Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14810 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14810 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26191/2021 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME (EMAIL);
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– controricorrente –
e
NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-intimati –
avverso la sentenza n. 1378/2021 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI, depositata il 15/04/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
rilevato che
con sentenza resa in data 15/4/2021, la Corte d’appello di Napoli, per quel che rileva in questa sede, ha dichiarato la nullità della notificazione dell’atto di citazione in riassunzione in primo grado eseguita dall’attrice, NOME COGNOME, nei confronti degli eredi della convenuta NOME COGNOME, con il conseguente accertamento della nullità dell’intero giudizio di primo grado e la rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c.;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale -dopo aver escluso la sussistenza dei presupposti per la pronuncia dell’estinzione del giudizio invocata dall’appellata NOME COGNOME (avendo le parti disertato due udienze consecutive nel corso del giudizio d’appello) -ha evidenziato come, a seguito del decesso della convenuta, NOME COGNOME, verificatosi nel corso del giudizio di primo grado, la COGNOME avesse provveduto alla riassunzione del giudizio nei confronti dei relativi eredi (identificati in NOME COGNOME e in NOME COGNOME), notificando il corrispondente atto collettivamente e impersonalmente presso l’indirizzo di INDIRIZZO, in INDIRIZZO Sanframondi, là dove, dal certificato storico di residenza prodotto agli atti del giudizio, risultava che la COGNOME fosse in realtà residente al INDIRIZZO di INDIRIZZO, sì che il successivo fallimento del procedimento notificatorio aveva impedito la regolare partecipazione al processo di primo grado degli eredi della convenuta;
sotto altro profilo, la corte territoriale ha evidenziato come tra gli eredi di NOME COGNOME vi fosse anche NOME COGNOME, la quale non era stata destinataria dell’atto appello, sia pure ai soli fini della litis denuntiatio ;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi di impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
NOME COGNOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, non hanno svolto difese in questa sede;
la ricorrente ha depositato memoria;
considerato che ,
con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 359, 309, 181 e 348 c.p.c., nonché per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio controverso tra le parti, dolendosi, infine, della nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione (o motivazione apparente, perplessa e incomprensibile), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di disporre la cancellazione della causa dal ruolo all’udienza del 13/10/2020, disertata dalle parti, a seguito dell’uguale diserzione delle parti alla precedente udienza del 15/9/2020, come peraltro riconosciuto dallo stesso giudice d’appello, senza contare che la disciplina processuale applicabile ratione temporis avrebbe imposto, nel caso di specie, non solo l’adozione del provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo, bensì la stessa contestuale pronuncia dell’estinzione del giudizio;
il motivo è infondato;
dev’essere preliminarmente rilevata la corretta applicazione, ad opera della corte d’appello, della legge processuale applicabile al caso di specie ratione temporis ;
in particolare, la formulazione del l’art. 181 c.p.c. qui rilevante, destinata a regolare le conseguenze che derivano dalla diserzione delle parti all’udienza fissata per l’istruzione della causa, è quella anteriore alla novella di cui all’art. 50 del d.l. n. 112 /2008 recante il nuovo testo dell’art. 181 c.p.c. che ha introdotto l’immediata estinzione,
unitamente alla cancellazione della causa dal ruolo, a seguito della duplice diserzione delle parti all’udienza fissata dal giudice;
infatti, l’art. 56 del ridetto d.l. n. 112/2008 (recante disposizioni transitorie), così come convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008, dispone che ‘Gli articoli 181 e 429 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto-legge, si applicano ai giudizi instaurati dalla data della sua entrata in vigore’ (e dunque, ai giudizi instaurati dal 25/6/2008);
il giudizio in esame, in quanto instaurato con atto di citazione notificato in data 19/10/2007 (cfr. pag. 2 del ricorso), deve ritenersi pertanto sottratto alla nuova disciplina dell’art . 181 c.p.c., con la conseguenza che, in caso di diserzione delle parti a due udienze consecutive dinanzi al giudice istruttore, quest’ultimo non avrebbe dovuto pronunciare l’immediata estinzione del processo, ma solo limitarsi a disporre la cancellazione della causa dal ruolo, con la possibilità della successiva riassunzione su iniziativa delle parti, pena, in difetto, la successiva estinzione;
nel caso di specie, pertanto, il giudice d’appello avrebbe dovuto disporre la cancellazione della causa dal ruolo in attesa della sua riassunzione: il non averlo fatto ha certamente viziato, in astratto, la successiva decisione resa ai sensi dell’art. 354 c.p.c., poiché il giudice d’appello non avrebbe dovuto rilevare la nullità della decisione di primo grado, ma limitarsi a cancellare la causa d’appello dal ruolo;
tuttavia, il giudice d’appello ha ritenuto che, anche con riguardo all’adozione di una pronuncia in rito vòlta a disporre la cancellazione della causa dal ruolo, dovesse comunque procedersi alla verifica della sussistenza dei corrispondenti presupposti processuali, ossia al controllo dell’integrità del contraddittorio in appello, nella specie mancante, non essendo stato esteso detto contraddittorio nei confronti di una delle coeredi dell’originaria convenuta (NOME COGNOME);
varrà peraltro rimarcare come, anche muovendo da tale presupposto, la successiva decisione di rimettere le parti al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., si sarebbe rilevata errata (e, sul punto, la censura dell’odierna ricorrente sarebbe corretta), poiché, in tal caso, il giudice d’appello avrebbe dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME e di seguito pronunciare la cancellazione della causa dal ruolo (e non già annullare la sentenza di primo grado ex art. 354 c.p.c.);
ciò posto, ritiene in ogni caso il Collegio come la nullità processuale derivante dalla mancata pronuncia della cancellazione della causa (d’appello) dal ruolo (con il conseguente affidamento della sorte del processo alla volontà della parte diligente, ossia alla parte che, attraverso la riassunzione, avesse manifestato l’intenzione di proseguire il processo) non possa comunque essere pronunciata nel caso di specie; e tanto, in applicazione dell’art. 156, co. 3, c.p.c., ai sensi del quale ‘l a nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato ‘;
infatti, la successiva attività processuale svolta dalle parti all’udienza di precisazione delle conclusioni (e, segnatamente, l’attività svolta dalla parte appellante, che manifestò in modo inequivocabile l’intenzione di proseguire il giudizio e di ottenere una decisione nel merito) è certamente valsa a rendere manifesto il raggiungimento dello scopo alla cui realizzazione sarebbe stato destinato il provvedimento (nella specie omesso) di cancellazione della causa dal ruolo, ossia lo scopo di sollecitare le parti ad esprimere, entro i termini di legge, la propria volontà di proseguire il processo;
ciò posto, una volta che le parti (e, segnatamente, la parte appellante) ebbero a manifestare la volontà di proseguire il processo d’appello, la nullità conseguente alla mancata cancellazione della causa
dal ruolo deve ritenersi certamente sanata ai sensi dell’art. 156, co. 3, c.p.c. per raggiungimento dello scopo;
con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 102, 350 e 354 c.p.c., dolendosi altresì della nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione (o motivazione apparente, perplessa e incomprensibile), per avere la corte territoriale erroneamente disposto la regressione del giudizio in primo grado in ragione della mancata notificazione dell’atto di appello nei confronti di NOME COGNOME (coerede di NOME COGNOME), là dove, nel caso di specie, l’omissione di tale notificazione avrebbe unicamente imposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti della litisconsorte pretermessa, senza alcuna rimessione della causa al primo giudice;
il motivo è inammissibile per carenza di interesse;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia rilevato il difetto di integrazione del contraddittorio in appello (in ragione del mancato coinvolgimento di NOME COGNOME), non già allo scopo di giustificare l’applicazione dell’art. 354 c.p.c. (nella specie motivata dalla nullità della notificazione dell’atto di riassunzione del processo di primo grado nei confronti di tutti gli eredi dell’originaria convenuta), quanto al fine di giustificare la ritenuta impossibilità di pronunciare la cancellazione della causa dal ruolo in assenza di tutte le parti interessate;
la circostanza che la corte d’appello, invece di integrare il contraddittorio e poi disporre la cancellazione della causa dal ruolo, abbia viceversa deciso per l’applicazione immediata dell’art. 354 c.p.c. (con la rimessione della causa al giudice di primo grado), mentre si è certamente rivelata un errore di natura processuale, non ha tuttavia determinato la nullità della sentenza impugnata per le ragioni già illustrate a proposito della decisione sul primo motivo di impugnazione,
ossia per l’intervenuta sanatoria della nullità connessa all ‘omessa cancellazione della causa dal ruolo per raggiungimento dello scopo;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 110 e 359 c.p.c., per avere gli eredi di NOME COGNOME trascurato di ottemperare all’invito, agli stessi rivolti dalla corte territoriale (a seguito del subprocedimento cautelare concernente la richiesta sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado), di comprovare la propria qualità di eredi dell’originaria convenuta (affermando di poter eccepire la nullità del giudizio di primo grado senza doversi qualificare eredi della convenuta defunta), con la conseguente erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha omesso di procedere alla dichiarazione di improcedibilità dell’appello;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia espressamente attestato l’avvenuto deposito agli atti del giudizio ‘dell’ attestazione di pagamento delle tasse e imposte di registro a seguito di successione, autocertificazione di decesso, autocertificazione dello stato di famiglia originario e dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, documenti dai quali si evince la qualità di eredi di COGNOME NOME in capo a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME‘;
tra gli atti del giudizio risulta altresì depositata la dichiarazione di successione dell’originaria convenuta con l’indicazione dei relativi eredi corrispondenti agli odierni controricorrenti;
n ell’atto di appello, infine, gli attuali controricorrenti si qualificarono figli dell’originaria convenuta deceduta;
ferme tali premesse (comunque rilevanti sul piano istruttorio), varrà evidenziare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il soggetto che proponga appello – non diversamente da chi proponga ricorso per cassazione – nell’asserita
qualità di erede di colui che ha partecipato al precedente grado del giudizio deve allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore e fornirne, quindi, tramite le opportune produzioni documentali, la necessaria dimostrazione, provando sia il decesso della parte originaria, sia l’asserita qualità di erede. La mancanza di tale prova è circostanza rilevabile d’ufficio, al di là della contestazione della controparte, in quanto attinente alla titolarità del diritto processuale di adire il giudice dell’impugnazione e, come tale, alla regolare instaurazione del contraddittorio. Ai fini del convincimento probatorio, il giudice può utilizzare come argomento di prova, ex art. 116 cod. proc. civ., il comportamento tenuto dalle parti, ed in particolare il fatto che la controparte consideri l ‘ intervenuta successione come verificata e riconosca la qualità di erede, ovvero imposti una linea difensiva incompatibile con la mancanza di quella qualità (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 13685 del 13/06/2006, Rv. 589526 -01 e successive conformi);
nel caso di specie, l’odierna ricorrente non ha assolto all’onere , alla stessa imposto dall’art. 366 n. 6 c.p.c., di allegare la documentazione processuale idonea ad attestare l’effettiva avvenuta esplicita contestazione del possesso, in capo alle controparti, della qualità di eredi dell’originaria convenuta; e ciò, a fronte dell’avvenuta proposizione dell’appello da parte di quelle stesse parti qualificatesi figli dell’originaria convenuta deceduta;
deve quindi ritenersi che la corte d’appello, nel decidere la causa senza sollevare alcuna questione sul punto, abbia ritenuto adeguatamente comprovato, secondo il comportamento tenuto dalle parti ai sensi dell’ art. 116 c.p.c., la circostanza dell’intervenuta successione dell’originaria convenuta attraverso il riconoscimento della qualità di eredi in capo agli odierni controricorrenti;
con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 138, 139, 140 e 303 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare l’avvenuta dimostrazione, da parte dell’odierna istante, del compimento della notificazione dell’atto di riassunzione del processo di primo grado presso l’effettiva casa di abitazione di NOME COGNOME (così come previsto dall’art. 138 c.p.c.), in conformità a quanto comprovato dalla circostanza che l’originario atto di citazione fosse stato ricevuto dalla convenuta personalmente presso lo stesso indirizzo di INDIRIZZO in corrispondenza del quale venne realizzata la notificazione del successivo atto di riassunzione;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione della censura in esame, l’odierna ricorrente intenda discutere la valutazione della prova relativa all’avvenuta notificazione dell’originario atto di riassunzione presso l ‘effettiva casa di abitazione della convenuta (nella specie ritenuta corrispondente al INDIRIZZO di INDIRIZZO);
e tuttavia, la circostanza che il INDIRIZZO di INDIRIZZO corrispondesse all ‘effettiva casa di abitazione di NOME COGNOME è un’affermazione che andava positivamente comprovata, essendo stata dedotta in palese contrasto con le risultanze della certificazione comunale;
ciò posto, la corte territoriale ha ritenuto che la circostanza dell’avvenuta notificazione dell’originario atto di citazione a mani della convenuta non valesse di per sé a comprovare che il INDIRIZZO di INDIRIZZO corrispondesse alla casa di abitazione di quest’ultima: si tratta di una valutazione della prova la cui contestazione in questa sede deve ritenersi infondata, poiché la sola circostanza dell’avere la convenuta ricevuto l’atto di citazione in INDIRIZZO deve ritenersi di per sé ancora insufficiente (in assenza di elementi ulteriori idonei a fornirne
riscontro) a giustificare l’avvenuta dimostrazione che quell’indirizzo coincidesse effettivamente con la casa di abitazione della convenuta;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
la complessità delle questioni giuridiche trattate vale a giustificare, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione