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Natura retributiva obbligo: cessione d’azienda nulla

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3505/2024, ha ribadito un principio cruciale in materia di cessione di ramo d’azienda dichiarata illegittima. Il caso riguarda una lavoratrice che, dopo la declaratoria di nullità del trasferimento, ha offerto la propria prestazione lavorativa all’originario datore di lavoro (cedente), il quale l’ha rifiutata. La Corte ha confermato che le somme dovute dal datore di lavoro cedente hanno natura retributiva e non risarcitoria. Di conseguenza, lo stipendio percepito dalla lavoratrice presso il datore di lavoro cessionario non può essere detratto, consolidando un orientamento a tutela del lavoratore.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Natura Retributiva dell’Obbligo del Datore di Lavoro in caso di Cessione d’Azienda Illegittima

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale a tutela dei lavoratori coinvolti in operazioni di cessione di ramo d’azienda dichiarate illegittime. La questione centrale è se le somme dovute dall’originario datore di lavoro, dopo la dichiarazione di nullità del trasferimento, abbiano una natura retributiva o meramente risarcitoria. La risposta a questa domanda ha implicazioni significative, in particolare sulla possibilità di detrarre eventuali stipendi percepiti dal lavoratore presso l’azienda cessionaria. Analizziamo la decisione per comprenderne la portata.

I Fatti di Causa: La Cessione Dichiarata Nulla

Il caso trae origine da una cessione di ramo d’azienda che, in un precedente giudizio, era stata dichiarata nulla. A seguito di tale sentenza, una lavoratrice aveva formalmente messo a disposizione le proprie energie lavorative all’azienda cedente, la quale, tuttavia, si era rifiutata di riammetterla in servizio. Nel frattempo, la lavoratrice aveva continuato a prestare la propria attività lavorativa per l’azienda cessionaria, percependo da quest’ultima la retribuzione.

La lavoratrice ha quindi agito in giudizio contro l’originario datore di lavoro per ottenere il pagamento delle retribuzioni maturate dal momento della messa in mora. I tribunali di primo e secondo grado hanno accolto la sua richiesta. L’azienda cedente ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che l’obbligazione a suo carico dovesse avere natura risarcitoria e che, pertanto, dall’importo dovuto si dovesse detrarre quanto già percepito dalla lavoratrice presso l’altro datore di lavoro (il cosiddetto aliunde perceptum).

La questione della natura retributiva dell’obbligo

Il cuore del dibattito legale verteva sulla qualificazione giuridica delle somme richieste. Se fossero state considerate un risarcimento del danno, sarebbe stato logico e corretto sottrarre i guadagni che la lavoratrice aveva comunque ottenuto lavorando per l’altra società. Se, invece, avessero avuto una natura retributiva, tale detrazione non sarebbe stata possibile, in quanto si tratterebbe del corrispettivo dovuto per un rapporto di lavoro giuridicamente mai interrotto.

L’Orientamento Consolidato della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando l’orientamento ormai consolidato in materia. I giudici hanno stabilito che l’obbligazione del datore di lavoro cedente, che non riammette in servizio il lavoratore dopo la declaratoria di nullità della cessione, ha pacificamente natura retributiva.

Questo orientamento si fonda su un principio chiaro: la sentenza che accerta l’illegittimità della cessione ripristina ex tunc (cioè, con effetto retroattivo) il rapporto di lavoro con il cedente. Da quel momento, se il lavoratore offre la propria prestazione (costituendo in mora il datore di lavoro), il rifiuto di quest’ultimo di riceverla non può trasformare l’obbligo di pagare lo stipendio in un semplice obbligo di risarcire un danno.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha articolato le sue motivazioni richiamando la propria giurisprudenza pregressa, incluse pronunce delle Sezioni Unite. Ecco i punti salienti del ragionamento:

1. Persistenza del Rapporto di Lavoro: La nullità della cessione implica che il rapporto di lavoro con il cedente non si è mai legalmente interrotto. L’obbligo di pagare la retribuzione è la conseguenza diretta della continuità di tale rapporto.
2. Irrilevanza dell’Aliunde Perceptum: Poiché l’obbligazione ha natura retributiva e non risarcitoria, non trovano applicazione gli istituti della compensatio lucri cum damno e dell’aliunde perceptum. Lo stipendio percepito dal cessionario remunera un distinto rapporto di lavoro (di fatto), mentre quello dovuto dal cedente remunera il rapporto di lavoro (di diritto) che quest’ultimo si è illegittimamente rifiutato di far proseguire.
3. Mora del Creditore: Il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro (creditore della prestazione lavorativa) di accettare l’offerta del lavoratore (debitore) pone il primo in una situazione di mora. Secondo l’art. 1207 c.c., quando il creditore è in mora, è a suo carico l’impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore. In altre parole, il rischio della mancata esecuzione della prestazione ricade sul datore di lavoro inadempiente.
4. Tutela Effettiva: Riconoscere una mera tutela risarcitoria svuoterebbe di significato l’ordine giudiziale di ripristino del rapporto, incentivando il datore di lavoro a non adempiere, sapendo di poter beneficiare di una riduzione del dovuto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

La decisione della Cassazione consolida un importante baluardo a protezione dei diritti dei lavoratori. Le implicazioni pratiche sono notevoli:

* Per i lavoratori: In caso di cessione di ramo d’azienda dichiarata illegittima, il lavoratore ha diritto a percepire l’intera retribuzione dal datore di lavoro originario, a condizione che metta formalmente a disposizione la propria prestazione. Lo stipendio eventualmente percepito lavorando per il cessionario non potrà essere detratto.
* Per le aziende cedenti: La sentenza agisce come un forte disincentivo a rifiutare la riammissione in servizio dei lavoratori dopo una pronuncia di nullità. L’azienda si troverebbe a dover pagare integralmente le retribuzioni senza ricevere in cambio la prestazione lavorativa, subendo un doppio onere economico.

In definitiva, la Corte ha scelto di dare prevalenza alla continuità giuridica del rapporto di lavoro e all’effettività della tutela giurisdizionale, confermando che l’obbligo del datore inadempiente mantiene la sua originaria natura retributiva.

Se una cessione di ramo d’azienda è dichiarata nulla, l’obbligo di pagamento dell’originario datore di lavoro è considerato stipendio o risarcimento del danno?
Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligazione ha natura retributiva. La nullità della cessione ripristina legalmente il rapporto di lavoro con il datore di lavoro cedente, e le somme dovute sono considerate il corrispettivo per tale rapporto.

Lo stipendio che il lavoratore ha continuato a percepire dal nuovo datore (cessionario) può essere detratto da quanto gli deve il datore originario (cedente)?
No. Poiché l’obbligazione del cedente ha natura retributiva e non risarcitoria, non si applicano i principi di compensazione del danno (come l’aliunde perceptum). I due pagamenti remunerano due rapporti distinti: uno giuridicamente ripristinato con il cedente e uno di fatto proseguito con il cessionario.

Qual è l’importanza dell’offerta della prestazione lavorativa da parte del lavoratore?
È un atto fondamentale. Offrendo formalmente la propria prestazione, il lavoratore costituisce in mora il datore di lavoro (creditore). Il rifiuto ingiustificato di quest’ultimo a ricevere la prestazione fa sì che l’obbligo di pagare la retribuzione persista, anche se il lavoro non viene effettivamente svolto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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