.263,05, somma che non si discosta sensibilmente dagli utili di esercizio percepiti dal Modolo quale socio della RAGIONE_SOCIALE negli anni 2012 e 2013, come si evince dai bilanci in atti;
sono invece destituite di fondamento le doglianze di inammissibilità della perizia di parte perché tardivamente depositata oltre il termine di deposito del ricorso in opposizione ex art. 645 c.p.c., nonché quella relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale sui danni dovuti al mancato ‘passaggio delle consegne’ all’atto delle dimissioni in tronco del Modolo, allo sviamento del dipendente COGNOME e della clientela;
infatti, tali doglianze prescindono dalle regole proprie del rito del lavoro e del regime di preclusioni suo proprio;
in ogni caso lo sviamento della clientela è un dato espressamente escluso dal teste COGNOME all’epoca legale rappresentante della società;
sul danno da mancato passaggio delle consegne difettano puntuali allegazioni;
quanto alla giusta causa di dimissioni, il mancato pagamento delle retribuzioni è idonea ad integrarla, come insegna Cass. n. 25678/2014;
m) inoltre la dedotta prassi aziendale di pagamento il giorno 16 del mese successivo a quello di maturazione (sicché il 13/03/2014, data delle dimissioni in tronco, vi era un ritardo di 25 giorni solo per la retribuzione di gennaio, mentre per quella di febbraio ancora non sussisteva inadempimento) sarebbe comunque illegittima, perché in contrasto con gli obblighi contrattuali, segnatamente con l’art. 70 CCNL, secondo cui la retribuzione deve essere corrisposta a fine mese;
le spese vanno compensate per metà, ma l’altra metà va posta a carico del Modolo, vista la sua prevalente soccombenza.
5.Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
6.- NOME COGNOME è rimasto intimato.
7.- La società ricorrente ha depositato memoria.
8.- Avverso la stessa sentenza anche NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
9.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
10.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
11.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente i due ricorsi per cassazione vanno riuniti, in quanto proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.) ed il secondo (nrg 16046/2021) si converte in tal modo in ricorso incidentale.
RICORSO PRINCIPALE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. la società ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio relativi all’insussistenza della giusta causa di dimissioni, per avere la Corte territoriale trascurato che:
alla data delle dimissioni del Modolo (13/03/2014) un acconto della retribuzione di gennaio 2014 era stato già versato;
le dimissioni erano state rese dal COGNOME subito dopo la scoperta in data 11/03/2014, da parte della società, dell’infedeltà del dipendente;
Il motivo è inammissibile, perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 348 ter, pen. co., c.p.c.). Peraltro, la ricorrente non ha indicato, come invece era suo onere, le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado
e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, né ha allegato e dimostrato che esse siano tra loro diverse (Cass. n. 5528/2018; Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 19001/2016).
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione degli artt. 2119, 1366, 1375 e 1218 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente la giusta causa di dimissioni pur avendo riconosciuto la violazione, da parte del COGNOME, del suo obbligo di fedeltà. Lamenta, in particolare, che i Gi udici d’appello avrebbero omesso di considerare che il COGNOME aveva strumentalizzato l’istituto delle dimissioni per giusta causa proprio al fine di sottrarsi alle conseguenze della violazione dell’obbligo di fedeltà.
Il motivo è inammissibile.
La sussistenza della giusta causa di dimissioni, in conseguenza dell’inammissibilità del primo motivo, deve dirsi passata in giudicato. Ne consegue che tale giudicato non può essere inficiato dall’accertamento dell’avvenuta violazione dell’obbligo di fedel tà da parte del Modolo, le cui uniche conseguenze sono pertanto di natura risarcitoria, come esattamente deciso dalla Corte territoriale.
Per il resto le censure relative all’omessa considerazione di determinate circostanze di fatto (la sussistenza di altre fonti di reddito per il Modolo, con conseguente esclusione del carattere alimentare delle ultime retribuzioni non percepite; l’obiettiva difficoltà della società di pagare con puntualità le retribuzioni quale conseguenza dell’attività concorrenziale del Modolo etc.), sono inammissibili, perché attengono alla valutazione in concreto di elementi di fatto ai fini della giusta causa di dimissioni, valutazione riservata al giudice di merito e quindi interdetta in sede di legittimità.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione dell’art. 132 c.p.c. per avere la Corte territoriale affermato in modo insanabilmente contraddittorio da un lato la responsabilità del lavoratore per violazione dell’art. 2105 c.c., con conseguenze risarcitorie, dall’altro ritenuta sussistente l a giusta causa di dimissioni.
Il motivo è infondato.
La giusta causa di dimissioni è stata ravvisata dai Giudici d’appello (e prima ancora dal Tribunale) in considerazione dell’inadempimento datoriale rispetto all’obbligo principale di pagare la retribuzione per due mesi. Tale obbligo e la rilevanza del suo inadempimento non vengono meno sol perché il lavoratore sia stato a sua volta inadempiente rispetto ai propri obblighi (nella specie di fedeltà ex art. 2105 c.c.). Dunque i due profili restano separati e dànno luogo a conseguenze giuridiche separate, sicché le une sono compatibili con le altre sia sul piano logico che su quello giuridico.
RICORSO INCIDENTALE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il COGNOME denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c. per non avere la Corte territoriale ammesso le prove da lui reiterate in qualità di appellato sulla circostanza -a suo dire decisiva -dell’avere la RAGIONE_SOCIALE un target commerciale (ossia una clientela effettiva e potenziale) completamente diverso da quello di RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è inammissibile, perché il ricorrente non deduce né dimostra la decisività del mezzo di prova di cui lamenta la mancata ammissione. Al riguardo questa Corte ha già affermato che il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è censurabile con ricorso per cassazione per violazione del diritto alla prova, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. allorquando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussistenti ovvero affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso che non illustri la decisività del mezzo di prova di cui si lamenta la mancata ammissione (Cass. ord. n. 30810/2023).
Inoltre il ricorrente non si confronta con quella parte della motivazione, con cui la Corte territoriale ha affermato che quella circostanza, pur laddove provata, sarebbe stata del tutto incongrua ossia non idonea ad escludere la responsabilità del Modolo per violazione dell’obbligo di fedeltà, posto che i testimoni COGNOME e COGNOME avevano confermato che le due società operavano in concorrenza e che comunque il Modolo, durante l’orario di lavoro
alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE, contattava clienti propri della RAGIONE_SOCIALE e non della RAGIONE_SOCIALE. Che poi tale condotta non abbia provocato uno sviamento di clientela è circostanza che attiene non alla violazione dell’obbligo di fedeltà, bensì all’entità dei danni risarcibili, che la Corte territoriale ha liquidato proprio considerando non dimostrato il predetto sviamento e quindi limitando in tal senso la misura del danno risarcibile.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente denunzia ancora la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115, 116, 345 e 437 c.p.c. per avere la Corte territoriale deciso anche sulla base delle dichiarazioni rese in sede penale dal Gargano, legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE all’epoca dei fatti, e dalle risultanze dei bilanci di RAGIONE_SOCIALE, documenti tutti tardivamente prodotti dalla società appellante in data 23/11/2020 nell’imminenza dell’ udienza di discussione del 26/11/2020.
Il motivo è inammissibile, in quanto la sentenza si fonda non soltanto ma ‘anche’ su tali elementi, utilizzati solo per corroborare il proprio convincimento, che la Corte territoriale ha motivatamente spiegato essersi formato sulla base di altri elementi istruttori, rappresentati dalle altre testimonianze e dalle visure camerali relative alle due società, di cui ha evidenziato la coincidenza dell’oggetto sociale. Pertanto il vizio denunziato, pur laddove in ipotesi sussistente, sarebbe comunque inidoneo ad inficiare la sentenza impugnata, che resterebbe comunque conforme a diritto.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuta provata la violazione dell’obbligo di fedeltà sulla base di mere illazioni.
Il motivo è inammissibile, perché sollecita a questa Corte una diversa valutazione di elementi acquisiti al processo nei gradi di merito, interdetta in sede di legittimità. Secondo un consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, ‘ non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito ‘ (Cass. ord. n. 4513/2023, che richiama Cass. n. 7394/2010; Cass. n. 13954/2007; Cass. n.
12052/2007; Cass. n. 7972/2007; Cass. n. 5274/2007; Cass. n. 2577/2007; Cass. n. 27197/2006; Cass. n. 14267/2006; Cass. n. 12446/2006; Cass. n. 9368/2006; Cass. n. 9233/2006; Cass. n. 3881/2006; e ricorda che sin da Cass. n. 1674/1963 venne affermato il principio secondo cui ‘la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione ‘).
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2105, 2598, 2600, 2697 e 1226 c.c. per avere la Corte territoriale riconosciuto un danno risarcibile pure in difetto di prova che questo fosse conseguenza diretta della violazione dell’obbligo di fedeltà.
Il motivo è inammissibile, perché non si confronta con quella parte della motivazione con cui la Corte territoriale, escluse le altre voci di danno patrimoniale pretese dalla società, ha riconosciuto solo quella di ‘danno emergente’, consistente nell’avven uto pagamento della retribuzione per una prestazione lavorativa che in realtà, almeno in parte, era stata resa dal RAGIONE_SOCIALE in favore di altro soggetto (la RAGIONE_SOCIALE.
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per avere la Corte territoriale posto le spese dei due gradi di giudizio di merito per metà a suo carico, pur essendo risultata fondata la sua pretesa al t.f.r.
Il motivo è inammissibile sia perché il ricorrente non censura l’affermazione di ‘prevalente soccombenza’ del Modolo da parte della Corte territoriale (peraltro matematicamente esatta, visto che il controcredito risarcitorio della società è superiore al credito del Modolo a titolo di t.f.r., sicché, all’es ito della compensazione, è la società a restare creditrice di una somma di denaro), sia perché la valutazione degli elementi processuali rilevanti ai fini della regolamentazione delle spese appartiene al potere discrezionale del giudice di merito.
6.- La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
La Corte, previa riunione dei ricorsi nn.r.g. 15909/2021 e 16046/2021, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data