Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21721 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 21721 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 17356/2019 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
Comune di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA, n. 4386/2018, pubblicata il 1° aprile 2019.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2 luglio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del P.M. in persona dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, per la RAGIONE_SOCIALE controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME ha adito il Tribunale di Cassino, chiedendo che fosse dichiarato nullo il licenziamento a lui comminato o che ne fosse accertata, comunque, l’illegittimità, con ordine di reintegra nel posto di lavoro e risarcimento del danno.
Il Tribunale di Cassino, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 770/2015, ha accolto il ricorso.
Il Comune RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello che la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 4386/2018, ha accolto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
Il Comune di RAGIONE_SOCIALE si è difeso con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 33 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 14, comma 3, CCNL Enti locali.
Egli sostiene che la cessazione del rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere regolata dall’art. 33 del d.lgs. n. 165 del 2001, mentre la risoluzione del medesimo rapporto in esito all’annullamento in autotutela dell’ iter di assunzione e dei consequenziali contratti di lavoro in ragione della violazione di norme imperative in tema di contenimento della spesa del personale sarebbe stata ipotesi non prevista dall’ordinamento.
In particolare, la P.A. non sarebbe stata legittimata a esercitare poteri discrezionali in via di autotutela.
Inoltre, il ricorrente ritiene che avrebbe dovuto essere presa in considerazione l’esigenza di tutela dell’affidamento ingenerato nel personale.
Peraltro, in un altro caso analogo, che avrebbe visto coinvolto sempre il Comune di RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello di Roma avrebbe dato ragione ai dipendenti, con sentenza n. 1867/2018.
La doglianza è infondata.
Preliminarmente, si osserva che, n ella specie, la corte territoriale ha ritenuto, correttamente, che non venisse in rilievo un caso di licenziamento, ma si ponesse un problema di caducazione con effetti ex tunc di un contratto di lavoro nullo per violazione di norme imperative.
Ciò perché la contestazione aveva a oggetto non un fatto sopravvenuto durante lo svolgimento del rapporto, ma l’esistenza di un vizio genetico della causa del detto contratto, rilevato dalla PRAGIONE_SOCIALEA. in seguito all’esercizio del potere di annullamento in autotutela degli atti della procedura di stabilizzazione in esame.
La categoria della nullità del contratto di lavoro è ben nota alla disciplina del rapporto di lavoro privatistico, come dimostra l’art. 2126 c.c. che, nel regolamentare le conseguenze della nullità o dell’annullamento del contratto di lavoro, ne dispone l’inefficacia per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione.
La nullità è prevista, poi, in via AVV_NOTAIO, dall’art. 1418 c.c. per i contratti (ivi compreso quello di lavoro) contrari a norme imperative di legge, e questa disposizione, di per sé già applicabile nella specie, trova una specifica conferma per i contratti di lavoro del pubblico impiego privatizzato nell’art. 36 d.lgs. n. 165 del 2001, ove è previsto che la violazione di disposizione imperative per l’assunzione e l’impiego dei lavoratori non comporta la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Indubbiamente, la RAGIONE_SOCIALE, nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, non esercita più poteri di supremazia speciale, ma opera con la capacità del datore di lavoro privato e nell’ambito di un rapporto contrattuale paritario.
Questo, però, non vieta alla medesima PRAGIONE_SOCIALE – datrice di lavoro di utilizzare gli strumenti civilistici, riservati al datore di lavoro privato, quale, ad esempio, il rilievo della nullità del contratto di lavoro, se ne ricorrano i presupposti.
Al riguardo, si osserva che la giurisprudenza ha già affermato che, in tema di pubblico impiego privatizzato, l’annullamento di un concorso pubblico in autotutela, ai sensi dell’art. 21 novies della legge n. 241 del 1990, per vizi di legittimità riscontrati dalla P .A. rispetto agli atti della selezione, determina la nullità originaria, rilevabile d’ufficio, sebbene accertata successivamente, del contratto di lavoro stipulato in esito alla conclusione del concorso stesso. Nel giudizio instaurato dal lavoratore per la tutela del diritto soggettivo alla prosecuzione del rapporto conseguente a tale contratto il giudice ordinario ha il potere di disapplicare il provvedimento di annullamento solo se, ed in quanto, si ravvisino rispetto ad esso i vizi di legittimità propri degli atti amministrativi (Cass., Sez. L, n. 1307 del 17 gennaio 2022).
Inoltre, la S.C. ha chiarito che, nel pubblico impiego privatizzato, la procedura concorsuale costituisce l’atto presupposto del contratto individuale del quale condiziona la validità, sicché sia l’assenza sia l’illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001 e, rientrando nell’ambito di applicazione di portata AVV_NOTAIO del successivo art. 36, comportano la nullità del contratto individuale (Cass., Sez. L, n. 30992 del 27 novembre 2019).
In maniera ancora più specifica, è stato di recente chiarito che, nel pubblico impiego privatizzato, le decisioni datoriali che incidono sul costo del personale e comportano spese a carico della Pubblica Amministrazione richiedono la necessaria copertura finanziaria e di spesa, in mancanza della quale gli atti e le procedure eventualmente svolte sono privi di effetti e non producono il sorgere di diritti delle parti, eccezion fatta per i rapporti di lavoro di fatto, stipulati in violazione sia della legge sia della contrattazione collettiva, che devono essere comunque remunerati per effetto del disposto dell’art. 2126 c.c. e dei principi costituzionali sanciti agli artt. 35 e 36 della Carta (Cass., Sez. L, n. 15364 del 31 maggio 2023).
Pertanto, non può tenersi conto di tali contratti, ormai nulli, ai fini di successive assunzioni o avanzamenti di carriera concernenti detti rapporti di lavoro, in applicazione del principio quod nullum est nullum producit effectum (Cass., Sez. L, n. 32263 del 5 novembre 2021; Cass., Sez. L, n. 30235 del 14 ottobre 2022, in motivazione).
La sentenza gravata è, dunque, conforme alla giurisprudenza di questa Corte di cassazione secondo la quale, in materia di pubblico impiego privatizzato, i processi di stabilizzazione sono effettuati – in presenza dei requisiti soggettivi previsti – nei limiti delle disponibilità finanziarie e nel rispetto delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di programmazione triennale del fabbisogno; di conseguenza, in assenza dei presupposti, non è configurabile né un diritto soggettivo alla stabilizzazione -escludendosi, pertanto, l’esistenza di qualsivoglia diritto di natura risarcitoria in capo ai suoi potenziali destinatari – né un diritto alla proroga dei contratti a termine in scadenza, ammissibile solo nell’ipotesi di concreta possibilità di definire utilmente la procedura finalizzata alla trasformazione del rapporto a tempo indeterminato (Cass., Sez. L, n. 15422 del 3 giugno 2024, non massimata).
Infatti, in tema di costituzione del rapporto di lavoro, la nullità della procedura concorsuale per violazione di norme imperative costituisce causa di nullità dei contratti di lavoro sottoscritti in esito ad essa, indipendentemente dalla circostanza che i lavoratori abbiano dato causa al vizio o ne abbiano avuto consapevolezza (Cass., Sez. L, n. 15422 del 3 giugno 2024, non massimata; Cass., Sez. L, n. 20416 del 29 luglio 2019).
La mera circostanza che il procedimento che precede la conclusione del contratto e la sua stipulazione costituiscano due momenti distinti e che siffatto contratto sia stato sottoscritto fra il Comune di RAGIONE_SOCIALE e il lavoratore non impedisce, quindi, che l’illegittimità della procedura preliminare si traduca in nullità del negozio contestato.
Priva di rilievo è l’affermazione del ricorrente, il quale sostiene che la cessazione del rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere regolata dall’art. 33 del d.lgs. n. 165 del 2001, mentre la risoluzione del medesimo rapporto in esito all’annullamento in autotutela dell’ iter di assunzione e dei consequenziali
contratti di lavoro in ragione della violazione di norme imperative in tema di contenimento della spesa del personale sarebbe stata ipotesi non prevista dall’ordinamento.
Infatti, la nullità in questione deriva, quantomeno, dall’art. 1, comma 557 ter, della legge n. 296 del 2006, nonché dal disposto degli artt. 36 d.lgs. n. 165 del 2001 e 1418 c.c., eventualmente letti in combinato disposto con gli artt. 35 d.lgs. n. 165 del 2001, 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006, 76, comma 7, d.l. n. 112 del 2008 e 14, comma 9, d.l. n. 78 del 2010.
In particolare, la corte territoriale ha esattamente rilevato che l’accertamento unilaterale del venire meno del rapporto di lavoro ad opera del Comune di RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto essere illegittimo ‘soltanto in caso di accertata illegittimità del provvedimento di annullamento d’ufficio della procedura di reclutamento’, il che, però, nella specie, era da escludere, essendo stato verificato il mancato rispetto delle norme sul contenimento della spesa pubblica.
Senza alcun pregio sono, infine, le considerazioni del ricorrente concernenti l’esigenza di tutela dell’affidamento ingenerato nel personale e le vicende relative a un altro caso analogo, che avrebbe visto coinvolto sempre il Comune di RAGIONE_SOCIALE, in ordine al quale la Corte d’appello di Roma avrebbe dato ragione ai dipendenti, con sentenza n. 1867/2018.
A prescindere dalla genericità delle contestazioni, si sottolinea che l’affidamento dei dipendenti non può che essere , in un caso del genere, recessivo, ove essi reclamino la continuazione del rapporto di lavoro e il pagamento di un’indennità risarcitoria.
La sentenza menzionata riguarda, infine, una controversia distinta.
2) Il ricorso è rigettato in applicazione del seguente principio di diritto:
‘L’illegittimità della procedura finalizzata alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili prevista dai protocolli d’intesa conclusi fra un Comune e la Regione Lazio ai sensi della legge Regione Lazio n. 21 del 2002, che sia dovuta a contrarietà alle norme imperative sul contenimento della spesa pubblica per il personale di cui agli artt. 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006, 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, conv., con modif., dalla legge n. 133 del 2008, e 14,
comma 9, del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., dalla legge n. 122 del 2010, comporta la nullità ex artt. 1418 c.c. e 36 d.lgs. n. 165 del 2001 del contratto di lavoro stipulato dall’ente locale in attuazione di tale procedura. Nel giudizio instaurato dal lavoratore per la tutela del preteso diritto soggettivo alla prosecuzione del rapporto derivante da detto contratto il giudice ordinario ha il potere di disapplicare il provvedimento di annullamento solo ove ravvisi, rispetto a esso, i vizi di legittimità propri degli atti amministrativi, altrimenti trovando applicazione esclusivamente la tutela prevista per i rapporti di lavoro di fatto, instaurati in violazione sia della legge sia della contrattazione collettiva, che devono essere comunque remunerati in ragione del disposto dell’art. 2126 c.c. e dei principi costituzionali sanciti dagli artt. 35 e 36 della Costituzione, senza che rilevi l’eventuale affidamento del personale che il citato contratto aveva sottoscritto’.
Le spese di lite sono compensate ex art. 92 c.p.c. , in quanto l’indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato si è consolidato solo in epoca recente.
Si attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
compensa le spese di lite;
attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 2 luglio