Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24270 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24270 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 31/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1316/2023 R.G. proposto da: MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
– controricorrente –
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI TRIESTE n. 14/2022 depositato il 14/06/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con ricorso ex art. 3 legge 24 marzo 2001, n. 89, NOME COGNOME chiedeva alla Corte d’Appello di Trieste di ingiungere al Ministero dell’Economia e delle Finanze (‘MEF’) il pagamento di un equo indennizzo per i danni non patrimoniali subìti a causa dell’irragionevole durata del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE dichiarato con sentenza del Tribunale di Udine dell’11.02.2008 e definito con decreto di chiusura del 07.04.2021.
Il Consigliere Delegato della Corte d’Appello di Trieste, in accoglimento della domanda di equa riparazione, con decreto monitorio emesso il 19.11.2021, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore dell’istante, della somma di €. 3.200,0 0 a titolo di equa riparazione, oltre ad accessori di legge.
Il ricorso ed il predetto decreto venivano entrambi notificati al MEF presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste.
1.1. A séguito di tale notifica, il MEF e il Ministero della Giustizia proponevano opposizione avverso il menzionato decreto chiedendone l’annullamento, eccependo:
il MEF, il proprio difetto di legittimazione passiva ( rectius , il difetto di titolarità passiva del rapporto obbligatorio), posto che la domanda doveva essere proposta nei confronti del Ministero della Giustizia ex art. 3, comma 2, legge n. 89 del 2001;
-il Ministero della Giustizia si doleva, in primo luogo, dell’illegittimità della rettifica operata ex officio dal giudice delegato rispetto all’erronea individuazione del soggetto passivo tenuto all’indennizzo operata dalla parte istante; censurava, inoltre,
l’inefficacia del decreto per mancata notifica nel termine dei trenta giorni previsti dall’art. 5, comma 2, della legge n. 89 del 2001, atteso che alcuna notifica era stata effettuata dalla controparte nei suoi confronti.
La Corte d’Appello adìta in opposizione riteneva che si fosse verificata un’irregolarità sanabile ex art. 4 legge 25 marzo 1958, n. 260, pertanto, dava termine per la notificazione del ricorso, del decreto e del verbale di udienza al Ministero della Giustizia, nonché successivo termine per l’eventuale proposizione di motivi di opposizione, fissando nuova udienza.
Costituitosi, il Ministero della Giustizia non proponeva altri motivi di opposizione, ma entrambi i Ministeri insistevano nelle proprie deduzioni sopra richiamate.
L’opposizione, dunque, veniva rigettata, in quanto i motivi ivi elevati erano da ricondurre ad errore di identificazione del soggetto pubblico difeso dall’Avvocatura dello Stato, sanato facendo applicazione dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958, senza che fossero proposti altri motivi di opposizione da esaminare nel merito.
A sostegno della sua decisione, osservava la Corte triestina che:
-l’art. 4 della legge n. 260 del 1958 deve essere interpretato in senso ampio: la norma è applicabile anche quando l’errore di identificazione riguardi distinte ed autonome soggettività di diritto pubblico ammesse al patrocinio dell’avvocatura dello Stato (Cass., Sez. Un., sentenza n. 8516 del 29.05.2012), e la sua operatività è circoscritta al profilo della rimessione in termine, con esclusione dell’automatica stabilizzazione dei confronti del reale destinatario, in funzione della comune difesa, degli effetti di atto giudiziario notificato ad altro soggetto;
-nel procedimento di equa riparazione, la proposizione dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva da parte del MEF consente l’integrazione del contraddittorio ex art. 4 legge n. 260 del 1958 per la prima volta in fase di opposizione, a cognizione piena, momento in cui l’Avvocatura dello Stato è posta nella condizione, appunto, di sollevare detta eccezione;
l’esecuzione della notifica all’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, incaricata ex lege della difesa di entrambi i Ministeri, esclude in sé la declaratoria di inefficacia del decreto, che sussiste soltanto in caso di omissione della notifica e, quindi, non può essere pronunciata nel caso in cui l’opposizione sia stata proposta a fronte di un ‘avvenuta notifica, pur se affetta da nullità.
Il suddetto decreto della Corte d’Appello di Trieste veniva impugnato per la cassazione dal Ministero della Giustizia e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il ricorso veniva affidato a due motivi.
Resisteva NOME COGNOME.
Comunicata la proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, le due Amministrazioni ricorrenti hanno chiesto la decisione ex art. 380bis cod. proc. civ.
In vista dell’adunanza camerale, entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE:
Va preliminarmente osservato che a séguito della decisione di questa Corte resa a Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., n. 9611 del 10.04.2024), e per le ragioni ivi chiarite, la partecipazione del Consigliere Delegato proponente, ex art. 380bis cod. proc. civ., al Collegio che definisce il giudizio non rileva quale ragione di
incompatibilità, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 4 e dell’art. 52 cod. proc. civ.
Con il primo motivo si deduce error in procedendo per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (corrispondenza tra chiesto e pronunciato); violazione dell’art. 3, comma 3, della legge n. 89/2001 e dell’art. 4, legge n. 260/1958, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) cod. proc. civ. I ricorrenti censurano la pronuncia impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la circostanza secondo cui il decreto di accoglimento della domanda di equa riparazione era stato emesso dal giudice monocratico nei confronti del Ministero della Giustizia mai convenuto in giudizio, come invece previsto dall’art. 3, comma 2, legge n. 89 del 2001. Tanto più, precisano i ricorrenti, che si tratta di questione attinente al difetto di titolarità passiva del rapporto sostanziale, rispetto alla quale non può trovare applicazione la rimessione in termini ex art. 4 legge n. 260 del 1958 non trattandosi di mera irregolarità sanabile, bensì di questione relativa al merito della lite, la cui carenza non può che condurre al rigetto della domanda azionata. Inoltre, proseguono i ricorrenti, l’art. 4 legge n. 260 del 1958 non può trovare applicazione nel procedimento di equa riparazione per la stessa struttura di detto procedimento: non nella prima fase innanzi al giudice monocratico, poiché si svolge in assenza di contraddittorio; non nella fase di opposizione, perché è ormai troppo tardi. Il decreto monitorio, infatti, è irrimediabilmente viziato in quanto emesso nei confronti di un soggetto (il Ministero della Giustizia, nel caso di specie) nei cui confronti la domanda non era mai stata proposta e al quale il decreto che accoglie la domanda non era mai stato neanche notificato.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4 legge n. 260 del 1958, 5 legge n. 89 del 2001 e 153 cod.
proc. civ., in relazione all’art 360, comma uno n. 3) cod. proc. civ. I ricorrenti censurano la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondata l’eccezione di inefficacia del decreto monitorio eccepita in quanto non notificato al Ministero della Giustizia nel termine dei trenta giorni previsti dall’art. 5 della legge n. 89 del 2001 -stante l’avvenuta esecuzione della notifica all’Avvocatura dello Stato, incaricata ex lege della difesa di entrambi i Ministeri. Tale argomentazione -obiettano i ricorrenti -intanto è fondata su un precedente inconferente (Cass. n. 17150/2019), poiché deciso vigente il procedimento di equa riparazione articolato in un’unica fase; inoltre, ignorando la tardività della notifica al Ministero della Giustizia, non tiene conto del fatto che la fase di opposizione, di realizzazione piena del contraddittorio, coincide con il momento in cui l’Amministrazione ingiunta può eccepire la mancata notifica del decreto e/o la sua inesistenza al fine di ottenere la dichiarazione di inefficacia del decreto. A fronte di tale eccezione il giudice dell’opposizione non può, a sua volta, assegnare termine per la rinotifica, erroneamente applicando l’art. 4 legge n. 260 del 1958, ma deve limitarsi a dichiarare l’inefficacia del decreto monitorio. Infine, concludono i ricorrenti, la rimessione in termini da parte del giudice dell’opposizione è stata disposta d’ufficio, in violazione dell’art. 4 cit. e dell’art. 153 cod. proc. civ. che stabilisce il più generale principio per cui l’operativi tà della rimessione in termini è subordinata alla richiesta della parte.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica; essi si rivelano infondati in tutte le diverse censure.
4.1. Non sussiste violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
A tal proposito, è utile ricordare che -per principio consolidato espresso da questa Corte, dal quale non vi è ragione di discostarsi – il
vizio di ultrapetizione ricorre allorquando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato.
Nel caso di specie, lo stesso ricorso (pp. 7-8) riconosce che l’opposizione al decreto monitorio è stata proposta sia dal MEF lamentando la mancanza di titolarità nel rapporto sostanziale -sia dallo stesso Ministero della Giustizia cui il decreto impugnato si rivolgeva; non si è trattato, innanzitutto, di iniziativa ex officio da parte della Corte triestina che, chiamata a dichiarare da una parte l’assenza di titolarità dell’azione e, dall’altra, l’inefficacia del decreto impugnato, ha applicato l’art. 4 della legge n. 260 del 1958 in virtù del principio iura novit curia rimettendo in termini il Ministero della Giustizia che, nel corso dell’udienza fissata dal giudice dell’opposizione, avrebbe potuto difendersi nel merito della questione riguardante l’equa riparazione.
Ne consegue che non risulta violato il principio del contraddittorio né il diritto di difesa dell’Amministrazione: come affermato dalla Corte triestina, la ratio dell’art. 4 legge n. 260 del 1958 è quella di agevolare l’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale delle pretese vantate nei confronti della Pubblica Amministrazione, senza peraltro eludere il principio del contraddittorio, sì che il reale destinatario degli effetti di un atto giudiziario (nel caso di specie, il Ministero della Difesa) non si vedrà stabilizzare automaticamente gli effetti di una notificazione effettuata ad altro soggetto pubblico (MEF), solo in funzione della comune difesa (Avvocatura dello Stato), essendo l’operatività della norma citata limitata, appunto, alla rimessione in termini, al fine di consentire al soggetto pubblico pretermesso di esercitare il suo diritto di difesa (v. in termini: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8049 del
21/03/2019: nella specie, questa Corte – in tema di equa riparazione per durata non ragionevole del procedimento – ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva dichiarato inammissibile un ricorso notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze senza disporre la rinnovazione della notifica al Ministero della Giustizia, amministrazione che, invece, avrebbe dovuto essere parte del giudizio).
A tanto si deve aggiungere che la fase monitoria del procedimento di equa riparazione si svolge -come del resto ammettono gli stessi ricorrenti -inaudita altera parte , quindi in assenza del contraddittorio pieno.
4.2. Quanto alla mancanza di titolarità passiva del rapporto sostanziale, correttamente essa è stata qualificata dal giudice dell’opposizione come legitimatio ad causam (v. decreto p. 4, rigo 20), la quale consiste nella titolarità del potere e del dovere di subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento (Cass., 1 civ., 10.01.2008 n. 355; più di recente: Cass., 2 civ., 03.08.2022 n. 24049; Cass., 1 civ., 30.11.2021 n. 37659). Come tale, essa non att iene al merito della lite, quanto piuttosto all’identificazione del soggetto pubblico obbligato (esteso, come chiarito da questa Corte, alle soggettività di diritto pubblico ammesse al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato: Cass., Sez. Un., n. 8516 del 20 12), situazione espressamente disciplinata dall’art. 4 legge n. 260 del 1958 più volte citato, verificatasi nella fattispecie di cui è causa, riferibile anche -per espressa estensione letterale, e quindi a prescindere dalla scelta del giudice del monitorio di «correggere» come errore materiale
il soggetto destinatario del decreto all’ipotesi dell’errore di notifica del decreto monitorio (v. decreto p. 5, 2° capoverso: così Cass. n. 8516 del 2012 cit.).
In questo senso si può, dunque, parlare di mera «irregolarità» sanabile, appunto, ex art. 4 cit., poiché non riguarda la mancata instaurazione del rapporto processuale.
4.3. Per quel che, poi, concerne la pretesa incompatibilità della struttura del procedimento di equa riparazione con l’applicabilità dell’art. 4 legge n. 260 del 1958, il giudice dell’opposizione ha correttamente sostenuto (diversamente dall’interpretazion e espressa nel secondo motivo del ricorso a p. 18, 1° capoverso) che: «L’opposizione di cui all’art. 5 -ter L. 89/2001 non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza una fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente a oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo (Cass. n. 17522/2022 e Cass. n. 17388/2022, per tutte); ciò significa … che è nella fase a cognizione piena a dovere essere eseguita la sanatoria previst a dall’art. 4 L. 260/1958» (v. decreto impugnato p. 6, primi 5 righi).
Da tanto discende la perfetta aderenza di quanto affermato nella pronuncia di questa Corte richiamata nel decreto impugnato (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17150 del 2019), ritenuta invece inconferente dai ricorrenti: pur se resa nella vigenza dell’art. 3 legg e n. 89 del 2001, quando ancora non era prevista l’articolazione del procedimento di equa riparazione in due fasi, il principio in essa contenuto (ossia l’obbligo per il giudice dell’opposizione di non dichiarare l’inammissibilità della domanda, ma di disp orre, ex art. 4 L. 260/1958, la rinnovazione della notifica concedendo un termine alle parti istanti
per provvedervi) si applica appunto -stante l’unitarietà del procedimento -alla fase di opposizione, non già a quella monitoria.
4.3.1. Del resto, come è stato ampiamente chiarito da questa Corte, non può comunque essere proposta opposizione al decreto di ingiunzione (cui il procedimento di equa riparazione è ispirato) ai sensi dell’art. 5ter della legge n. 89 del 2001, al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia del decreto in conseguenza della nullità o della irregolarità della sua notificazione. L’opposizione al decreto di ingiunzione ai sensi di detta norma è, infatti, assoggettata allo stesso principio affermato con riguardo al procedimento monitorio, secondo il quale la nullità della notificazione del decreto ingiuntivo rileva unicamente per consentire la proposizione dell’opposizione tardiva (art. 650 cod. proc. civ.), e non anche per conseguire la declaratoria d’inefficacia del decreto (artt. 644 cod. proc. civ. e 188 disp. att. cod. proc. civ.), la quale può esser pronunciata solo in caso di mancata notifica, o di notifica giuridicamente inesistente del menzionato decreto (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21420 del 30/08/2018; nello stesso senso: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11154 del 09/05/2018; Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 24137 del 28/11/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5656 del 20/03/2015).
4.3.2. In effetti, tanto la struttura monitoria del procedimento previsto dall’art. 3 della legge n. 89 del 2001, che termina con un provvedimento la cui notifica attua la provocatio ad opponendum , quanto l’espressa sanzione d’inefficacia prevista dal comma 2 dell’art. 5 della stessa legge, rimandano all’analoga disposizione dell’art. 644, comma 1, cod. proc. civ., sull’inefficacia del decreto ingiuntivo per mancata notificazione del ricorso e del decreto nel termine ivi previsto. Tale norma è costantemente interpretata da questa Corte nel senso che l’inefficacia del decreto ingiuntivo è legittimamente riconducibile
alla sola ipotesi in cui manchi o sia inesistente la notifica nel termine stabilito dalla norma predetta, poiché la notificazione del decreto ingiuntivo comunque effettuata, anche se nulla, è pur sempre indice della volontà del creditore di avvalersi del decreto stesso ed esclude la presunzione di abbandono del titolo che costituisce il fondamento della previsione d’inefficacia di cui all’art. 644 cod. proc. civ., per cui, «se il decreto è stato notificato, anche se la notifica sia nulla o fuori termine, l’unico rimedio esperibile contro di esso è l’opposizione prevista dall’art. 645 cod. proc. civ.» (Cass. n. 3994 del 2016, in motiv.; Cass. n. 8126 del 2010; Cass. n. 19239 del 2004).
4.4. In sintesi: l’inefficacia del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 644 cod. proc. civ. è legittimamente riconducibile alla sola ipotesi in cui manchi del tutto ovvero sia giuridicamente inesistente la notifica nel termine stabilito dalla norma predetta, e non anche all’ipotesi di nullità o di irregolarità della notifica eseguita nel predetto termine poiché la notificazione del decreto ingiuntivo comunque effettuata, anche se nulla, è pur sempre indice della volontà del creditore di avvalersi del decreto stesso (Cass. n. 17478 del 2011). Solo se la nullità o l’irregolarità della notifica del decreto abbia impedito all’opponente di avere tempestiva conoscenza del decreto, è prevista la possibilità di farla valere a mezzo dell’opposizione tardiva, ai sensi dell’art. 650 cod. proc. civ. (Cass. n. 24223 del 2015, in motiv.).
Da tali principi, che confinano l’inefficacia del decreto ingiuntivo alla sola inesistenza della notifica nel termine previsto e conferiscono rilievo alla notifica nulla oppure irregolare solo per consentire la tardiva instaurazione del giudizio di cognizione mediante opposizione, consegue che la nullità della notifica del decreto ingiuntivo non può avere alcun effetto nell’ambito di un giudizio di opposizione tempestivamente instaurato: nel caso di nullità o irregolarità della
notifica del decreto ingiuntivo, cui faccia seguito un’opposizione tempestiva (come accaduto nel caso che ci occupa) è, quindi, inammissibile la deduzione, per tali vizi, dell’inefficacia del decreto, che riguarda solo l’ipotesi dell’inesistenza della notifica nel termine ex art. 644 cod. proc. civ., mentre la sua nullità o irregolarità rileva ai soli fini della proponibilità dell’opposizione ex art. 650 cod. proc. civ. (Cass. n. 24223 del 2015; Cass. n. 12695 del 2017).
Nel caso di specie, il Ministero della Giustizia ha proposto opposizione al decreto monitorio per conseguire la declaratoria di inefficacia del decreto opposto per mancata notifica nel termine di cui all’art. 5, comma 2, legge n. 89 del 2001 (v. atto di op posizione riportato in ricorso alle pp. 7-8) e tanto basta a decretare la mera irregolarità della notifica (sanabile, appunto, con la rimessione in termini in applicazione dell’art. 4 legge n. 260 del 1958) non sussistendo -come sopra detto -la totale mancanza ovvero l’inesistenza giuridica della notificazione.
5. In definitiva, il Collegio dichiara il ricorso infondato.
Liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi antistatario.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, le parti ricorrenti devono essere, inoltre, condannate al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ. (disposizione che trova applicazione anche nei confronti della P.A.), sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod.
proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende v. Cass., Sez. Un., n. 27195/2023). A tal proposito, ritiene il Collegio che non ha pregio quanto affermato dai ricorrenti nella memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., ove si sostiene che la proposta di definizione anticipata ex art. 380bis formulata dal Consigliere Delegato esprime un principio di diritto innovativo rispetto al quale non vi sono precedenti e che gli orientamenti giurisprudenziali richiamati nel decreto impugnato, poiché privi di alcun collegamento concreto con la fattispecie di cui al presente ricorso, non potranno certamente costituire il percorso argomentativo idoneo a sorreggere il rigetto del ricorso, dovendo quest’ultimo eventualmente confrontarsi con le argomentazioni formulate in sede di impugnazione portate all’attenzione del Collegio, sì che non debbano essere applicate le sanzioni processuali previste dall’art. 96, commi 3 e 4, stante la certa non conformità del giudizio definito alla proposta.
Con riferimento a tale tesi, sia sufficiente qui ricordare, riassumendo quanto argomentato nella proposta di definizione accelerata, che: l’erronea individuazione dell’organo dell’amministrazione statale legittimato a resistere rappresenta una mera irregol arità; l’incompatibilità della struttura del procedimento di equa riparazione con l’applicabilità dell’art. 4 legge n. 260 del 1958; l’improponibilità dell’opposizione ex art. 5 -ter legge n. 89 del 2001 al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia del decreto in conseguenza della nullità o irregolarità della sua notificazione, sono tutte tesi confutate dal Consigliere Delegato (e riprese nel presente giudizio) sulla base della richiamata giurisprudenza consolidata.
Tanto basta ad escludere che la proposta di definizione accelerata possa rappresentare una «novità», dalla quale discenderebbe la necessaria difformità della presente motivazione dalla proposta del
Consigliere Delegato, fino ad impedire l’applicazione dell’art. 96, commi 3 e 4.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna le Amministrazioni ricorrenti al pagamento in solido delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 1.100,00 per compensi, oltre ad €. 100,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%, con distrazione in favore del difensore, avvocato NOME COGNOME dichiaratosi antistatario;
condanna, altresì, le Amministrazioni ricorrenti al pagamento in solido, a favore del controricorrente ed ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., della somma equitativamente determinata nella misura di €. 1.100,00, nonché al pagamento in solido, i n favore della Cassa delle ammende ed in applicazione dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ., della somma di €. 600,00.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda