Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15974 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15974 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 26057/2018 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO n. 972/2018, pubblicata il 27 giugno 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME ha impugnato davanti al Tribunale di Catanzaro il provvedimento di revoca dal suo incarico di dirigente generale del dipartimento Ambiente disposto dalla nuova Giunta della RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale di Catanzaro, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1124/2016, ha accolto il ricorso, condannando la RAGIONE_SOCIALEA. a risarcire il danno inflitto.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello che la Corte d’appello di Catanzaro, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 972/2018, ha accolto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso e ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente si rileva l’ammissibilità del ricorso, atteso che il ricorrente, contestando la parte della motivazione di appello concernente la mancata indicazione delle precedenti esperienze professionali, ha voluto evidenziare la non decisività della nullità del primo incarico del 2010.
Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa.
Egli sostiene che la corte territoriale avrebbe rilevato d’ufficio la nullità dell’incarico a lui conferito per assenza di motivazione con riferimento al richiamo agli incarichi ricevuti negli enti locali, ravvisando una violazione dell’obbligo di esplicita motivazione contemplato dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, senza, però, provocare il contraddittorio sul punto.
La doglianza è infondata.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha chiaramente contestato in appello la nullità del contratto, reiterando quanto esposto in primo grado, perché, come osservato dalla corte territoriale in sentenza, il primo incarico attribuito al ricorrente era nullo ed era stato il presupposto del secondo, il quale gli era stato affidato in ragione dell’esperienza maturata sulla base d i quello precedente.
Inoltre, il Tribunale di Catanzaro, riferisce sempre la sentenza impugnata, aveva rigettato la relativa eccezione in primo grado anche perché la nullità del precedente incarico del 2010 non poteva riflettersi sul secondo, del 2013, che era oggetto del contendere, atteso che non ne era il presupposto.
La PRAGIONE_SOCIALEA. controricorrente ha evidenziato, poi, a pagina 4 del suo appello, che il contratto del 2013 era stato concluso solo in ragione dell’esistenza del primo incarico del 2010, in quanto non erano stati indicati gli altri incarichi ritenuti rilevanti.
Pertanto, la Corte d’appello di Catanzaro ha fondato la sua decisione su uno dei motivi di appello siccome, per ritenere rilevante l’invalidità del contratto del 2010, non poteva non accertare che nella motivazione dell’atto di conferimento non vi era traccia di altre attività significative.
Ne deriva che nessuna lesione del contraddittorio vi è stata.
Con il secondo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 in quanto l’onere motivazionale richiesto dalla norma sarebbe stato specificamente finalizzato ad accertare la sussistenza o meno di risorse interne alle quali attribuire l’incarico.
Inoltre, non sarebbe stata necessaria la specificazione degli incarichi ricevuti negli enti locali che, peraltro, sarebbe stata presente in una nota richiamata nel parere reso dal Presidente della Giunta regionale del 17 giugno 2013.
Infine, la corte territoriale non avrebbe dato il giusto peso alla sua attività di docenza.
La doglianza è infondata in quanto, come risulta dalla sentenza, l’accoglimento dell’appello è stato ricollegato alla mancata o generica indicazione dei presupposti legali di conferimento dell’incarico individuati dall’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001.
Quest’ultima disposizione stabilisce, nel testo vigente fino al 30 ottobre 2013 (il contratto relativo al secondo incarico del ricorrente è stato concluso il 19 giugno 2013) e per la parte che qui rileva, che:
‘ Gli incarichi di cui ai commi da 1 a 5 possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all ‘ articolo 23 e dell ‘ 8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo determinato ai soggetti indicati dal presente comma. La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni. Tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell ‘ Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l ‘ accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato (…)’.
Dal testo normativo appena riportato si evince che l’assenza, la non indicazione o la generica menzione dei presupposti legali de quibus (ivi indicati) non possono non incidere sul successivo contratto, che non avrebbe mai potuto essere concluso senza la previa verifica della loro esistenza.
Da questo punto di vista, erra il ricorrente quando sostiene che la RAGIONE_SOCIALE, al momento del conferimento dell’incarico, avrebbe dovuto piuttosto concentrarsi sul controllo della presenza di risorse interne alle quali attribuirlo, atteso che la
procedura in esame mira anche ad accertare che il soggetto da designare abbia i requisiti ex lege necessari.
Nella specie, la corte territoriale ha accertato che uno dei titoli vantati dal ricorrente era illegittimo perché maturato in corrispondenza dell’esecuzione di un contratto di lavoro nullo, con conseguente sua inutilizzabilità ai fini dell’instaurazione di un nuovo rapporto con la stessa P.A.
Questa affermazione non è stata adeguatamente contestata dal ricorrente.
Allo stesso modo, la corte territoriale ha affermato, con riguardo agli altri titoli che avrebbero dovuto condurre all’assunzione del ricorrente (secondo quest’ultimo), che il richiamo agli incarichi ricevuti negli enti locali sarebbe stato apodittico.
Il ricorrente, al riguardo, non ha indicato quali sarebbero stati questi titoli così rilevanti, ma ha fatto un generico richiamo al suo curriculum il quale, a sua volta, sarebbe stato menzionato per relationem nel parere reso dal Presidente della Giunta regionale.
Deve essere confermata, quindi, la valutazione di insussistenza in capo al ricorrente dei requisiti professionali di cui all’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001 effettuata dalla corte territoriale.
È questa circostanza, e non la semplice mancanza della motivazione esplicita e analitica, prevista pure dall’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001 con una previsione di carattere procedimentale, a rendere nullo il contratto di lavoro oggetto di causa.
Infatti, esso è stato concluso in violazione della diversa e ulteriore disposizione imperativa di natura sostanziale riguardante l’assunzione e i requisiti obbligatori che i beneficiari dell’incarico devono possedere contenuta sempre ne ll’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001, che, in parte qua , tutela interessi pubblici alla cui realizzazione deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa.
Trova allora applicazione l’orientamento per il quale, i n relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta nullità virtuale), ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di
norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità (Cass., SU, n. 26724 del 19 dicembre 2007). In particolare, in tema di c.d. nullità virtuale, la violazione di disposizioni inderogabili concernenti la validità del contratto può determinarne la nullità solo qualora non sia altrimenti stabilito dalla legge. Pertanto, questo esito va escluso sia quando risulti indicata una differente forma di invalidità (ad esempio, l’annullabilità) sia quando la legge assicuri l’effettività della norma imperativa con la previsione di rimedi diversi (Cass., Sez. 3, n. 525 del 15 gennaio 2020).
Nella specie, premessa la natura di disposizione inderogabile dell’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001, ove indica i presupposti di competenza minimi che il destinatario dell’incarico de quo deve doverosamente rispettare, l’esistenza in capo al soggetto che è parte del contratto con la PRAGIONE_SOCIALE. dei requisiti ivi previsti incide sulla validità del contratto stesso, il quale non può essere altrimenti stipulato, non avendo l’Amministrazione il potere di concluderlo , in quanto tale incarico deve essere obbligatoriamente assegnato ‘
.
La sanzione della nullità è, in questo caso, l’unico rimedio che possa garantire l’effettività della disposizione violata.
Il ricorso è rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘L’incarico attribuito ex art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo vigente sino al 30 ottobre 2013, a soggetto privo dei requisiti indicati da
quest’ultima disposizione e il contratto individuale che a tale incarico accede sono nulli, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c., per violazione di una disposizione imperativa ‘ .
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Si attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi € 4.000,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 4 aprile