Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19638 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 19638 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 18208-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 19/2021 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 29/01/2021 R.G.N. 239/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
R.G.N. 18208/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 11/02/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’attuale intimato aveva chiesto il ripristino del trattamento NASpI, già riconosciutogli con decorrenza 24.1.2019 a seguito di licenziamento, atteso che lamentava che l’INPS ave va interrotto il pagamento della prestazione per essersi egli ricollocato dall’8/4/2019, con instaurazione di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato di 12 mesi con la S.p.A. RAGIONE_SOCIALE rapporto terminato tuttavia, dopo soli 5 mesi per licenziamento per mancato superamento del periodo di prova.
L’INPS aveva denegato il ripristino della prestazione sul presupposto che la cessazione anticipata del rapporto di durata, inizialmente pattuita in oltre sei mesi, aveva comportato la decadenza della prestazione.
Il thema decidendum concerne, pertanto, la decadenza o meno dal diritto all’indennità NASpI nel caso in cui, come nella specie , l’assicurato abbia instaurato un nuovo rapporto di lavoro di durata superiore a sei mesi (dodici mesi), con reddito annuale superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale -sebbene con stipulazione di un patto di prova -ed il datore di lavoro abbia intimato il recesso unilaterale prima della scadenza del predetto termine per mancato superamento del periodo di prova.
La Corte di merito, confermando la decisione di prime cure, ha interpretato l’art. 9, primo comma, del d. lgs.
22/2015, nel rispetto delle finalità di solidarietà sociale e del principio di semplificazione e buon andamento dell’azione amministrativa, nel senso che la decadenza dalla prestazione si verifica solo allorché siano decorsi sei mesi di attività lavorativa subordinata rilevando non già la durata prestabilita nel contratto sibbene l’effettiva durata del rapporto di lavoro, nella specie per meno di sei mesi, periodo durante il quale la legge prevedeva espressamente una sospensione della prestazione a tutela del beneficiario.
Avverso tale sentenza ricorre l’INPS, con ricorso, ulteriormente illustrato con memoria, affidato ad un unico motivo
COGNOME NOME ha resistito con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria.
All’esito dell’infruttuosa trattazione camerale, il ricorso è stato avviato alla pubblica udienza.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte nel senso dell’accoglimento del ricorso .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Sulle premesse giuridiche del ragionamento della Corte d’appello verte l’unico motivo di ricorso , con il quale contrariamente al convincimento espresso dalla Corte, si assume che la corretta interpretazione dell’art. 9, primo comma, del d. lgs. n. 22/2015, in conformità con la funzione e la ratio dell’indennità di disoccupazione c.d. NASpI, implica che la decadenza in esame discende dal solo fatto che, come nel caso di specie, l’assicurato instauri un rapporto di lavoro dipendente di durata prestabilita, prevista contrattualmente, superiore a sei mesi (e con retribuzione su base annuale, in astratto, stabilita dal contratto superiore al reddito minimo escluso da imposizione), a nulla rilevando -ai fini del
disposto dell’art. 9, comma primo, del d. lgs. n. 22 cit. -le concrete vicende del rapporto di lavoro e la concreta
durata dell’attività lavorativa svolta.
Le censure sono infondate.
L’articolo 9 del d.lgs. n.22 del 2015, nel testo applicabile ratione temporis, rubricato ‘Compatibilita’ con il rapporto di lavoro subordinato’ dispone , al comma 1 che: «Il lavoratore che durante il periodo in cui percepisce la NASpI instauri un rapporto di lavoro subordinato il cui reddito annuale sia superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale decade dalla prestazione, salvo il caso in cui la durata del rapporto di lavoro non sia superiore a sei mesi. In tale caso la prestazione e’ sospesa d’ufficio per la durata del rapporto di lavoro. La contribuzione versata durante il periodo di sospensione e’ utile ai fini di cui agli articoli 3 e 5».
Segue il comma 2, del seguente tenore: «Il lavoratore che durante il periodo in cui percepisce la NASpI instauri un rapporto di lavoro subordinato il cui reddito annuale sia inferiore al reddito minimo escluso da imposizione conserva il diritto alla prestazione, ridotta nei termini di cui all’articolo 10, a condizione che comunichi all’INPS entro trenta giorni dall’inizio dell’attività il reddito annuo previsto e che il datore di lavoro o, qualora il lavoratore sia impiegato con contratto di somministrazione, l’utilizzatore, siano diversi dal datore di lavoro o dall’utilizzatore per i quali il lavoratore prestava la sua attivita’ quando e’ cessato il rapporto di lavoro che ha determinato il diritto alla NASpI e non presentino rispetto ad essi rapporti di collegamento o di controllo ovvero assetti proprietari sostanzialmente coincidenti.
La contribuzione versata e’ utile ai fini di cui agli articoli 3 e 5».
L’ interpretazione letterale della disposizione, anche in combinato disposto con l’art. 11 che disciplina la perdita dello stato di disoccupazione, orienta la lettura della disciplina prevista dal comma 1 nel senso che con l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato il legislatore abbia inteso far riferimento alle concrete modalità del rapporto lavorativo introducendo la ‘sanzione’ della decadenza dalla prestazione accompagnata dall’eccezione della durata non ultrasemestrale del rapporto di lavoro.
Al tal fine, la deroga alla decadenza con previsione d’ufficio della sospensione per la durata del rapporto di lavoro, implica che la valorizzazione del predetto segmento temporale avvenga ex post tenuto conto delle concrete modalità attuative del rapporto.
Del resto, il successivo comma 2 introduce normazione riferita al rapporto di lavoro subordinato dal quale derivi un reddito annuale inferiore al reddito minimo escluso da imposizione, con la previsione della conservazione del diritto a prestazione ridotta, subordinando il diritto alla prestazione parziale ad oneri di comunicazione che l’assicurato è tenuto ad assolvere .
Dunque, in entrambe le previsioni il precetto è riferito all’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, non evincendosi elementi tali da condividere la prospettazione dell’INPS secondo cui la decadenza discende dal solo fatto che l’assicurato instauri un rapporto di lavoro dipendente di durata prestabilita, prevista contrattualmente, superiore a sei mesi e con retribuzione su base annuale, in astratto, stabilita dal
contratto superiore al reddito minimo escluso da imposizione.
La valorizzazione del l’effettiva durata del rapporto di lavoro si ricava proprio dall’ espressa previsione della sospensione della prestazione, a tutela del beneficiario, nel corso del rapporto infrasemestrale (art.19, comma3, d.lgs.n.150 cit.), la cui ratio è rivolta a non onerare il lavoratore, rimasto involontariamente senza occupazione prima della scadenza del contratto ed entro i sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro, della presentazione di una nuova istanza soggetta a rigorosi termini di decadenza e ai tempi di definizione.
Nondimeno vale rimarcare che la decadenza è prevista per la perdita dello stato di disoccupazione – art.11, comma 1, lett. a), d.lgs. n.22 cit. – e la previsione di un’ulteriore ipotesti decadenziale confliggerebbe con il principio secondo cui in materia di prestazioni e benefici previdenziali opera il generale principio di tipicità e tassatività della singola disposizione, correlato a ragioni di compatibilità di finanza pubblica, principio che non consente di estendere i casi di esclusione o di perdita dei benefici ad ipotesi e fattispecie diverse da quelle in essa espressamente contemplate (v., fra tante, Cass. n. 2967 del 2018).
Nessun rilievo assumono i precedenti citatati dall’ente previdenziale per corroborare la prospettazione difensiva illustrata: Cass. n. 34894 del 2024 involge la diversa disciplina dell’ASpI, contenuta nell’art. 2, co.14 e 15 L. n.92/12 e nell’art. 1, co.2, lett. c) D.Lgs. n.181/00, che non menziona affatto il limite reddituale ai fini dello stato di disoccupazione; neanche Cass. n. 1049 del 2024 ha trattato funditus il tema ora all’esame . 20. In conclusione, il ricorso è rigettato.
La mancanza di precedenti giurisprudenziali sul tema trattato consiglia la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, spese compensate. Ai sensi dell’art.13,co.1 -quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11