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Obbligo contributivo: quando scatta per i professionisti

Un professionista ha contestato il suo obbligo di versare i contributi alla cassa di categoria per un’attività di consulenza, sostenendo non fosse esclusiva della sua professione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che l’obbligo contributivo per i professionisti sorge quando l’attività, anche se non legalmente riservata, è oggettivamente riconducibile alla professione per le competenze tecniche impiegate. La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili i motivi di ricorso basati su questioni di fatto non sollevate nei gradi di merito precedenti.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Obbligo Contributivo Professionisti: La Cassazione sul Principio di Riconducibilità

L’obbligo contributivo professionisti rappresenta un tema cruciale e spesso dibattuto. Quando un’attività, pur non essendo legalmente riservata a una categoria, richiede le competenze tipiche di quella professione, sorge l’obbligo di iscrizione e contribuzione alla cassa di previdenza di riferimento? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio consolidato, offrendo chiarimenti fondamentali sulla questione.

I Fatti del Caso

Un professionista, ingegnere di formazione, ha svolto per anni un’attività di consulenza nel settore della sicurezza dei trasporti di merci pericolose. Per questo lavoro, egli sosteneva che non fosse necessaria l’iscrizione all’albo professionale, ma solo il possesso di specifiche abilitazioni. Di conseguenza, riteneva di non essere tenuto a versare i contributi alla cassa di previdenza degli ingegneri e architetti.

A sostegno della sua tesi, il professionista evidenziava come, dopo il periodo contestato (2000-2007), avesse continuato a svolgere la medesima attività pur cancellandosi dall’albo e iscrivendosi alla gestione separata dell’INPS. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva dato ragione all’ente previdenziale, affermando che il criterio determinante non è la riserva legale dell’attività, ma il fatto che essa richieda concretamente le cognizioni tecniche tipiche della professione.

L’Obbligo Contributivo e la Decisione della Cassazione

Il professionista ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su diversi motivi, tra cui la presunta violazione di legge e l’omesso esame di elementi di fatto. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione d’appello.

La Corte ha sottolineato che la maggior parte delle censure sollevate dal ricorrente introducevano, in realtà, questioni di fatto (come la natura parasubordinata del suo rapporto di lavoro) che avrebbero dovuto essere discusse e provate nei precedenti gradi di giudizio. Introdurre tali questioni per la prima volta in sede di legittimità costituisce una pratica non consentita, che porta all’inammissibilità del ricorso.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione di un principio chiave: l’obbligo contributivo professionisti è legato al criterio dell’oggettiva riconducibilità dell’attività svolta alla professione. In altre parole, non è rilevante se l’attività sia o meno ‘esclusiva’ o ‘riservata’ per legge a chi è iscritto a un albo. Ciò che conta è se, per svolgerla, vengono impiegate le conoscenze e le competenze tecniche che costituiscono il bagaglio tipico di quella professione.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che l’attività di consulenza sulla sicurezza dei trasporti richiedesse proprio quelle cognizioni tecniche specifiche di un ingegnere. Il fatto che fossero necessarie ulteriori abilitazioni non escludeva l’inerenza dell’attività alla professione, e quindi non eliminava l’obbligo contributivo verso la cassa di categoria.

La Corte ha anche respinto il motivo relativo alla violazione delle norme sull’onere della prova, chiarendo che tale violazione si configura solo quando il giudice attribuisce l’onere a una parte diversa da quella prevista dalla legge, e non quando, come nel caso in esame, si contesta la valutazione delle prove stesse.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica per tutti i liberi professionisti. La decisione chiarisce che per determinare l’obbligo di versamento dei contributi alla propria cassa previdenziale, bisogna guardare alla sostanza dell’attività svolta. Se l’attività è oggettivamente riconducibile alla professione, perché ne sfrutta le competenze tipiche, l’obbligo contributivo sussiste, anche se quella specifica mansione potrebbe essere, in teoria, svolta anche da altri. I professionisti devono quindi valutare attentamente la natura del loro lavoro per adempiere correttamente ai propri obblighi previdenziali, evitando future contestazioni.

Quando sorge l’obbligo di iscrizione alla cassa di previdenza per un professionista?
L’obbligo sorge quando l’attività concretamente svolta, anche se non riservata per legge a quella professione, richiede l’utilizzo di cognizioni tecniche tipiche della professione stessa (criterio dell’oggettiva riconducibilità).

Un’attività non esclusiva della mia professione può comunque generare un obbligo contributivo verso la cassa di categoria?
Sì. Secondo la Corte, il fatto che un’attività non sia legalmente riservata a una professione non è sufficiente per escludere l’obbligo contributivo. Se l’attività è intrinsecamente legata alle competenze professionali, l’obbligo sussiste.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i motivi del ricorso del professionista?
La Corte ha dichiarato i motivi inammissibili principalmente perché sollevavano questioni di fatto (come la natura del rapporto di lavoro) che non erano state adeguatamente discusse e provate nei precedenti gradi di giudizio. Tali questioni sono considerate nuove e non possono essere esaminate per la prima volta in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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