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Obbligazione retributiva e cessione di ramo d’azienda

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14265/2024, ha stabilito che le somme dovute al lavoratore a seguito di una cessione di ramo d’azienda dichiarata illegittima hanno natura di obbligazione retributiva e non risarcitoria. La Corte ha chiarito che una precedente sentenza tra le stesse parti, che qualificava diversamente le somme per periodi anteriori, non costituisce un giudicato esterno sulla qualificazione giuridica della pretesa per periodi successivi. Di conseguenza, il datore di lavoro cedente è tenuto a corrispondere le retribuzioni anche se non ha ricevuto la prestazione lavorativa, purché questa sia stata offerta dal dipendente.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Obbligazione Retributiva: la Cassazione fa chiarezza sulla cessione di ramo d’azienda

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 14265/2024 affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: la natura delle somme spettanti al lavoratore in caso di trasferimento di ramo d’azienda dichiarato illegittimo. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: si tratta di una vera e propria obbligazione retributiva e non di un mero risarcimento del danno, con importanti conseguenze pratiche per lavoratori e aziende. Analizziamo insieme la vicenda e la decisione della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Il Contesto della Cessione di Ramo d’Azienda

La vicenda ha origine dalla domanda di un lavoratore volta a ottenere dalla sua originaria società datrice di lavoro, un’importante azienda di telecomunicazioni, il pagamento di una somma a titolo di retribuzioni non percepite in un arco temporale di circa tre anni e mezzo. Tale pretesa sorgeva a seguito di una sentenza, divenuta definitiva, che aveva dichiarato l’illegittimità del trasferimento del ramo d’azienda cui il lavoratore era stato adibito. Nonostante la declaratoria di illegittimità, la società non aveva provveduto a ripristinare il rapporto di lavoro, costringendo il dipendente ad agire in giudizio per le retribuzioni maturate.

La Decisione della Corte d’Appello: Il Peso del Giudicato Esterno

Sia in primo grado che in appello, la domanda del lavoratore era stata respinta. La Corte d’Appello di Roma, in particolare, aveva fondato la sua decisione sull’esistenza di un “giudicato esterno”. Secondo i giudici di merito, precedenti sentenze emesse tra le stesse parti per periodi lavorativi anteriori avevano già qualificato la pretesa del lavoratore come di natura risarcitoria e non retributiva. Tale qualificazione, secondo la Corte territoriale, era ormai definitiva e non poteva essere messa in discussione nel nuovo giudizio, anche se relativo a un diverso periodo temporale.

Le Motivazioni della Cassazione: Natura dell’obbligazione retributiva

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente la decisione d’appello, accogliendo il ricorso del lavoratore. Gli Ermellini hanno chiarito la distinzione tra il fatto costitutivo della pretesa e la sua qualificazione giuridica, delineando i confini del giudicato esterno.

Il Principio della Natura Retributiva

La Suprema Corte, richiamando un orientamento ormai consolidato a partire da una pronuncia delle Sezioni Unite (n. 2990/2018), ha ribadito con forza un principio cardine: quando un giudice accerta l’illegittimità di una cessione di ramo d’azienda, il rapporto di lavoro giuridicamente non si è mai interrotto con il datore di lavoro originario (cedente). Di conseguenza, se il lavoratore mette a disposizione le proprie energie lavorative, il datore di lavoro è indefettibilmente obbligato a corrispondergli le retribuzioni, anche in caso di mancata riammissione effettiva in servizio. Questa obbligazione ha natura puramente retributiva, derivando direttamente dal contratto di lavoro, e non risarcitoria.

L’Inesistenza del Giudicato sulla Qualificazione Giuridica

Il punto centrale della decisione è la critica alla tesi del giudicato esterno sostenuta dalla Corte d’Appello. La Cassazione ha spiegato che il giudicato si forma sul fatto costitutivo della pretesa (in questo caso, l’illegittimità della cessione e l’ordine di ripristino del rapporto) e non sulla qualificazione giuridica delle somme richieste. La qualificazione come “retribuzione” o “risarcimento” dipende dalla protrazione dell’inadempimento del datore di lavoro nel tempo, un fatto che si rinnova continuamente. Pertanto, la qualificazione data in un precedente giudizio per un determinato periodo non può vincolare il giudice per i periodi successivi, soprattutto alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza che ha consolidato la natura retributiva di tali pretese.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza in commento rafforza la tutela del lavoratore coinvolto in operazioni di trasferimento aziendale illegittime. Le conclusioni che possiamo trarre sono chiare:
1. Natura Retributiva: Le somme dovute dal datore di lavoro cedente che non riammette in servizio il lavoratore dopo una sentenza di illegittimità della cessione sono retribuzioni a tutti gli effetti.
2. Limite del Giudicato: Il giudicato formatosi in un precedente processo non si estende alla qualificazione giuridica della pretesa per periodi temporali successivi. Questo consente di adeguare le decisioni all’evoluzione della giurisprudenza, garantendo una maggiore certezza del diritto.
3. Obbligo del Datore di Lavoro: Il datore di lavoro non può sottrarsi al pagamento dello stipendio semplicemente rifiutando la prestazione offerta dal lavoratore. Il peso economico del rapporto di lavoro, una volta accertata giudizialmente la sua continuità, resta a suo carico.

In caso di cessione illegittima di ramo d’azienda, le somme dovute al lavoratore che offre la propria prestazione sono retribuzione o risarcimento?
Secondo l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione, le somme hanno natura retributiva. Derivano direttamente dal rapporto di lavoro che, giuridicamente, non si è mai interrotto con il datore di lavoro originario (cedente).

Una precedente sentenza che qualifica le somme come risarcitorie per un certo periodo crea un “giudicato” per i periodi successivi?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudicato esterno si forma sul fatto costitutivo della pretesa (l’accertamento dell’illegittimità della cessione), ma non sulla qualificazione giuridica della stessa, che può variare e deve essere adeguata ai principi di diritto consolidati al momento della nuova decisione.

Il datore di lavoro originario (cedente) deve pagare lo stipendio anche se non riceve la prestazione lavorativa?
Sì. Se la cessione è dichiarata illegittima e il lavoratore offre la sua prestazione lavorativa, il datore di lavoro è obbligato a corrispondere le retribuzioni anche se rifiuta di riammettere in servizio il lavoratore e, quindi, non utilizza concretamente la sua prestazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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