LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

NASpI e partita IVA: diritto se l’attività è inattiva

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2402/2025, ha stabilito che la mera titolarità di una partita IVA non preclude il diritto a percepire l’indennità di disoccupazione NASpI, se non corrisponde a un’effettiva attività lavorativa autonoma. Il ricorso dell’ente previdenziale è stato dichiarato inammissibile perché non contestava il punto cruciale della decisione di merito: l’assenza di qualsiasi attività produttiva di reddito da parte del lavoratore, rendendo irrilevante la questione sulla comunicazione di un’attività inesistente. Il principio chiave è che conta la sostanza (l’attività effettiva) e non la forma (la titolarità della partita IVA).

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

NASpI e Partita IVA Inattiva: Quando Spetta l’Indennità?

La compatibilità tra la percezione dell’indennità di disoccupazione e la titolarità di una posizione fiscale autonoma è un tema che genera frequenti dubbi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto fondamentale: la mera esistenza di una partita IVA non è sufficiente a negare il diritto alla NASpI e partita IVA può coesistere, a condizione che l’attività autonoma sia di fatto inesistente. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Una lavoratrice, dopo la cessazione del suo rapporto di lavoro subordinato, presentava domanda per ottenere l’indennità NASpI. L’ente previdenziale respingeva la richiesta, sostenendo che la richiedente fosse titolare di una partita IVA e risultasse amministratrice unica di una società.

La lavoratrice si opponeva, dimostrando che la società era inattiva da molti anni e che, di conseguenza, non percepiva alcun reddito da tale posizione. La sua unica fonte di reddito era il lavoro dipendente ormai cessato. La Corte d’Appello le dava ragione, riconoscendo il suo diritto all’indennità.

L’ente previdenziale, non soddisfatto, ricorreva in Cassazione, basando la sua argomentazione sulla violazione degli obblighi di comunicazione: secondo l’ente, la lavoratrice avrebbe dovuto comunicare la sua situazione, e non facendolo era decaduta dal diritto.

La Questione Giuridica: NASpI e Partita IVA sono compatibili?

La normativa sulla NASpI (D.Lgs. 22/2015) stabilisce che il percettore dell’indennità che intraprende un’attività lavorativa autonoma deve comunicarlo all’ente previdenziale entro un mese, pena la decadenza dal beneficio. Il punto controverso era se tale obbligo si applicasse anche a chi è titolare di una partita IVA formalmente aperta ma del tutto inattiva e non produttiva di reddito.

L’ente previdenziale sosteneva una lettura formale della norma: la presenza di una partita IVA implica un’attività autonoma, e l’omessa comunicazione comporta automaticamente la perdita del diritto. La difesa della lavoratrice, invece, puntava sulla sostanza: senza un’attività effettiva, non c’è nulla da comunicare.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’ente previdenziale inammissibile, centrando il punto focale della questione. I giudici hanno spiegato che l’argomentazione dell’ente era viziata in partenza perché non si confrontava con il nucleo della decisione della Corte d’Appello (il cosiddetto decisum).

La Corte d’Appello non aveva discusso sulla tempestività della comunicazione, ma aveva accertato un fatto preliminare e decisivo: l’assoluta inesistenza di un’attività lavorativa autonoma. La lavoratrice era mera titolare di una partita IVA e amministratrice di una società inattiva da anni.

La Cassazione ha chiarito che il presupposto per l’obbligo di comunicazione, e per la conseguente decadenza in caso di omissione, è lo svolgimento effettivo di un’attività lavorativa autonoma o d’impresa. Non è sufficiente il dato puramente formale della titolarità di una partita IVA. Se non c’è attività, non c’è reddito (neanche potenziale) e, quindi, non sorge alcun obbligo di comunicazione.

In altre parole, l’ente avrebbe dovuto dimostrare che la lavoratrice stava effettivamente lavorando in proprio, ma non lo ha fatto. Il suo ricorso, incentrato solo sulla violazione formale dell’obbligo di comunicazione, ignorava la questione principale e per questo è stato respinto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un chiarimento di grande importanza per molti lavoratori. La compatibilità tra NASpI e partita IVA dipende dalla realtà dei fatti, non dalle apparenze formali.

1. Conta l’attività effettiva: Il diritto alla NASpI non viene meno per la semplice titolarità di una partita IVA, se questa è legata a un’attività completamente dormiente e non produttiva di reddito.
2. Onere della prova: Spetta all’ente previdenziale dimostrare che il richiedente stia svolgendo un’attività autonoma effettiva. La sola iscrizione fiscale non è una prova sufficiente.
3. Tutela del disoccupato: La decisione tutela chi, pur avendo in passato avviato un’attività autonoma poi interrotta di fatto, si trova in uno stato di disoccupazione genuina derivante dalla perdita di un lavoro dipendente.

In conclusione, i lavoratori che si trovano in questa situazione possono legittimamente richiedere la NASpI, a patto di poter dimostrare che la loro partita IVA è solo un guscio vuoto, privo di qualsiasi attività economica reale.

La semplice titolarità di una partita IVA esclude automaticamente il diritto alla NASpI?
No. Secondo la Corte, ciò che rileva è lo svolgimento effettivo di un’attività lavorativa autonoma che possa produrre reddito. La mera titolarità formale di una partita IVA collegata a un’attività inattiva non è sufficiente a escludere il diritto all’indennità.

Chi deve dimostrare che un’attività autonoma è effettivamente svolta?
L’onere della prova ricade sull’ente previdenziale. Nel caso esaminato, l’istituto avrebbe dovuto dimostrare che, oltre alla titolarità formale della partita IVA, la persona svolgeva concretamente un’attività lavorativa autonoma, cosa che non è avvenuta.

L’obbligo di comunicare all’ente previdenziale lo svolgimento di attività autonoma sorge anche se l’attività non produce reddito?
La sentenza chiarisce che il presupposto per l’obbligo di comunicazione è lo ‘svolgimento di attività lavorativa autonoma o d’impresa’. Se non c’è alcuna attività effettiva, non sorge nemmeno l’obbligo di comunicazione e il conseguente rischio di decadenza dal beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati