Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34638 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34638 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2821-2022 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 604/2021 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 21/07/2021 R.G.N. 612/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto
Decadenza NASpI
R.G.N. 2821/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 31/10/2024
CC
In riforma della pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Bologna dichiarava NOME COGNOME decaduto dal diritto al trattamento di disoccupazione (NASpI) per non aver comunicato all’Inps il reddito avuto quale socio accomandatario di una società in accomandita semplice.
Riteneva la Corte d’appello che l’atto d’appello dell’Inps fosse sufficientemente specifico. Nel merito, argomentava la sussistenza dell’obbligo di comunicazione all’Inps anche se il reddito ricevuto era inferiore al limite richiesto per la riduzione dell’ importo della NASpI.
Avverso la sentenza, NOME COGNOME ricorre per due motivi, illustrati da memoria.
L’Inps resiste con controricorso.
All’o dierna adunanza camerale, il collegio riservava il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, NOME COGNOME deduce violazione degli artt.342 e 434 c.p.c. per avere la Corte d’appello negato la genericità dell’atto d’appello, nonostante esso non formulasse alcuna specifica censura alla decisione di primo grado.
Con il secondo motivo di ricordo, NOME COGNOME deduce violazione degli artt.10 e 11 d.lgs. 4 marzo 2015. La Corte d’appello non avrebbe dovuto affermare l’obbligo di comunicazione, in quanto egli non era iscritto alla Gestione commercianti presso l’Inps, e nemmeno presso la Gestione separata; né aveva mai svolto attività
lavorativa nella società di famiglia, che aveva ad oggetto la gestione di immobili.
Il primo motivo è infondato.
Emerge dall’atto d’appello come riportato nel motivo di ricorso -il quale si mostra autosufficiente -che l’Inps criticò la sentenza per non avere il lavoratore comunicato il reddito percepito; secondo l’I stituto , l’assicurato era tenuto alla comunicazione in qualità di socio accomandatario di società in accomandita semplice.
In questi termini, l’atto d’appello si mostrava sufficientemente specifico, indicando gli argomenti giuridici contrastanti con le ragioni addotte dalla sentenza di primo grado.
Il secondo motivo è fondato.
Risulta dalla sentenza che l’odierno ricorrente era socio accomandatario di società in accomandita semplice, non iscritto alla Gestioni commercianti presso l’Inps e nemmeno alla Gestione separata.
Data questa situazione fattuale, la Corte d’appello ha ritenuto l’obbligo di comunicazione all’Inps, il quale, a mente dell’art.10, co.1 d.lgs. n.22/15 , sussiste ove sia intrapresa ‘un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale’.
Nell’esegesi di tale norma, questa Corte (Cass.22921/24) ha chiarito che l’obbligo di comunicazione presuppone lo svolgimento di un’attività lavorativa, mentre non rileva la tipologia di reddito prodotto fissata dalla legislazione tributaria (d.P.R. n.917/86).
Nel caso di società di persone, occorre perciò che il socio presti la propria attività lavorativa per la realizzazione dell’oggetto sociale.
Ora, la sentenza impugnata ha violato l’art.10, co.1 d.lgs. n.22/55 nel momento in cui ha affermato l’obbligo di comunicazione senza compiere alcun accertamento che il ricorrente, quale socio accomandatario di RAGIONE_SOCIALE abbia effettivamente svolto attività lavorativa in seno alla società.
La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione per i conseguenti accertamenti, nonché per le spese di lite del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese di lite del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, all’adunanza camerale del 31.10.24