Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4569 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 4569 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/02/2025
Oggetto: Pubblico impiego – Annullamento nomina dirigenti Regione Puglia -atto transattivo stipulato per incentivo all’esodo
SENTENZA
sul ricorso n. 15628/2024 proposto da:
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso il dott. NOME. COGNOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Bari n. 652/2024 pubblicata il 17 maggio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri;
udito l’Avv. NOME COGNOME per il controricorrente, che ha domandato il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 2111/2022, ha accolto il ricorso proposto da NOME COGNOME il quale aveva chiesto di essere dichiarato non tenuto a restituire la somma di € 366.857,27 alla Regione Puglia, suo ex datore di lavoro.
Il lavoratore ha dedotto che:
era stato dipendente della Regione Puglia con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e di essere cessato dal servizio con qualifica dirigenziale dal 1° aprile 2004, in virtù di contratto di risoluzione consensuale stipulato il 29 marzo 2004 ai sensi dell ‘art. 28 della legge regionale n. 7 del 2002;
-aveva ricevuto richiesta di restituzione dell’importo indicato in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato n. 4888/2013, da cui era derivato il ripristino del suo inquadramento giuridico nell’ex VIII qualifica funzionale in luogo di quella dirigenziale;
la risoluzione del rapporto con la qualifica dirigenziale aveva comportato una novazione dello stesso;
la richiesta era prescritta.
La Regione Puglia ha proposto appello che la Corte d’appello di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 652/2024, ha rigettato.
La Regione Puglia ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME si è difeso con controricorso e ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, nonché del primo motivo, sollevata dal controricorrente.
Il ricorso è correttamente articolato, con riferimento alla ratio decidendi della sentenza impugnata, in conformità ai principi enunciati da questa Corte secondo cui il giudizio di cassazione è un rimedio a critica vincolata (v., Cass., n. 4905 del 2020 e n. 6519 del 2019), e nel rispetto dei criteri di sufficienza e specificità. In particolare, va osservato che il primo motivo di ricorso è prospettato indicando le norme di legge di cui si deduce la violazione, che sono prese in esame e poste in relazione alla decisione di appello (cfr. Cass., S.U., n. 23745 del 2020).
Con il primo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 35, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 165 del 2001 in quanto la corte territoriale non avrebbe tenuto conto del suo obbligo di annullare in autotutela il concorso interno sulla base del quale era stato stipulato il contratto avente a oggetto l’incarico dirigenziale del dipendente, il quale era, quindi, nullo.
In particolare, all’invalidità del contratto individuale di lavoro non sarebbe potuta non conseguire quella del contratto di risoluzione consensuale richiamato da controparte, attesa l’inesistenza del rapporto giuridico in esame. Neppure avrebbe potuto ipotizzarsi la presenza di un valido affidamento del lavoratore, considerato che l’ammissione al concorso dell’interessato era avvenuta in seguito a provvedimento cautelare del giudice amministrativo, che la sua assunzione era seguita alla sentenza del TAR a lui favorevole e che nel contratto era stato precisato che la detta assunzione avveniva con riserva.
Il giudice di appello avrebbe errato nel dare valore alla previsione di non revocabilità dell’accordo di risoluzione consensuale, atteso che vi sarebbe stato un atto di annullamento.
Inoltre, non avrebbe dato peso al fatto che l’incentivo oggetto del contendere era attribuito non solo ai dirigenti, ma a tutto il personale appartenente alle categorie A-D.
La sentenza impugnata è censurata, quindi, stante l’omessa considerazione, ai fini della risoluzione della controversia, dell’intervenuto annullamento, da parte della sentenza del Consiglio di Stato n. 4888 del 2013, della procedura concorsuale all’esito d ella quale gli originari ricorrenti erano stati inquadrati nella I qualifica dirigenziale.
Deduce la Regione Puglia che detto annullamento avrebbe inevitabilmente comportato la nullità dei contratti di lavoro sottoscritti in esito alla stessa, come sancito, inequivocabilmente, dal disposto dell’art. 35, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 165 del 2001.
In ragione di detta nullità, nemmeno a seguito della sottoscrizione dei contratti individuali di risoluzione del rapporto di lavoro, espressamente
qualificati dalle parti come non revocabili, con cui in ipotesi la Regione avrebbe prestato acquiescenza rispetto alla pretesa di veder riconosciuta la qualifica da dirigente, si sarebbe potuto evitare l’effetto del giudicato amministrativo, comportante il travolgimento dell’attribuzione della superiore qualifica.
Il primo motivo di ricorso è fondato.
In modo condivisibile la Regione ricorrente richiama l’unanime giurisprudenza di legittimità che, in applicazione del precetto legislativo sopra richiamato, ha avuto modo di ribadire in plurime occasioni (v., da ult. Cass., n. 30922 del 2019) che ‘la procedura concorsuale costituisce l’atto presupposto del contratto individuale del quale condiziona la validità, sicché sia l’assenza sia l’illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 de l d.lgs. n. 165 del 2001 e, rientrando nell’ambito di applicazione di portata generale del successivo art. 36, comportano la nullità del contratto individuale’ (v. anche Cass., n. 1307 del 2022).
Per altro verso (Cass., n. 4057 del 2021) si è sancito che ‘l’Amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento di verifica dei requisiti di ammissione al concorso del candidato prima dell’immissione in ruolo del medesimo; tuttavia, l’accertamento successivo della mancanza dei predetti requisiti può eventualmente rilevare, se sussistono í presupposti dell’azione di danno, a fini risarcitori, ove il candidato abbia fatto affidamento sul comportamento dell’amministrazione, ma non può impedire a quest’ultima, tenuta al rispetto della legalità, di recedere dal rapporto affetto da nullità facendo così valere l’assenza di un vincolo contrattuale – per violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione, poste a tutela di interessi
pubblici alla cui realizzazione deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa’.
4. La sentenza del Consiglio di Stato n. 4888 del 2013 era, allora, vincolante e la corte territoriale avrebbe dovuto conformarsi al suo decisum . Ciò, anche considerando che costituisce oggetto di giudicato la situazione di fatto che si pone come antecedente logico necessario della pronuncia resa sulla domanda dell’attore o sull’eccezione del convenuto; l’autorità del giudicato copre il fatto accertato anche in relazione ad ogni altro effetto giuridico che da esso ne derivi nell’ambito del rapporto obbligat orio tra le stesse parti (Cass. n. 28415 del 2017).
Nella specie, con la sentenza n. 4888 del 2013 il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza del TAR Puglia n. 7399 del 2001, ha rigettato le domande con cui i dipendenti della Regione Puglia avevano impugnato il provvedimento della Commissione Governativa di controllo emesso in data 10.5.1990, che aveva disposto l’annullamento del provvedimento in data 12.4.1990 di riapertura dei termini per la partecipazione al concorso bandito dalla Regione Puglia con DPGR n. 314 del 7.7.1982 per il passaggio dal VI al VII livello, ex art. 95 legge regionale n. 18/1974; il controricorrente aveva partecipato al concorso ed era risultato vincitore in base al provvedimento di riapertura dei termini.
Il Consiglio di Stato ha evidenziato la natura transitoria della previsione contenuta nell’art. 95 della legge regionale Puglia n. 18/1974 (successivamente abrogato dall’art. 5 della legge regionale n. 28/2000); ha, inoltre, precisato che il concorso interno per il passaggio al VII livello funzionale era riservato al personale regionale immesso in ruolo già al VI livello in occasione del primo inquadramento, a nulla rilevando i successivi
passaggi di livello eventualmente conseguiti, quand’anche disposti ex lege e con efficacia retroattiva, come avvenuto nella Regione Puglia.
Ha rilevato, poi, che, secondo il bando, erano legittimati a partecipare al suddetto concorso esclusivamente i dipendenti della Regione Puglia inquadrati nel ruolo regionale nel VI livello f. e f. alla data del 14.4.1980, in possesso alla stessa data di un ‘anzianità complessiva di 5 anni di cui almeno 3 prestati presso la Regione Puglia, e ha, pertanto, ritenuto legittimo l’annullamento, da parte della Commissione di controllo, della deliberazione n. 1903 del 12.4.1990, con cui la Giunta Regionale aveva riaperto per la terza volta i termini per la partecipazione al concorso.
5. La Corte territoriale, inoltre, ha totalmente ignorato la giurisprudenza di legittimità per la quale, in tema di pubblico impiego privatizzato, l’annullamento di un concorso pubblico in autotutela, ai sensi dell’art. 21 novies della legge n. 241 del 1990, per vizi di legittimità riscontrati dalla P.A. rispetto agli atti della selezione, determina la nullità originaria, rilevabile d’ufficio, sebbene accertata successivamente, del contratto di lavoro stipulato in esito alla conclusione del concorso stesso; nel giudizio instaurato dal lavoratore per la tutela del diritto soggettivo alla prosecuzione del rapporto conseguente a tale contratto il giudice ordinario ha il potere di disapplicare il provvedimento di annullamento solo se, ed in quanto, si ravvisino rispetto ad esso i vizi di legittimità propri degli atti amministrativi (Cass., n. 1307 del 2022).
Infatti, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, l’Amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento di verifica dei requisiti di ammissione al concorso del candidato prima dell’immissione in ruolo del medesimo. L’accertamento successivo della mancanza dei predetti requisiti
può eventualmente rilevare, se sussistono í presupposti dell’azione di danno, a fini risarcitori, ove il candidato abbia fatto affidamento sul comportamento dell’amministrazione, ma non può impedire a quest’ultima, tenuta al rispetto della legalità, di recedere dal rapporto affetto da nullità – facendo così valere l’assenza di un vincolo contrattuale – per violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione, poste a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa (Cass., n. 4057 del 2021).
Ne consegue che, in tema di costituzione del rapporto di lavoro, la nullità della procedura concorsuale per violazione di norme imperative costituisce causa di nullità dei contratti di lavoro sottoscritti in esito ad essa, indipendentemente dalla circostanza che i lavoratori abbiano dato causa al vizio o non ne abbiano avuto consapevolezza (Cass., n. 20416 del 2019), atteso che, in questo caso, si verificano una violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001, attuativ o del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4, Cost. e, quindi, in applicazione del disposto, di portata generale, del successivo art. 36, una nullità del contratto individuale. (Cass., n. 30992 del 2019).
Pertanto, la Regione Puglia era tenuta, in esecuzione del giudicato amministrativo intervenuto, ad annullare l’inquadramento del controricorrente quale dirigente e a recuperare ciò che era stato da lui indebitamente percepito.
Neppure giustifica la decisione di appello l’accordo di risoluzione consensuale già menzionato.
L’art. 28, comma 1, della legge Regione Puglia n. 7 del 2002 prescrive che ‘Al fine di accelerare il processo di riorganizzazione dell’Amministrazione
regionale, anche a seguito del trasferimento di funzioni e compiti in attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59 e della legge 15 maggio 1997, n. 127, in deroga a quanto previsto dall’articolo 17 del Contratto collettivo nazionale di lavoro (C.C.N.L.) del l’Autonoma area della dirigenza del comparto regioni e Autonomie locali sottoscritto il 23 dicembre 1999, ai dirigenti titolari di rapporto di impiego a tempo indeterminato che, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, presentino all’Ente proposta per la risoluzione del rapporto di lavoro sarà erogata, subordinatamente all’accettazione della proposta medesima da parte dell’Ente, una indennità supplementare pari a otto mensilità della retribuzione lorda spettante alla data della predetta risoluzione, per ogni anno derivante dalla differenza fra 65 anni e l’età anagrafica individuale, espressa in anni, posseduta alla data di cessazione del rapporto di lavoro, calcolati per un massimo di sei anni’.
Ciò non esclude, però, che l’Amministrazione, come ha fatto, una volta accertato giudizialmente in via definitiva che il presupposto di detto accordo non sussisteva (la qualifica dirigenziale), avesse il dovere di agire per ripristinare la legalità, atteso che la fattispecie prevista dalla legge regionale non si era perfezionata.
Infatti, nell’impiego pubblico contrattualizzato, il riconoscimento al lavoratore di un trattamento economico maggiore di quello previsto dalla contrattazione collettiva risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la P.A., anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme corrisposte senza titolo (Cass., n. 13479 del 2018).
D’altronde, gli atti di risoluzione consensuale, essendo espressione di volontà negoziale, sono tenuti al rispetto della vigente normativa e il mancato rispetto dei requisiti previsti dalla legislazione regionale citata li ha resi nulli per violazione di legge.
A maggior ragione deve giungersi a questa conclusione qualora si voglia valorizzare la sopravvenienza della sentenza del Consiglio di Stato n. 4888 del 2013 e una natura transattiva dell’intesa finalizzata all’erogazione dell’incentivo.
L’intervenuta intesa negoziale, invero, non era stata resa nota al giudice amministrativo, con l’effetto che il venire meno della qualifica dirigenziale era avvenuto a prescindere da detto accordo, rendendolo, pertanto, del tutto irrilevante.
Tale intesa, in realtà, avrebbe dovuto essere presa eventualmente in considerazione dal giudice amministrativo, ma, non essendo questo avvenuto, essa non poteva prevalere sulla decisione del Consiglio di Stato, che aveva accertato, in via definitiva, la mancanza di legittimazione del controricorrente a partecipare alla procedura de qua.
Per quel che concerne la transazione, poi, la giurisprudenza tradizionale, ha chiarito che, nel caso in cui essa intervenga tra le parti di un giudizio, senza tuttavia che alcuna di esse ne deduca il sopravvenire ed il giudizio sia, quindi, definito con sentenza non impugnata e passata in giudicato, la situazione accertata dalla sentenza diviene intangibile e preclude ogni possibilità di rimettere in discussione questa situazione in un successivo giudizio e di apprezzare e rilevare il contenuto dell’accordo transattivo (Cass., n. 2155 del 2012; Cass., n. 20723 del 2007; Cass., n. 3026 del 2005).
Le considerazioni svolte rendono evidente l’irrilevanza della mancanza di una riserva di efficacia dell’atto di risoluzione consensuale all’esito del contenzioso amministrativo, e dell’esclusione della revocabilità del medesimo accordo, che concerneva palesemente, stante il riferimento agli artt. 1334 e 1335, c.c., il semplice incontro delle volontà, ma non potevano sanare vizi genetici dell’intesa.
Chiariscono, altresì, come da detta intesa non potessero trarsi conseguenze quanto all’eventuale acquiescenza della Regione Puglia alla definitività degli inquadramenti dei dipendenti interessati.
Infine, non conforme a diritto è l’affermazione della corte territoriale secondo cui la citata normativa regionale e il successivo accordo di risoluzione consensuale rappresentavano ‘sopravvenienze giuridiche e fattuali idonee ad impedire l’esecuzione del giudicato’, quantomeno perché si trattava di eventi anteriori alla formazione dello stesso, comunque non idonei a rendere impossibile la concreta attuazione del comando del giudice amministrativo.
Per le ragioni esposte, la risoluzione consensuale non poteva incidere sulla successiva sentenza del Consiglio di Stato, in quanto la sua esistenza non era stata prospettata al giudice amministrativo. Allo stesso modo, la legge regionale non poteva avere valore, in assenza dei suoi presupposti di applicazione.
La riconosciuta nullità della procedura concorsuale travolge, comunque, la stipula dei contratti, senza che l’effetto possa essere vanificato dall’incontro della volontà delle parti contraenti espressesi in senso difforme. Si tratta, infatti, di materia che non è disponibile dalle parti contrattuali: deve ribadirsi quello che è principio cardine della materia, per cui la pubblica amministrazione è sempre e comunque tenuta al rispetto della legalità e, in
virtù di ciò, è obbligata a recedere dal rapporto affetto da nullità per violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione, che sono poste a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa (v. Cass., n. 4057 del 2021, cit.).
Dalle ragioni sopra esposte deriva l’accoglimento del primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo la Regione denuncia l’errata valutazione ed interpretazione dei contratti di risoluzione consensuale. Parte ricorrente evidenzia che la volontà di definire una situazione giuridica non può in alcun modo essere considerata implicit a all’atto di risoluzione in parola, in quanto per poter avere sostanza giuridica ed esplicare i propri effetti la volontà deve essere manifesta, ossia oltre ogni ragionevole dubbio.
Con il terzo motivo parte ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., in quanto le mansioni dirigenziali sarebbero state esercitate solo di fatto e le somme oggetto di causa sarebbero state liquidate a decorrere dal 1° gennaio 1992.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono assorbiti dall’accoglimento del primo motivo.
In accoglimento del primo motivo di ricorso la sentenza di appello va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, atteso che il giudice del merito, accogliendo erroneamente la domanda principale, ha assorbito e non ha esaminato le ulteriori domande proposte dai controricorrenti in via subordinata e gradata, che richiedono ulteriori accertamenti di fatto.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;
cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della