Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23729 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23729 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/08/2025
Oggetto
Previdenza
Contributi Inarcassa
R.G.N. 21361/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 10/06/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 21361-2019 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME – Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1945/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/01/2019 R.G.N. 1253/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2025 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano, in favore di RAGIONE_SOCIALE, per contributi relativi agli anni dal 2000 al 2007. 1.1. In discussione l’obbligo di iscrizione ad RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME assumeva di non esservi tenuto, in quanto, nel periodo in contestazione, aveva svolto attività di consulenza nel settore della sicurezza dei trasporti di merci pericolose, per la quale non era affatto necessaria l’iscrizione all’albo degli ingegneri ma soltanto il conseguimento di determinate abilitazioni. Ne era prova il fatto che, dopo il 2007, pur avendo continuato a svolgere la medesima attività, si era cancellato dall’albo professionale degli ingegneri-architetti e si era iscritto alla gestione separata Inps dell’Inps.
1.2. La Corte di appello, premessa la normativa di riferimento (art. 21 della legge n. 6 del 1981, art. 7 Statuto Inarcassa e art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995), disattendeva la tesi dell’appellato e affermava il credito dell’ ente previdenziale. Osservava come , ai fini dell’insorgenza dell’obbligo contributivo nei confronti di Inarcassa, rileva sse non il fatto che l’attività fosse riservata per legge alla professione ma piuttosto che l’attività concretamente svolta richiedesse cognizioni tecniche tipiche della professione e, nello specifico, quella svolta le richiedeva. Il conseguimento di titoli abilitativi ulteriori non era infatti sufficiente ad escludere l’inerenza dei redditi prodotti alla professione e, quindi, l’obbligo contributivo. Peraltro, nel periodo in contestazione, neppure era risultato che il COGNOME avesse versato, in altra gestione, la contribuzione in relazione all’attività espletata.
Avverso la decisione, ha proposto ricorso NOME COGNOME con sei motivi, successivamente illustrati con memoria. Ha resistito l’ Inarcassa, con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c.- è dedotta la violazione dell’art. 2 del R.D. nr. 1422 del 1924, dell’art. 21 della legge nr. 6 del 1981 e dell’art. 409 , punto 3), c.p.c., per avere la sentenza impugnata omesso di esaminare le modalità concrete di svolgimento dell’attività e la sua riconducibilità all’esercizio della libera professione richiesta dalla legge nr. 6 del 1981.
Con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 5 c.p.c. -è dedotto l’omesso esame delle fatture in atti e dello Statuto, con conseguente erronea equiparazione del lavoro parasubordinato di consulenza dei trasporti pericolosi, svolto dal socio di cooperativa, a quella propria del libero professionista.
Con il terzo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 5 c.p.c. -è dedotto l’omesso esame dell’atto costitutivo che impegna la cooperativa «a non acquisire i lavori inerenti alla consulenza dei professionisti iscritti agli Albi».
Con il quarto motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 5 c.p.c. -è dedotta l’omessa considerazione delle attività riservate agli abilitati ai corsi di formazione CE.
Con il quinto motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 5 c.p.c. -è dedotta l’omessa considerazione delle attività riservate agli abilitati ai corsi di formazione AICQ.
I cinque motivi possono esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione. Tutte le censure -anche quelle sub specie di violazione di legge di cui al primo motivo di ricorsopongono, ella sostanza, questioni di fatto, non illustrate nel
senso inteso da questa Corte (fatto storico, principale o secondario, che se esaminato avrebbe condotto con certezza o alta verosimiglianza ad un diverso esito della lite: Cass., sez. un., nr. 8053 del 2014 e successive, plurime conformi), imputando alla sentenza di aver ritenuto che il ricorrente svolgesse attività di «libero professionista» mentre, in relazione al periodo in contestazione, il COGNOME era stato lavoratore parasubordinato e, fino all’8 maggio 2001, socio lavoratore, equiparato ai lavoratori dipendenti.
2.1. Tuttavia, prima ancora di questa considerazione, deve osservarsi come i rilievi involgano profili che la sentenza impugnata non ha in alcun modo affrontato.
2.2. La pronuncia muove da fatti «certi» (pag. 3 sentenza) quali, tra l’altro, lo «svolgimento di lavoro autonomo come consulente» e la «produzione di un reddito, per tale attività, qualificato, sul piano fiscale, come reddito professionale».
2.3. La Corte di appello, nel riportare le difese dell’appellato, coglie il punto di contrasto unicamente nel «contenuto» dell’attività di lavoro autonomo svolta che, per il professionista, prescindeva totalmente dalla necessità di una iscrizione all’albo professionale degli ingegneri, richiedendo semplici abilitazioni.
2.4. Così individuato il tema controverso, parte ricorrente avrebbe dovuto illustrare «come, quando e dove» la questione circa le modalità di svolgimento dell’attività professionale fosse stata devoluta nei gradi di merito.
2.5. Come prospettate, invece, le questioni risultano nuove e sono, anche per tale ragione, inammissibili. E’ princi pio della Corte che «Qualora una questione giuridica -implicante un accertamento di fatto- non risulti trattata in alcun
modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa ( in ultimo, Cass. nr. 3473 del 2025).
Con il sesto motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c. -è dedotta la violazione degli artt. 2697 e 2698 c.c. È censurata la violazione della regola di riparto dell’onere di prova. Parte ricorrente assume che la sentenza avrebbe fondato la decisione sul testo dell’art. 7 del regolamento ( recte: dello Statuto di Inarcassa) inapplicabile ratione temporis .
3.1. Anche il sesto motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità.
3.2. A tacer del fatto che «la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni» e non quando, come nella specie «oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del l’ art. 360 n. 5 c.p.c.)» ( ex plurimis , Cass. nr. 13395 del 2018), neppure è riportato il testo della disposizione che, viceversa, dovrebbe applicarsi, in evidente violazione degli oneri di completezza e specificità imposti dal codice di rito.
Alla stregua delle argomentate censure, non si colgono, nella sentenza impugnata, violazioni al consolidato orientamento della Corte secondo cui, in tema di previdenza di ingegneri e architetti, l’imponibile contributivo va determinato in base al criterio dell’oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività concreta, ancorché quest ‘ultima non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando la circostanza che le cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull’esercizio dell’attività svolta (in ultimo, in motivazione, Cass. nr. 10413 del 2025, con approfondito richiamo ai numerosi precedenti della Corte).
Per quanto innanzi, il ricorso va dichiarato inammissibile, con le spese che seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 10 giugno 2025
NOME COGNOME