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NASpI lavoro carcerario: sì al sussidio per i detenuti

La Corte di Cassazione ha stabilito che i detenuti hanno diritto alla NASpI per lavoro carcerario quando il loro contratto a termine scade. La cessazione è considerata involontaria, equiparando il lavoro in carcere a quello libero ai fini previdenziali, respingendo le tesi dell’Ente Previdenziale.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

NASpI Lavoro Carcerario: La Cassazione Estende la Tutela ai Detenuti

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande rilevanza sociale e giuridica: il diritto alla NASpI per lavoro carcerario. Con una decisione che rafforza l’equiparazione tra il lavoro svolto in carcere e quello nel mercato libero, i giudici hanno confermato che la scadenza di un contratto a termine per un lavoratore detenuto costituisce disoccupazione involontaria, dando pieno diritto all’indennità. Analizziamo questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Il Contratto a Termine in Carcere

Il caso ha origine dal ricorso di un ente previdenziale contro la decisione della Corte d’Appello di Torino, che aveva riconosciuto il diritto alla NASpI a un ex detenuto. Quest’ultimo aveva lavorato durante la sua detenzione presso una Casa Circondariale con un contratto a tempo determinato. Alla scadenza naturale del contratto, l’ente previdenziale gli aveva negato l’indennità di disoccupazione, sostenendo che la cessazione del rapporto non potesse considerarsi “involontaria”. Secondo l’ente, il lavoro penitenziario segue logiche diverse da quelle di mercato, essendo finalizzato alla rieducazione e basato su criteri di rotazione tra i detenuti. Inoltre, lo stato di detenzione renderebbe il soggetto indisponibile al collocamento nel mercato del lavoro, un requisito essenziale per la prestazione.

La Decisione della Corte e il Diritto alla NASpI per Lavoro Carcerario

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso dell’ente, confermando la sentenza di merito. La decisione si fonda su un’interpretazione evolutiva della normativa sul lavoro penitenziario, che riconosce ai detenuti lavoratori un nucleo essenziale di diritti e tutele, comprese quelle previdenziali.

L’Equiparazione tra Lavoro Libero e Lavoro Penitenziario

La Corte ha ribadito che, nonostante le peculiarità legate all’ambiente carcerario (finalità rieducativa, modalità di assegnazione), il lavoro intramurario deve essere considerato un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato. L’evoluzione normativa e giurisprudenziale ha progressivamente eroso il carattere di “specialità” di questo rapporto, riconoscendo diritti fondamentali come la retribuzione, il riposo e, appunto, la “tutela assicurativa e previdenziale”, esplicitamente prevista dalla legge sull’ordinamento penitenziario (L. 354/1975).

Il Requisito dell’Involontarietà della Disoccupazione

Il punto centrale della controversia era stabilire se la scadenza di un contratto a termine in carcere configurasse una perdita involontaria del lavoro. La Cassazione ha risposto affermativamente, chiarendo che l’involontarietà si verifica ogni volta che la cessazione del rapporto è riconducibile alla sfera di iniziativa del datore di lavoro. La scadenza di un contratto a termine, anche se prevista, rientra in questa casistica, poiché non dipende da una manifestazione di volontà del lavoratore (come le dimissioni). Il fatto che il datore di lavoro sia l’amministrazione penitenziaria e non persegua scopi di lucro è stato ritenuto irrilevante, così come la circostanza che i posti vengano assegnati a rotazione per garantire opportunità a più detenuti.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

Le motivazioni della Corte si basano su diversi pilastri argomentativi. In primo luogo, si sottolinea che la funzione rieducativa della pena, sancita dalla Costituzione, viene rafforzata proprio quando il lavoro carcerario è reso il più possibile simile a quello “libero”, con tutte le garanzie e tutele connesse. Negare la NASpI creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento.

In secondo luogo, i giudici hanno evidenziato una contraddizione nella posizione dell’ente previdenziale: l’amministrazione penitenziaria versa regolarmente i contributi per la disoccupazione per i lavoratori detenuti. Sarebbe illogico pretendere il versamento di contributi senza poi riconoscere la prestazione corrispondente in caso di perdita del lavoro. Infine, la Corte ha smontato l’argomento dell’indisponibilità al collocamento, precisando che le procedure interne di assegnazione al lavoro tramite graduatorie assolvono a una funzione analoga a quella dei centri per l’impiego esterni, rendendo compatibile lo stato di detenzione con i requisiti per la NASpI.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un principio di civiltà giuridica: il lavoro è sempre lavoro, e deve essere tutelato in ogni sua forma. Le implicazioni pratiche sono significative: i detenuti che perdono il lavoro per cause non dipendenti dalla loro volontà, come la scadenza di un contratto, hanno pieno diritto a ricevere l’indennità di disoccupazione. Questa decisione non solo garantisce un sostegno economico fondamentale ma rafforza anche il percorso di reinserimento sociale, riconoscendo dignità e diritti a chi, pur trovandosi in stato di detenzione, partecipa attivamente al mondo del lavoro.

Un detenuto ha diritto all’indennità di disoccupazione (NASpI) se il suo contratto di lavoro a termine in carcere scade?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che la scadenza di un contratto di lavoro a termine durante la detenzione configura una perdita involontaria dell’occupazione e dà diritto alla prestazione NASpI, a condizione che sussistano gli altri requisiti di legge.

La cessazione di un contratto di lavoro a termine per un detenuto è considerata “disoccupazione involontaria”?
Sì. Secondo la Corte, la condizione di disoccupazione involontaria si realizza quando la perdita del lavoro è riconducibile all’iniziativa o alla sfera di influenza del datore di lavoro. La scadenza di un contratto a termine rientra in questa categoria, poiché non dipende da una libera scelta del lavoratore.

Il fatto che il lavoro in carcere abbia una finalità rieducativa esclude le tutele previdenziali come la NASpI?
No, al contrario. La Corte ha affermato che la funzione rieducativa del lavoro carcerario è tanto più efficace quanto più il rapporto è equiparato a quello dei lavoratori liberi, comprese le tutele assicurative e previdenziali. La finalità rieducativa non diminuisce, ma anzi rafforza, la necessità di garantire i diritti del lavoratore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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