Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26934 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 26934 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso 3753-2021 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore AVV_NOTAIO pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
Oggetto
Lavoro pubblico.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/09//2024
PU
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 149/2020 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 31/07/2020 R.G.N. 312/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/09/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Genova ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso volto all’accertamento della compatibilità dell’incarico di guardia medica penitenziaria, svolta presso la Casa Circondariale di RAGIONE_SOCIALE, con l’attività svolta quale dipendente della RAGIONE_SOCIALE nella qualità di dirigente medico di II livello presso il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e alla riammissione del ricorrente nel suddetto servizio di guardia medica con ogni consequenziale statuizione.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando cinque motivi di ricorso.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE, che ha depositato memoria.
Il Procuratore AVV_NOTAIO ha deposito requisitoria scritta con cui ha chiesto il rigetto del ricorso, come confermato in udienza pubblica.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione art. 58 CCNL area medica 8.6.2000 (art. 360. n. 3, cpc).
Il ricorrente denuncia l’errata interpretazione dell’art. 58 del CCNL 8 giugno 2000, che riporta nel ricorso.
Prospetta l’applicabilità nei suoi confronti, in ragione della suddetta disposizione contrattuale, del regime ex lege n. 740 del 1970, che, come è noto, prevede l’esclusione dell’obbligo di esclusività nell’ambito del rapporto fra il RAGIONE_SOCIALE e l’Amministrazione penitenziaria.
1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto, incentrato sull’interpretazione dell’art. 58 cit., che reca ‘Altre attività a pagamento dei dirigenti sanitari’, e non censura adeguatamente la ratio decidendi della decisione di appello, che verte sulla esclusività del rapporto di lavoro del ricorrente.
La Corte d’Appello con accertamento di fatto ha escluso che prima dell’aprile 2008 sussisteva un rapporto di lavoro instaurato ai sensi della legge n. 740 del 1970 tra il ricorrente e il DAP, come si evinceva dalla nota del 1° marzo 2010, dove si faceva espresso riferimento alla RAGIONE_SOCIALE per l’espletamento del RAGIONE_SOCIALE negli Istituti penitenziari.
Successivamente, a seguito del passaggio delle competenze amministrative dall’RAGIONE_SOCIALE all’RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima comunicava al ricorrente che dal 1° marzo 2017 sarebbe cessata l’attività di guardia medica prestata dal medesimo
dirigente, e che tale attività sarebbe stata garantita con incarichi a tempo determinato.
L’art. 58 cit. riguarda l’attività professionale, ma il provvedimento impugnato è stato emesso in base al principio di esclusività che trova fondamento nella Costituzione.
Ed infatti, la Corte d’Appello ha deciso la controversia facendo applicazione dei principi già enunciati da questa Corte (si v., Cass., n. 20880 del 2018).
Le prestazioni rese dai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e pena, non integrano un rapporto di pubblico impiego, bensì una prestazione d’opera professionale caratterizzata dagli elementi tipici della parasubordinazione (Cass. S.U. 12618 del 1998 e Cass. S.U. n. 7901 del 2003), che trova la propria fonte normativa nel complesso delle disposizioni contenute nella legge n. 740/1970, le quali si pongono come norme speciali (Cass. n. 3782/2012 e Cass. n. 10189/2017).
Il comma 2 dell’art. 2, quindi, trova la sua ratio nella peculiare natura del rapporto al quale la disposizione si riferisce, perché è volto a rimarcare la non assimilabilità dello stesso all’impiego pubblico, e, quindi, ad escludere l’applicazione, non delle sole norme inerenti il regime delle incompatibilità, ma in genere dell’intera disciplina dettata per gli impiegati civili dello Stato.
In considerazione della particolare penosità del servizio prestato dai sanitari addetti agli istituti penitenziari (Cass. n. 14947/2016; Cass. n. 17092/2010; Cass. n. 9046/2006) il legislatore, poi, ha ritenuto di non dovere estendere ai medici che svolgono «a qualsiasi titolo» detta attività «le
incompatibilità e le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il RAGIONE_SOCIALE», rimarcando la specialità del rapporto anche rispetto a quelli, egualmente parasubordinati, instaurati con i medici convenzionati. La disposizione in commento è, quindi, volta a disciplinare il rapporto fra il RAGIONE_SOCIALE e l’amministrazione penitenziaria ed esclude l’obbligo di esclusività, anche al fine di estendere la platea dei possibili aspiranti all’incarico, in considerazione della peculiare natura dello stesso.
Da ciò, peraltro, non si possono trarre le conseguenze pretese dal ricorrente, perché la norma non incide sulla disciplina di rapporti diversi da quello al quale si riferisce e, pertanto, non conferisce al medico incaricato il diritto a cumulare l’incarico con qualsiasi altra attività, prescindendo dai requisiti che per quest’ultima il legislatore richiede.
Il distinto rapporto che viene in rilievo resta soggetto alle regole sue proprie, sicché, ove lo stesso sia caratterizzato dall’esclusività, come nella specie, l’obbligo resta immutato, e non rileva che l’incarico ulteriore che si pretende di svolgere sia riconducibile alle previsioni della legge n. 740/1970.
Da ciò discende che il medico legato ad una pubblica amministrazione da rapporto di impiego a tempo determinato o indeterminato, in relazione a detto rapporto ed agli obblighi che dallo stesso scaturiscono, è tenuto al rispetto dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, che richiama il regime delle incompatibilità ed il divieto di cumulo di cui al d.P .R. n. 3/1957, sicche non può sottrarsi alle conseguenze derivanti dalla violazione del divieto facendo leva sulla disciplina dettata, ad altri fini, dal menzionato art. 2 della legge n.
740/1970, che la Corte territoriale, correttamente, ha ritenuto non applicabile alla fattispecie.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotto il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione circa la compatibilità dell’incarico di medico RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 360, n. 5, cpc.
2.1. Il motivo è inammissibile. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (si v. ex aliis , Cass., n. 10990 del 2020) va dichiarata l’inammissibilità della censura formulata, come nella specie, sotto il profilo della carente o omessa motivazione, atteso che il vizio della motivazione non costituisce più ragione cassatoria a seguito della riformulazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., disposta con l’art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis .
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115, cpc, in relazione all’art. 360, n.3, cpc. Assume il ricorrente che la Corte d’Appello nel condividere la motivazione del Tribunale ometteva di valutare le risultanze testimoniali di cui esso ricorrente aveva dedotto la decisività.
3.1. Il motivo è inammissibile
La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare (si v., Cass., n. 8289 del 2024), che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115, cpc, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle
parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza, che ricorre nella fattispecie in esame, secondo cui il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cpc.
La valutazione delle prove raccolte anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 1234 del 2019, n. 20553 del 2021).
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345, comma 2, cpc, in relazione all’art. 360, n.3, cpc, per la mancata rilevazione d’ufficio della nullità del provvedimento della RAGIONE_SOCIALE impugnato, avendo affermato la Corte d’Appello la novità della questione, non proposta nel ricorso introduttivo del giudizio.
4.1. La censura è inammissibile, in quanto non è formulata in modo tale da consentire a questa Corte di valutarla.
Benché la Corte d’Appello abbia affermato la novità della questione in quanto non introdotta con il giudizio di primo grado, tuttavia il ricorrente si è limitato a riprodurre il motivo di appello senza la parte rilevante del ricorso introduttivo e la relativa statuizione di primo grado, né
peraltro, nel dedurre la rilevabilità d’ufficio della nullità, ha riprodotto il contenuto della nota, non consentendo alla Corte di effettuare il giudizio di rilevanza.
Con il quinto motivo di ricorso si prospetta la lesione del diritto di difesa e/o violazione dei principi del giusto processo in relazione all’art. 360, n.3, cpc
5.1. Il motivo è inammissibile per la genericità della deduzione, atteso che la censura non illustra le note scritte, di cui la Corte d’Appello ha ritenuto la novità e quindi l’inammissibilità, rispetto ai precedenti atti processuali, non consentendo il giudizio sulla rilevanza della doglianza.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
In ragione dell’inammissibilità del ricorso, per la ragione più liquida, è assorbita l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla controricorrente con il controricorso e in memoria.
le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
principale, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della