Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14265 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14265 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 30008-2022 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2295/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/06/2022 R.G.N. 3623/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 20/03/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello di NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede di rigetto della domanda diretta alla condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma lorda di € 104.831,48 a titolo di retribuzioni non percepite nel periodo 1.1.2011 -30.6.2014, ossia dalla data di costituzione in mora della datrice di lavoro alla data di formale riassunzione, in ragione del mancato adempimento all’obbligo di ripristino del rapporto di lavoro a seguito della declaratoria di illegittimità del trasferimento del ramo di azienda al quale era addetto, avvenuta con sentenza del Tribunale di Roma n. 4793/2007, confermata con sentenza n. 9146/2010 della Corte d’Appello di Roma e divenuta definitiva a seguito di sentenza di questa Corte n. 10420/2014;
la Corte di merito, in particolare, ha fondato la propria decisone sul rilievo della formazione di un giudicato (esterno, relativo ad una serie di sentenze, emesse in giudizi di opposizione a decreti ingiuntivi per periodi lavorativi successivi alla citata sentenza del Tribunale di Roma n. 4793/2007) sulla qualificazione giuridica (risarcitoria) della pretesa creditoria del lavoratore, originata dal medesimo rapporto giuridico e riguardante periodi anteriori a quello oggetto dell’odierno giudizio, alla stregua di sua premessa logica, risolta in via definitiva;
per la cassazione della predetta sentenza il lavoratore propone ricorso con due motivi, illustrati da memoria; resiste con controricorso la società; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.: sostiene che la Corte di
merito ha errato nel ritenere che tra le medesime parti fosse già intervenuta una sentenza che, rispetto alla medesima cessione di ramo d’azienda, avrebbe statuito in via definitiva la natura risarcitoria dell’obbligazione facente capo alla società cedente in conseguenza della mancata riammissione in servizio, pur riferendosi a periodi temporali diversi rispetto a quello di cui al presente giudizio;
con il secondo motivo deduce, in via subordinata, violazione e falsa applicazione degli artt. artt. 1206 e 1217 c.c.): sostiene che, qualora fosse ritenuta corretta la decisione impugnata, si finirebbe per applicare un principio di diritto non più ‘vivente’ nella giurisprudenza di legittimità e incompatibile con il principio costituzionale dell’effettività della giurisdizione, che ha orientato la Suprema Corte nel revirement giurisprudenziale, prima e dopo l’intervento della Corte costituzionale, con la sentenza interpretativa n. 29/2019;
il primo motivo di ricorso è fondato (con assorbimento del secondo) alla stregua della oramai consolidata giurisprudenza di legittimità dalla quale il Collegio non ravvisa ragione per discostarsi nel caso in esame (v., in particolare, le recenti Cass. n. 6668/2023, n. 30091/2023, alle motivazioni delle quali si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.);
con la sentenza n. 2990/2018, le Sezioni unite di questa Corte, traendo spunto da Corte cost. n. 303/2011, al fine di superare gli stretti confini della ritenuta corrispondenza tra la continuità della prestazione e la debenza della relativa obbligazione retributiva, hanno proceduto a una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa, che ha indotto al superamento della regola sinallagmatica della corrispettività, sicché il datore di lavoro, il quale nonostante la sentenza che accerta il vincolo giuridico, non ricostituisce i rapporti di lavoro, senza alcun giustificato motivo, dovrà sopportare il peso economico delle retribuzioni,
pur senza ricevere la prestazione lavorativa corrispettiva, sebbene offerta dal lavoratore;
pertanto, per il periodo successivo alla pronuncia giudiziale che individua l’effettivo titolare del rapporto di lavoro, incluso nell’ipotesi in cui si dichiari l’illegittimità della cessione di un contratto di lavoro in relazione ad un trasferimento di ramo d’azienda, il datore di lavoro è
indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondere, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva;
sancita dall’organo supremo della nomofilachia la natura retributiva -e non più risarcitoria -delle somme pretese dal lavoratore successivamente alla statuizione giudiziale e all’offerta delle energie lavorative, si è altresì consolidato il conseguenziale principio secondo cui, in caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., il pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente a detto accertamento e alla messa a disposizione delle energie lavorative in favore dell’alienante da parte del lavoratore, non produce effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa (cfr., tra le molte, Cass. nn. 17784, 17785, 17786/2019, 21158/2019, nn. 17487, 17491/2020, nn. 22435, 22436, 22516, 22517/2021, n. 25853/2022);
una volta che l’interpretazione della regula iuris è stata enunciata con l’intervento nomofilattico della Corte regolatrice essa ha anche vocazione di stabilità, innegabilmente accentuata (in una corretta prospettiva di supporto al valore delle certezze del diritto) dalle novelle del 2006 (art. 374 c.p.c.) e 2009 (art. 360bis , n.1., c.p.c. -cfr. Cass. SS.UU. n. 15144/2011), essendo da preferire – e
conforme ad un economico funzionamento del sistema giudiziario – l’interpretazione sulla cui base si è, nel tempo, formata una pratica di applicazione stabile (cfr. Cass. SS.UU. n. 10864/2011);
nel caso di specie, il giudicato esterno si è formato sul fatto costitutivo delle pretese creditorie tempo per tempo azionate dal lavoratore, consistente nell’accertamento di illegittimità della cessione di ramo d’azienda del 16 aprile 2003 da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE e nell’ordine alla società di ripristino del rapporto di lavoro; non anche, invece, sulla qualificazione delle suddette pretese, dipendenti dal fatto, variabile e diverso, della protrazione dell’inosservanza datoriale all’ordine di ripristino del rapporto di lavoro, che integra, insieme con gli altri, tutti i presupposti della pretesa azionata nella loro compiutezza (cfr. Cass. n. 30853/2021, con specifico riferimento alla materia contributiva);
escluso il giudicato esterno sulla qualificazione della pretesa, il ricorso deve pertanto essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo, per riesame della vicenda in conformità ai principi sopra espressi, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.