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Obbligo di esclusività medico: Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un medico, dipendente di un’Azienda Sanitaria, che contestava la cessazione del suo incarico di guardia medica penitenziaria. La decisione si fonda sull’obbligo di esclusività che caratterizza il rapporto di pubblico impiego. Secondo la Corte, la normativa speciale che esclude tale obbligo per l’incarico penitenziario (legge n. 740/1970) non può annullare i doveri derivanti dal principale rapporto di lavoro con il Servizio Sanitario Nazionale, rendendo i due ruoli incompatibili.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Obbligo di esclusività medico: il cumulo di impieghi è possibile?

L’obbligo di esclusività medico è un pilastro del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, ma esistono eccezioni? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un dirigente medico, dipendente di un’Azienda Sanitaria, che svolgeva contemporaneamente l’incarico di guardia medica presso un istituto penitenziario. La Corte ha chiarito i confini tra le due posizioni, confermando la prevalenza dei doveri legati al rapporto di impiego principale.

I fatti di causa

Un dirigente medico di II livello presso il Centro Trasfusionale di un’Azienda Sanitaria svolgeva anche un’attività di guardia medica penitenziaria. L’Azienda Sanitaria, dopo aver acquisito le competenze amministrative, comunicava al medico la cessazione di quest’ultima attività a partire da una certa data, invocando il principio di esclusività che governa il suo rapporto di lavoro principale. Il medico impugnava tale decisione, sostenendo che la normativa speciale per i sanitari penitenziari (legge n. 740/1970) escludesse l’obbligo di esclusività, rendendo i due incarichi compatibili. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano le sue richieste. Il caso giungeva così all’esame della Corte di Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del medico inammissibile per una serie di vizi procedurali. Tuttavia, nel merito della questione giuridica, ha ribadito e consolidato un principio fondamentale. I giudici hanno spiegato che l’incarico di medico penitenziario non costituisce un rapporto di pubblico impiego, ma una prestazione d’opera professionale parasubordinata. La legge speciale che regola tale incarico (L. n. 740/1970) esclude l’obbligo di esclusività per quel singolo rapporto, al fine di ampliare la platea di professionisti disponibili, data la peculiarità e la penosità del servizio.

L’obbligo di esclusività nel pubblico impiego e le sue deroghe

Il punto cruciale della decisione è che questa deroga non ha la forza di neutralizzare gli obblighi derivanti da un diverso e distinto rapporto di lavoro, come quello di dipendente pubblico del Servizio Sanitario Nazionale. Quest’ultimo rapporto è caratterizzato, per legge e per contratto, da un vincolo di esclusività che trova fondamento nella Costituzione e nell’art. 53 del d.lgs. 165/2001. Pertanto, un medico legato da un rapporto di impiego a tempo pieno con una Pubblica Amministrazione è tenuto a rispettare tale vincolo.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che i due rapporti di lavoro rimangono distinti e soggetti alle rispettive discipline. La norma che esclude l’esclusività per l’incarico penitenziario serve a regolare quel rapporto specifico, ma non conferisce al medico il diritto di cumulare tale incarico con qualsiasi altra attività, ignorando i vincoli e le incompatibilità previsti da quest’ultima. In sostanza, il medico dipendente pubblico non può sottrarsi alle conseguenze della violazione del divieto di cumulo, facendo leva su una disciplina dettata per altri fini e per un diverso rapporto. La Corte ha quindi ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito, che non avevano applicato la legge n. 740/1970 per derogare agli obblighi del rapporto di impiego principale. Il ricorso è stato inoltre giudicato inammissibile per motivi tecnici, tra cui la genericità e la non corretta formulazione delle censure.

Le conclusioni

La sentenza riafferma con forza che l’obbligo di esclusività medico nel pubblico impiego non può essere aggirato invocando normative speciali relative a incarichi professionali esterni. Un dipendente del Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a rispettare il vincolo di esclusività previsto dal suo contratto, e la deroga concessa per l’incarico di medico penitenziario non si estende al rapporto di impiego principale. Questa decisione chiarisce definitivamente i limiti del cumulo di impieghi per i professionisti sanitari del settore pubblico, confermando la prevalenza degli obblighi di fedeltà e dedizione verso l’amministrazione di appartenenza.

Un medico dipendente di un’Azienda Sanitaria pubblica può svolgere anche l’incarico di medico penitenziario?
No, secondo la sentenza, se il rapporto di lavoro con l’Azienda Sanitaria è caratterizzato dall’obbligo di esclusività, questo prevale. Il medico non può cumulare i due incarichi perché violerebbe il vincolo derivante dal suo impiego pubblico principale.

La legge speciale per i medici penitenziari (L. 740/1970) deroga all’obbligo di esclusività del pubblico impiego?
No. Tale legge esclude l’obbligo di esclusività solo con riferimento allo specifico incarico di medico penitenziario, per facilitare il reclutamento. Tuttavia, non ha l’effetto di annullare o derogare l’obbligo di esclusività previsto da un altro e distinto rapporto di lavoro, come quello di un dipendente del Servizio Sanitario Nazionale.

Perché il ricorso del medico è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per vizi procedurali. La Corte ha ritenuto che i motivi di ricorso fossero formulati in modo generico, non censurassero adeguatamente la ratio decidendi della sentenza d’appello e, in alcuni casi, sollevassero questioni nuove o non consentite in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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