Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3638 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 3638 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25330-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME, domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrenti –
Oggetto
R.G.N. 25330/2023
COGNOME
Rep.
Ud.13/11/2024
CC
avverso la sentenza n. 762/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 05/06/2023 R.G.N. 674/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME RILEVATO CHE
La Corte di Appello di MILANO con sentenza n. 1023/13, in riforma delle impugnate pronunce n. 5259/2011, n. 5313/11 e 667/12, rese dal locale giudice del lavoro, dichiarava la nullità del termine finale apposto ai contratti di lavoro subordinati a tempo determinato, stipulati tra gli appellanti COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE, accertando per l’effetto la costituzione tra dette parti di altrettanti rapporti di lavoro a tempo indeterminato, con decorrenza, rispettivamente, dal 18 luglio 2000 (per Verdesca), dal 5 luglio 2000 (per Smigliani) e dall’otto gennaio 2001 (per il Ferrario)
Contro tale sentenza proponevano ricorso per Cassazione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE deducendo, con otto motivi di ricorso 1) la violazione o falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., dell’art. 1418 c.c., dell’art. 1419 c.c ., dell’art. 2112 c.c. e dell’art. 2697 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, cpc), l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5, cpc).2) la violazione delle norme sulla competenza ; violazione o falsa applicazione dell’art. 413, terzo comma, c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 2 e n. 3, c.p.c.).3) la ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, lettera f), L. 230/1962, nel testo modificato dalla L. 23.5.1977, n. 266, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.);4) la violazione o falsa applicazione dell’art. 1230 c.c., dell’art. 1231 c.c., dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.);, 5) la violazione o falsa
applicazione dell’art. 937 cod. nav. (art. 360, comma 1, n. 3, cpc)’, 6) la violazione o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)’7) la violazione o falsa applicazione dell’art. 32, comma 4 e comma 5 della legge n. 183/2010; violazione o falsa applicazione dell’art. 6 del C.C.A.L. del personale di cabina della società Air One; (art. 360, comma 1, n. 3, cpc), 8) la Violazione o falsa applicazione dell’art. 32, comma 5, L. 183/2010; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 29 comma 3 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.).
3. La corte di Cassazione, con ordinanza n. 6391/2019, per quanto qui rileva, rigettati il primo e il secondo motivo e assorbiti gli altri accoglieva il terzo motivo di ricorso, ritenendo che la corte di appello di Milano avesse errato affermando la nullità del termine finale dei primi contratti a termine (con conseguente invalidità derivata dei successivi contratti a termine), non applicando correttamente la normativa in materia, previgente all’entrata in vigore del d. lgs. n. 368/2001. La corte, in particolare osservava che il collegio di merito, interpretando l’art. 1 della L. n. 230/1960, aveva preteso ‘un requisito di specificità nel testo dei contratti in esame, stipulati a tempo determinato in epoca anteriore al 24 ottobre 2001, requisito che però la norma non prevede affatto, limitandosi essa, al terzo comma, a richiedere la forma scritta, a pena d’inefficacia del termine, soltanto per l’indicazione dello stesso, né rilevando ovviamente il profilo probatorio della questione in sede contenziosa, per cui nell’ambito della previsione acausale di cui alla previsione ex lett. f), una volta soddisfatto l’anzidetto minimo requisito di forma scritta occorrente ai sensi del 3° comma, tutte le altre condizioni e circostanze ben possono essere rilevate ed accertate nel contraddittorio tra le parti in via giudiziale’.
Nel successivo giudizio di rinvio la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 762/2022, in riforma delle sentenze nn. 5259/11, 5313/11 e 667/12 del TRIBUNALE DI MILANO, dichiarava la nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato stipulati fra gli appellanti ed RAGIONE_SOCIALE ed accertava la costituzione fra le suddette parti di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ad ogni effetto di legge e di contratto compresa la maturazione degli scatti di anzianità, con le seguenti decorrenze quanto a COGNOME NOMECOGNOME dal 18.7.2000, quanto a COGNOME NOME COGNOME dal 5.7.2000, quanto a COGNOME NOMECOGNOME dall’8.1.2001, pronunciando tutte le statuizioni conseguenti quanto alla ricostruzione di carriera, ai passaggi di qualifica, all’anzianità di servizio presso le società cedente e cessionaria, in relazione ai rispettivi periodi, nonché all’indennità di cui all’art. 32 L. 183/2010.
Per la cassazione della predetta sentenza propongono ricorso RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con sei motivi, cui resistono con controricorso i lavoratori; questi ultimi hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., i ricorrenti, RAGIONE_SOCIALE e Compagnia Aerea Italiana RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE lamentano violazione e falsa applicazione della Legge n. 230/1962, dell’art. 2 del d.lgs. 368/2001, dell ‘art. 2697 c.c., nonché degli artt. 115,116, 420,421 e 437 c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione.
Avrebbe errato la Corte di appello omettendo di considerare che la prova del rispetto della clausola di contingentamento doveva
ritenersi pacifica in considerazione della mancata contestazione, da parte degli originari ricorrenti, della documentazione tempestivamente prodotta dalle società nonché dell’esito dell’istruttoria espletata.
Precisavano le ricorrenti che, a fronte di una allegazione meramente assertiva e generica da parte dei lavoratori nel giudizio di primo grado in ordine alla circostanza che la datrice di lavoro ‘occupava alle proprie dipendenze personale a tempo determinato oltre i limiti quantitativi individuati dalle norme di legge e di contratto’, non sarebbe sorto in capo al datore di lavoro alcun onere probatorio. Ciononostante, le ricorrenti avevano fornito in giudizio il dato degli assunti a tempo indeterminato nel periodo in contestazione e il numero dei contratti e dei lavoratori assunti a termine per il periodo di causa, dati non contestati dai lavoratori.
Aggiungevano poi le ricorrenti che, anche ove il rispetto della clausola in esame fosse ritenuto non provato, il superamento dei limiti quantitativi in discorso non avrebbe potuto produrre la conseguenza della illegittimità dei contratti poiché non contemplata né dal CCNL, né dalla legge.
Si dolevano, ancora, le ricorrenti del fatto che, nonostante la prova fornita di natura documentale, la Corte di appello, che aveva dato ingresso alla prova testimoniale richiesta dalle parti, da cui era emerso che il rispetto delle percentuali fosse continuamente monitorato in azienda, avesse proceduto ad un esame isolato dei singoli elementi probatori omettendo di considerarli nel loro complesso, senza peraltro avvalersi dei propri poteri officiosi.
Con il secondo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. 368/2001, dell’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 115 e 116, 420,421,
437c.p.c., lamentando che la Corte d’Appello avrebbe omesso l’esame critico dell’intero corredo probatorio e allegatorio, segnatamente non svolgendo la giusta analisi dell’intero corredo probatorio necessario ai fini della valutazione del rispetto della clausola di contingentamento e attribuendo rilevanza alla deposizione del teste COGNOME che aveva reso dichiarazioni generiche non idonee a sostenere le conclusioni cui era pervenuta la Corte. A loro avviso, l’errata valutazione delle prove ha impedito alla Corte di appurare le reali ragioni giustificative del termine.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., le ricorrenti contestano violazione o falsa applicazione dell’art. 1230 c.c., dell’art. 1231 c.c., dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in cui s arebbe incorsa la Corte d’Appello interpretando erroneamente la questione relativa alla novazione del rapporto di lavoro, perché la Corte d’Appello, pur avendo riconosciuto un aliquid novi nella stabilizzazione dei rapporti de quibus, quando operavano gli ultimi contratti a termine, erroneamente aveva poi escluso che si fosse verificata una novazione non sussistendo, nel caso di specie, un animus novandi ed una causa novandi rispetto alla nuova fonte contrattuale
Il quarto motivo (seppure indicato nuovamente come terzo, cfr. pag. 52 del ricorso), anch’esso fondato sull’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., verte sulla presunta violazione o falsa applicazione dell’art. 937 del Codice della Navigazione in cui sarebbe incor sa la Corte disattendendo la sollevata eccezione di prescrizione biennale, essendo stata ritenuta l’imprescrittibilità delle mere azioni di accertamento esperite dagli attori, ignorando così le specialità del rapporto ;
. Con il quinto motivo (seppure indicato erroneamente come quarto, cfr. pag. 53 del ricorso), in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c., le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., perché la Corte territoriale, applicando non correttamente detto disposto normativo, aveva condannato erroneamente la società RAGIONE_SOCIALE (ora solo RAGIONE_SOCIALE), al riconoscimento della pregressa anzianità di servizio, relativa ai contratti a termine che si erano risolti anteriormente alla dedotta cessione di ramo di azienda di novembre 2009;
11. Con il sesto motivo di ricorso (seppure indicato erroneamente come quinto, cfr. pag. 56 del ricorso), la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 32, commi 4 e 5, legge n. 183 del 2010, nonché dell’art. 6 del C.C.A.L.. per il personale di cabina di RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.; in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nell’escludere una relazione tra le progressioni economiche automatiche, derivanti dagli scatti di anzianità e dai passaggi di qualifica, e l’indennità prevista dal comma 5 dell’art. 32 L. 183/2010, ritenendo che quest’ultima abbia funzione riparatorio-risarcitoria e riguardi esclusivamente il periodo intercorso tra la scadenza del termine e la sentenza di conversione del contratto.
Ed infatti, osservano i ricorrenti l’indennità per la sua natura “omnicomprensiva” non poteva essere cumulata con altri tipi di compensazioni o risarcimento. La norma sostituisce le regole generali in materia di risarcimento (artt. 1218 e ss. c.c.), prevedendo un ristoro economico che prescinde dalla dimostrazione del danno effettivo, come chiarito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 303/2011) e dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 1411/2012), non può essere gravata da interessi legali o rivalutazione monetaria, poiché non ha natura retributiva o risarcitoria, bensì sanzionatoria.
12. Il ricorso è infondato
12.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Secondo la ricorrente la corte avrebbe errato nell’escludere il rispetto della clausola di contingentamento, poiché il relativo profilo non era stato oggetto di allegazioni sufficienti in primo grado, e comunque era stato oggetto di prova mediante la produzione di documenti, confermati dai testi escussi che ne avrebbero riconosciuto autenticità e provenienza aziendale, evidenziando pure che la questione relativa al rispetto delle percentuali in Azienda era costantemente monitorata, con cadenza addirittura mensile, sia a livello centrale che negli scali aeroportuali.
Tuttavia, come ha chiarito dalla Corte di appello, i lavoratori originari ricorrenti formularono, sia pure concisamente, la doglianza con la quale contestavano l’operato dell’azienda che, in un regime nel quale l’assunzione a tempo indeterminato era la regola, aveva assunto dipendenti a tempo determinato senza rispettare la clausola di contingentamento. Tale allegazione è stata ritenuta sufficiente dalla Corte di appello anche alla luce del dato, assolutamente pacifico, in ragione del quale è il datore di lavoro che può fornire la prova della sussistenza di quelle condizioni che legittimavano il ricorso alla ‘eccezione alla regola dell’assunzione di personale’ a tempo indeterminato (pag. 11 sentenza impugnata), poiché solo il datore di lavoro (e non certo i singoli lavoratori) può avere contezza dell’organico utilizzato nell’impresa. Correttamente, sottolinea la sentenza impugnata, i lavoratori sollecitarono la produzione di documenti che comparassero per i periodi di riferimento rilevanti, l’intero organico aziendale con quello dei lavoratori a tempo determinato, dato tendenzialmente sconosciuto agli stessi se non in base a notizie che trapelavano per via sindacale (pag. 12 sentenza impugnata).
Pertanto, a fronte della corretta allegazione e contestazione da parte dei lavoratori e della produzione dei documenti da parte delle società (peraltro non riportati in questa sede, né correttamente localizzati, con conseguenti profili di inammissibilità del motivo), la Corte di appello ha esaminato i contenuti dei documenti e ne ha posto in evidenza i numerosi aspetti che li rendevano inidonei alla prova dell’adempimento della clausola in discorso. La Corte ha infatti evidenziato che i prospetti unilaterali di fonte aziendale fossero stati introdotti con ‘non esaustiva allegazione’ che fossero indeterminati quanto a collocazione temporale dei fenomeni ivi rappresentati, sommari e poco analitici chiarendo pure che ‘il doc. 6 bis è composto da appena due righe racchiuse in un prospetto incompleto e apparentemente riferito solo al ‘comparto cabina’ mentre i tre prestatori facevano parte degli assistenti di volo; per parte sua, l’altro allegato 6 ter enumera una serie di nominativi di prestatori assunti a termine non rapportata però a dati comparativi idonei al fine di potervi estrarre dati appaganti circa le percentuali di assunzione massima man mano vigenti ossia del 15% ex artt. 1 comma 2 lett. f) L. n. 230/1962 e 2 del D.Lgs. n. 368/2001 nonché del 35% previsto dalla contrattazione collettiva autorizzata in base all’art. 10 c. 7 della stessa fonte del 2001′.
Peraltro, con riguardo al doc. 6 bis, la corte osserva che il l’informativa dal prospetto fornito non risulta ‘né completa né appagante’, poiché non è possibile sapere ‘a quale o a quali anni’ si riferisca la percentuale, tanto che anche le prove testimoniali riferite a tali prospetti non offrono credibili spunti rispetto alla tesi aziendale.
L’esame del ragionamento seguito dalla corte di appello, rivela come lo stesso sia rispettoso delle norme in materia di ripartizione e valutazione della prova; anche con riguardo alla
prova testimoniale, cui la corte ha ritenuto di dare ingresso poiché sollecitata in primo grado da entrambe le parti, il collegio ne ha evidenziato l’inidoneità a suffragare la tesi aziendale del rispetto della clausola (il teste COGNOME riferiva infatti del rispetto della clausola di contingentamento, sia pure facendo riferimento a tabulati ‘non riscontrabili’ tenuto conto della ‘scarna produzione effettuata dalla Società, cfr. pag. 13 sent impugnata, mentre il teste COGNOME riferiva, del pari genericamente, d i ‘essersi sempre reso conto che la percentuale delle persone cooptate a tempo determinato era stata costantemente al di sopra del consentito -toccandosi punte persino del 50%- per quel che si poteva desumere dai verbali di accordo siglati tra le parti nel corso degli anni e anche dal fatto di avere firmato accordi da cui si poteva desumere il dato, senza trascurare che la contrazione delle assunzioni a termine era intervenuta non prima di marzo del 2009’).
La valutazione della prova operata dalla Corte di merito appare correttamente svolta e, del resto questa corte ha più volte affermato come in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, (Cass. n. 23940 del 2017)
La Corte d’Appello ha applicato correttamente la normativa ratione temporis, accertando la nullità dei contratti a termine in conformità alle disposizioni della L. 230/1962 e del D.Lgs. 368/2001 con argomenti che non sono in questa sede contestabili salvo a richiedere inammissibilmente alla corte di legittimità una diversa valutazione dei fatti o delle prove (Cass. n. 22208/2021). Né, e appare appena il caso di sottolinearlo, può essere revocata in dubbio la nullità dell’apposizione del termine, e non dell ‘intero contratto, in un regime, come quello
di cui alla legge 230/1962, in cui l’art. 1 recitava ‘il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato’, salvo le specifiche eccezioni.
12.2. Il secondo motivo, con cui la ricorrente ripropone il tema della valutazione del quadro probatorio come omessa valutazione di un fatto decisivo (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.), è inammissibile. Ed infatti questa corte ha da tempo chiarito come l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso (cfr, ex multis Cass n 18857 2014.
Nel caso di specie le ricorrenti si dolgono non dell’omesso esame di un fatto storico decisivo, ma dell’ omesso l’esame ‘critico’ dell’intero corredo probatorio e allegatorio Il motivo in esame, dunque risulta irrispettoso di tali enunciati, traducendosi nella sostanza della sollecitazione di un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito nella valutazione del materiale probatorio, e deve essere disatteso
12.3. Anche il terzo motivo relativo alla pretesa novazione dei precedenti contratti a termine mediante la loro conversione in rapporti a tempo determinato è infondato.
Questa Corte (ex multis cfr. Cass. 11.10.2012 n. 17328) ha da tempo affermato che, poiché la novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutivo di
obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche, di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’animus novandi consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto; l’esistenza di tali specifici elementi deve essere in concreto verificata dal giudice del merito, con un accertamento di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità solamente se è conforme alle disposizioni contenute negli artt. 1230 c. 1 e 2 e 1231 cc e se risulta congruamente motivato.
I giudici di secondo grado hanno applicato correttamente tale principio, svolgendo la propria indagine sugli elementi sopra menzionati e con argomentazioni congrue hanno sottolineato le ragioni per le quali il venir meno del termine finale, nel contesto generale del rapporto di lavoro e fermo restando ogni altro aspetto del rapporto, non era sufficiente ad evidenziare la comune volontà novativa delle parti.
12.4 Il quarto motivo, con il quale è reiterata l’eccezione di prescrizione, ai sensi dell’art. 937 del codice della navigazione, è infondato. E’ infatti evidente che la norma di cui all’art. 1422 c.c., che sancisce il principio generale della imprescrittibilità dell’azione di nullità, non è derogata dall’art. 937 codice della navigazione aerea, il quale stabilisce la decorrenza del relativo tempo di durata dalla cessazione del rapporto, che, nel caso in esame, era ancora in essere. Infatti, l’art. 937 c.n., stabilisce al comma 1 che “I diritti derivanti dal contratto di lavoro del personale di volo si prescrivono col decorso di due anni dal giorno dello sbarco nel luogo di assunzione, successivamente alla cessazione o alla risoluzione del contratto”, cessazione che
nel caso di specie non risulta essere intervenuta (almeno fino alla pronuncia di appello e secondo quanto dalla stessa emergente). Né può ritenersi che detto termine biennale di prescrizione potesse decorrere dalla cessazione dei singoli contratti a termine alla luce anche del principio più volte affermato da questa Corte secondo cui – in considerazione del “metus” del lavoratore nei confronti del datore di lavoro tipico dei rapporti senza stabilità, che non può essere valutato in base alla successiva declaratoria, pur retroattiva, di nullità del termine e di conversione del rapporto a tempo indeterminato durante la successione dei contratti a termine non è configurabile un decorso della prescrizione dei diritti derivanti dalla detta conversione, fatto salvo l’accertamento della cessazione di tale situazione (v. Cass. 14996/2012 cit. ed altre; vale ricordare pure Corte Cost. sentenza n. 354/2006 sulla legittimità costituzionale degli artt. 373 e 937 c.n. e, dunque, della regola generale della non decorrenza della prescrizione biennale dei crediti in costanza di rapporto per i marittimi e la gente dell’aria);
12.5. il quinto motivo non è meritevole di accoglimento. Invero, deve rilevarsi che: a) nei casi di successione di contratti a termine stipulati in frode alla legge o in violazione dei limiti posti dalla legge, si opera una conversione dei diversi contratti in un unico rapporto a tempo indeterminato e, quindi, seppure per una fictio iuris, si deve ritenere l’esistenza di un unico rapporto lavorativo a tempo indeterminato (cfr. in motivazione Cass. n. 14827/2018; Cass. n. 14996/2012); b) ai fini della operatività della disciplina di cui all’art. 2112 cc, con particolare riguardo alla solidarietà tra cedente e cessionario, occorre la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento di azienda (cfr.Cass. n. 7517/2010; Cass. n. 4598/2015). Pertanto, nel caso di specie si deve opinare che il rapporto lavorativo
originariamente instauratosi nonostante le vicende societarie, non è stato mai interrotto e, conseguentemente, in modo corretto è stata ritenuta la legittimazione passiva anche di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE
12.6. Il sesto motivo relativo alla violazione dell’art. 32 D.Lgs. 183/2010 e alle conseguenze risarcitorie è inammissibile poiché, come evidenziato dal controricorrente non è mai stato sollevato nei precedenti giudizi
In ogni caso la pronuncia di secondo grado è conforme ai principi di legittimità (Cass. 12.1.2015 n. 262; Cass. 2.7.2018 n. 17248) secondo cui, nel caso di illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato con conversione in un unico rapporto a tempo indeterminato, l’indennità di cui all’art. 32 comma 5 della legge n. 183 del 2010 è esaustiva del diritto al ristoro per gli intervalli non lavorati in quanto inclusiva di tutti i danni, retributivi e contributivi, subiti dal lavoratore, mentre per i periodi lavorati spetta anche, oltre alla retribuzione maturata, il riconoscimento della anzianità di servizio e, dunque, la maturazione degli scatti di anzianità.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto con regolazione delle spese come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 13 novembre