LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Obbligo comunicazione NASpI: quando è necessario?

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo comunicazione NASpI per redditi da lavoro autonomo sussiste solo se il beneficiario svolge effettivamente un’attività lavorativa. Non è sufficiente essere socio accomandatario di una società se non si presta lavoro attivo. La Corte ha cassato la decisione d’appello che aveva dichiarato la decadenza dal beneficio senza accertare questo presupposto fondamentale.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Obbligo comunicazione NASpI: serve lavoro effettivo, non basta essere soci

L’obbligo comunicazione NASpI rappresenta un adempimento cruciale per chi percepisce l’indennità di disoccupazione e, contemporaneamente, ottiene redditi da altre fonti. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale: questo obbligo non scatta automaticamente per il solo fatto di essere socio di una società, ma è strettamente legato allo svolgimento effettivo di un’attività lavorativa. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Caso: Socio Accomandatario e Decadenza dalla NASpI

La vicenda riguarda un lavoratore, beneficiario dell’indennità NASpI, che era anche socio accomandatario di una società in accomandita semplice. Per questa sua qualità, percepiva un reddito che, tuttavia, non comunicava all’INPS. L’Istituto previdenziale, venuto a conoscenza di ciò, dichiarava il lavoratore decaduto dal diritto alla prestazione.

La Corte d’Appello, in riforma della decisione di primo grado, dava ragione all’INPS. Secondo i giudici di merito, l’obbligo di comunicazione sussisteva a prescindere dall’ammontare del reddito percepito (anche se inferiore alla soglia prevista per la riduzione della NASpI) e dalla mera qualifica di socio.

Il ricorso in Cassazione e l’obbligo comunicazione NASpI

Il lavoratore decideva di impugnare la sentenza d’appello davanti alla Corte di Cassazione, sollevando due questioni principali. La prima, di natura processuale, riguardava la presunta genericità dell’atto di appello dell’INPS. La seconda, di natura sostanziale, verteva sulla violazione delle norme che regolano la NASpI (in particolare gli artt. 10 e 11 del D.Lgs. 4 marzo 2015).

Il ricorrente sosteneva che l’obbligo di comunicazione non potesse applicarsi al suo caso, poiché non era iscritto né alla Gestione commercianti né alla Gestione separata dell’INPS e, soprattutto, non aveva mai svolto alcuna attività lavorativa concreta all’interno della società, che si occupava di gestione immobiliare.

La Decisione della Cassazione: l’obbligo comunicazione NASpI richiede lavoro effettivo

La Corte di Cassazione ha accolto il secondo motivo di ricorso, ribaltando la prospettiva e stabilendo un principio di diritto di grande rilevanza pratica.

Il Principio di Diritto: Attività Lavorativa vs. Mera Qualità di Socio

I giudici supremi hanno chiarito che l’articolo 10 del D.Lgs. n. 22/2015 subordina l’obbligo di comunicazione all’INPS all’effettivo intraprendere di “un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale”.

Di conseguenza, la semplice titolarità della qualifica di socio (in questo caso, accomandatario) e la percezione di un reddito non sono, di per sé, sufficienti a far scattare l’obbligo. Ciò che conta è l’accertamento in fatto dello svolgimento di una prestazione lavorativa per la realizzazione dell’oggetto sociale. Non rileva la qualificazione fiscale del reddito, ma la natura concreta dell’attività svolta.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto che la sentenza d’appello avesse commesso un errore di diritto, affermando l’esistenza dell’obbligo di comunicazione senza compiere alcun accertamento sul fatto che il ricorrente avesse effettivamente prestato attività lavorativa all’interno della società. Il giudice di merito si era fermato alla mera qualifica formale, senza indagare la sostanza del rapporto. L’obbligo, secondo la Cassazione, non è legato a uno status (essere socio), ma a un’azione (svolgere lavoro). Per questo motivo, la sentenza è stata cassata con rinvio alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questo principio e verificando, nel concreto, se il lavoratore abbia o meno svolto attività lavorativa per la società.

Le conclusioni

Questa ordinanza segna un punto fermo per tutti i percettori di NASpI che detengono partecipazioni in società di persone. L’obbligo comunicazione NASpI non è automatico, ma presuppone un coinvolgimento lavorativo attivo e concreto. La decisione protegge i beneficiari da decadenze ingiuste, basate su presunzioni e non su fatti accertati, e impone ai giudici di merito un’analisi più approfondita della situazione reale del lavoratore, andando oltre le apparenze formali.

Un socio accomandatario che percepisce un reddito dalla società deve sempre comunicarlo all’INPS se riceve la NASpI?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di comunicazione scatta solo se il socio presta effettivamente la propria attività lavorativa per la realizzazione dell’oggetto sociale. La mera qualità di socio e la percezione di un reddito non sono, da sole, sufficienti.

Cosa si intende per ‘effettiva attività lavorativa’ ai fini dell’obbligo di comunicazione per la NASpI?
Si intende lo svolgimento concreto di una prestazione lavorativa, sia essa autonoma o di impresa individuale, all’interno della società. Il giudice deve accertare questo presupposto fattuale, non potendosi limitare a considerare la sola qualifica formale del socio.

Qual è la conseguenza se il giudice d’appello non accerta se il beneficiario della NASpI ha svolto un’attività lavorativa?
La sentenza viola la legge (in particolare l’art. 10 del D.Lgs. n. 22/2015). Come avvenuto nel caso di specie, la Corte di Cassazione può cassare la sentenza e rinviare la causa allo stesso giudice d’appello, in diversa composizione, affinché compia l’accertamento mancante e decida nuovamente sulla base dei principi corretti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati