Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8926 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 8926 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25859/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dagli Avv.ti NOME COGNOME, COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura Centrale in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 741/2018 della Corte d’Appello di Roma, depositata in data 02.03.2018, N.R.G. 2711/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20.02.2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME.
OGGETTO: PUBBLICO IMPIEGO
RILEVATO CHE
La Corte di Appello di Roma, in accoglimento del gravame proposto da NOME COGNOME, ha riformato la sentenza emessa dal Tribunale, che aveva revocato il decreto con cui all’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE era stato ingiunto il pagamento in favore del medesimo della somma di € 17.151,00 a titolo di emolumenti per ferie e festività soppresse a lui spettanti all’atto di cessazione del rapporto intercorso con l’RAGIONE_SOCIALE in qualità di dirigente dal giugno 1972 al marzo 2012, ed ha rigettato l’opposizione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE avverso il suddetto decreto.
La Corte territoriale ha osservato che in forza dell’art. 5 del d.l. n. 95/2012, le disposizioni normative o contrattuali più favorevoli sono cessate dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto (7.7.2012), ed ha per tali ragioni ritenuto sussistente il diritto del COGNOME, cessato dal servizio per sopraggiunti limiti di età in epoca anteriore, alla monetizzazione delle ferie e delle festività soppresse non godute.
Ciò premesso, ha evidenziato che secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 95/2016 (la quale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95/2012 con riferimento agli artt. 3, 36, commi primo e terzo, e 117, primo comma, Cost.) il divieto di monetizzazione è correlato a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile ad una scelta o ad un comportamento del lavoratore quali dimissioni o risoluzione, o ad eventi quali la mobilità, il pensionamento, il raggiungimento dei limiti di età, che consentono di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito ai periodi di riposo.
Richiamata la giurisprudenza di legittimità che riconosce al lavoratore il diritto ad un’indennità per le ferie non godute per causa a lui non imputabile anche quando difetti un’esplicita previsione negoziale in tal senso, ovvero quando la normativa settoriale formuli il divieto di monetizzazione, ha rilevato la mancata deduzione, da parte dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, di una responsabilità del COGNOME per la mancata fruizione delle ferie; ha dunque rilevato che nel caso di specie il rapporto era cessato per sopraggiunti limiti di età ed ha ritenuto che il breve lasso di tempo tra il 22.3.2012 (data della comunicazione della cessazione del rapporto da parte dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE) e la cessazione del rapporto (1.4.2012), non avrebbe consentito al medesimo di fruire delle ferie e festività non godute.
5 . Per la cassazione della sentenza di appello l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso prospettando due motivi, illustrati da memoria
NOME COGNOME ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95/2012, conv. dalla legge n. 135/2012.
Evidenzia che la Corte territoriale ha di fatto ritenuto applicabile l’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95/2012, conv. dalla legge n. 135/2012, ma ha escluso che nel caso di specie operi il divieto di monetizzazione, in quanto non ha ravvisato una condotta colpevole del lavoratore.
Critica la sentenza impugnata per contraddittorietà ed illogicità, lamentando che non ha recepito le avverse argomentazioni sull’inapplicabilità ratione temporis dell’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95/2012, conv. dalla legge n. 135/2012 e che non ha dato piena applicazione alla suddetta norma.
Aggiunge che il pensionamento ed il raggiungimento dei limiti di età rientrano tra gli eventi che impongono al lavoratore di pianificare per tempo il godimento delle ferie maturate e che l’RAGIONE_SOCIALE non era tenuto a comunicare alcun preavviso al COGNOME, collocato a riposo per raggiunti limiti di età con decorrenza dal 1.4.2012.
Sostiene che la mancata richiesta delle ferie prima del pensionamento, da parte del COGNOME, integra gli estremi della condotta colposa che esclude la monetizzazione; evidenzia che il lavoratore aveva chiesto di pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie solo in data 6.3.2014, dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 95/2012.
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95/2012, conv. dalla legge n. 135/2012, dell’art. 1 legge n. 937/1977 e dell’art. 18, comma 6, CCNL EPNE 6.7.1995.
Addebita alla Corte territoriale di avere argomentato solo in ordine alla spettanza dell’indennità sostitutiva delle ferie e di non avere affrontato la questione relativa alla spettanza dell’importo riguardante le festività soppresse; critica la sentenza impugnata per avere erroneamente accomunato ferie e festività soppresse.
Evidenzia che ai sensi dell’art. 18, comma 6, del CCNL 6.7.1995, le festività soppresse vanno utilizzate alle condizioni previste dalla legge n. 937/1977; richiama l’orientamento applicativo dell’ARAN del 30.5.2017, secondo cui le quattro giornate di riposo devono essere richieste e fruite nell’anno solare di maturazione, fermo restando che non possono essere retribuite, non essendo possibile ricorrere all’istituto della monetizzazione per effetto della legge n. 95/2012.
Il primo motivo è infondato.
In disparte i profili di inammissibilità del motivo, che tende alla rivisitazione del fatto attraverso l’accertamento del carattere colposo della condotta del COGNOME e deduce la contraddittorietà della motivazione, deve rilevarsi che la sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 30558/2022; Cass. n. 21780/2022; Cass. n. 18140/2022; Cass. n. 13613/2020).
L’art. 5 comma 8 del d.l. n. 95/2012 così prevede: ” Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché le autorità indipendenti ivi inclusa la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile “.
Come affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza Max Planck (CGUE del 6 novembre 2018, C 684/16) l’estinzione del diritto maturato da un lavoratore alle ferie annuali retribuite o del suo correlato diritto al pagamento di un’indennità per le ferie non godute in caso di cessazione del rapporto di lavoro, senza che l’interessato abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare detto diritto alle ferie annuali retribuite, arrecherebbe pregiudizio alla sostanza stessa del diritto medesimo (v., in tal senso, sentenza del 19 settembre 2013, Riesame RAGIONE_SOCIALE/ Strade, C-579/12).
In particolare, la Corte ha evidenziato che quando il rapporto di lavoro è cessato e la fruizione effettiva delle ferie annuali retribuite non è più possibile, l’art. 7, par. 2 dir. 2003/1988 riconosce il diritto ad una indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali non goduti: tale norma osta a disposizioni o pratiche nazionali le quali prevedano che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non sia versata alcuna indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute al lavoratore, il quale non può più fruire delle ferie annuali cui ha diritto prima della cessazione del rapporto di lavoro.
Secondo la Corte di giustizia una perdita automatica del diritto alle ferie si traduce, tout court , in una lesione della sfera giuridica soggettiva de dipendente, in quanto parte debole del rapporto di lavoro.
Questa Corte (Cass. n. 13613/2020) si è già confrontata con i principi enunciati dal giudice dell’Unione, affermando che nel pubblico impiego privatizzato, anche in caso di
qualifica dirigenziale, il dipendente ha diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute alla cessazione del rapporto di lavoro, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto alle ferie annuali retribuite mediante un’a deguata informazione (nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo) nel contempo rendendolo edotto, in modo accurato ed in tempo utile, della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie retribuite ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro.
Nell’esaminare la disciplina di legge e di contratto collettivo delle ferie dei docenti a termine della scuola, questa Corte ha inoltre affermato che in nessun caso il docente potrebbe perdere il diritto alla indennità sostitutiva delle ferie se non dopo essere stato invitato dal datore di lavoro a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie ed alla indennità sostitutiva; si è aggiunto che siffatte condizioni possono essere ricondotte in via interpretativa al testo dell’articolo 5, comma 8, d.l. n. 95/2012, in quanto esse costituiscono il presupposto della imputabilità al lavoratore del mancato godimento delle ferie (Cass. n. 14268/2022).
Si è dunque chiarito che dall’interpretazione del diritto interno conforme al diritto dell’Unione:
le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale ed irrinunziabile del lavoratore e correlativamente un obbligo del datore di lavoro; il diritto alla indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro è intrinsecamente collegato alle ferie annuali retribuite;
è il datore il soggetto tenuto a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concedere le ferie annuali retribuite, dovendo sul punto darsi continuità al principio affermato da Cass. n. 15652/2018;
la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova: di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente -; di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad assicurare il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato’ (Cass. n. 23153/2022; Cass. n. 21780/2022).
La Corte Costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95/2012 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), con sentenza n. 95/2016, quanto al dato letterale, ha in primo luogo ritenuto che non è priva di significato la circostanza che il legislatore correli il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni,
risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie.
Secondo la Corte, il dato testuale è coerente con le finalità della disciplina restrittiva, che si prefigge di reprimere il ricorso incontrollato alla “monetizzazione” delle ferie non godute.
Affiancata ad altre misure di contenimento della spesa, la disciplina in questione mira a riaffermare la preminenza del godimento effettivo delle ferie, per incentivare una razionale programmazione del periodo feriale e favorire comportamenti virtuosi delle parti nel rapporto di lavoro.
In questo contesto si inquadra il divieto rigoroso di corrispondere trattamenti economici sostitutivi, volto a contrastare gli abusi, senza arrecare pregiudizio al lavoratore incolpevole.
Questa interpretazione si colloca, secondo la Corte, nel solco tracciato dalle pronunce della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, che riconoscono al lavoratore il diritto di beneficiare di un’indennità per le ferie non godute per causa a lui non imputabile, anche quando difetti una previsione negoziale esplicita che consacri tale diritto, ovvero quando la normativa settoriale formuli il divieto di “monetizzare” le ferie (Cass. n. 1386/2020; Consiglio di Stato, sezione sesta n. 7360/2010).
Ad avviso del Giudice delle Leggi, quindi, così correttamente interpretata, la disciplina impugnata non pregiudica il diritto alle ferie, come garantito dalla Carta fondamentale (art. 36, comma terzo), dalle fonti internazionali (Convenzione dell’Organizzazione interRAGIONE_SOCIALE del lavoro n. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art. 31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, poi confluita nella direttiva n. 2003/88/CE, che interviene a codificare la materia).
Il diritto alle ferie, riconosciuto a ogni lavoratore, senza distinzioni di sorta (sentenza n. 189 del 1980), mira a reintegrare le energie psico-fisiche del lavoratore e a consentirgli lo svolgimento di attività ricreative e culturali, nell’ottica di un equilibrato «contemperamento delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore» (sentenza n. 66 del 1963).
Anche secondo la Corte costituzionale, la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha rafforzato i connotati di questo diritto fondamentale del lavoratore e ne ha ribadito la natura inderogabile, in quanto finalizzato a «una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute» ( ex plurimis , Corte di giustizia, sentenza 26 giugno 2001, in
causa C-173/99, BECTU, punti 43 e 44; Grande Sezione, sentenza 24 gennaio 2012, in causa C-282/10, Dolningue- nonché la richiamata RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE Plank).
La garanzia di un effettivo godimento delle ferie traspare, secondo prospettive convergenti, dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 297/1990 e n. 616/1987) e da quella europea (ex plurimis, Corte di giustizia, Grande Sezione, sentenza 20 gennaio 2009, in cause riunite C-350/106 e C-520/06, COGNOME e COGNOME ed altri).
Secondo la Corte, quindi, tale diritto inderogabile è violato se la cessazione dal servizio vanifichi, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore; sul punto anche la giurisprudenza sovraRAGIONE_SOCIALE è piuttosto chiara: il compenso per il mancato godimento serve a porre rimedio ad una situazione di svantaggio per la parte debole del contratto, essenzialmente nelle ipotesi in cui la fruizione del periodo di congedo sia stata impedita da malattia o morte o altra causa sopravvenuta non imputabile al lavoratore che, per il loro repentino insorgere, non consentissero la previa pianificazione del periodo feriale.
Tali condizioni ricorrono nel caso di specie, nel quale il rapporto ha effettivamente subito una repentina interruzione del proprio corso la cui causa, dovuta al l’entrata in vigore di una norma che non ha consentito la previa pianificazione del periodo feriale.
Deve infatti reputarsi centrale nella valutazione circa il mancato godimento delle ferie l’impossibilità, per causa sopravvenuta di pianificarne il godimento, impossibilità da cui discende necessariamente, in conformità con la giurisprudenza sovraRAGIONE_SOCIALE che molto se ne è occupata, il diritto a godere comunque della corrispondente indennità economica.
Nella specie, quindi, alla luce di una interpretazione costituzionalmente e conformemente orientata, deve, in particolare, farsi applicazione della decisione della Corte costituzionale che ha escluso, con una sentenza interpretativa di rigetto, l’illegittimità della norma soltanto ove interpretata nel senso di consentire il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi nelle fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie.
La Corte territoriale, avendo valorizzato la mancata deduzione, da parte dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, di una responsabilità del COGNOME nella mancata fruizione delle ferie, ed avendo rilevato che il breve lasso di tempo tra la comunicazione dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la cessazione del rapporto non avrebbe consentito al COGNOME di fruire delle ferie, è dunque conforme a tali principi.
4. Anche il secondo motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 1 della legge 937/1977, ‘ Ai dipendenti civili e militari delle pubbliche amministrazioni centrali e locali, anche con ordinamento autonomo, esclusi gli enti pubblici
economici, sono attribuite, in aggiunta ai periodi di congedo previsti dalle norme vigenti, sei giornate complessive di riposo da fruire nel corso dell’anno solare come segue:
due giornate in aggiunta al congedo ordinario;
quattro giornate, a richiesta degli interessati, tenendo conto delle esigenze dei servizi.
Le due giornate di cui al punto a) del precedente comma seguono la disciplina del congedo ordinario.
Le quattro giornate di cui al punto b) del primo comma non fruite nell’anno solare, per fatto derivante da motivate esigenze inerenti alla organizzazione dei servizi, sono forfettariamente compensate in ragione di £ 8.500 giornaliere lorde ‘.
L’art. 2 della legge 937/1977 dispone a sua volta: ‘ Le giornate di cui al punto b) dell’art. 1 sono attribuite dal funzionario che, secondo i vigenti ordinamenti, è responsabile dell’ufficio, reparto, servizio o istituto da cui il personale direttamente dipende.
Il funzionario responsabile di cui al precedente comma che per esigenze strettamente connesse alla funzionalità dei servizi (lavorazioni a turno, ciclo continuo o altre necessità dipendenti dalla organizzazione del lavoro) non abbia potuto attribuire nel corso dell’anno solare le giornate di cui al punto b) del primo comma dell’art. 1, dovrà darne motivata comunicazione al competente ufficio per la liquidazione del relativo compenso forfettario che dovrà essere effettuata entro il 31 gennaio.
L’indebita attribuzione e liquidazione del compenso forfettario comporta diretta responsabilità personale dei funzionari che l’hanno disposta ‘.
Tale disposizione prevede dunque che le quattro giornate di riposo relative alle festività soppresse si aggiungono al congedo ordinario, e devono essere necessariamente fruite nel corso dell’anno solare.
Diversamente da quanto sostenuto dall’RAGIONE_SOCIALE, è prevista la monetizzazione di tali giornate con specifici presupposti e modalità; la monetizzazione può infatti avvenire solo in presenza di ‘motivate esigenze inerenti alla organizzazione dei servizi ‘ (che il responsabile dell’ufficio, reparto, servizio o istituto è tenuto a verificare, con sua diretta responsabilità in caso di indebita attribuzione e liquidazione del rimborso), e con un compenso forfettario.
L’art. 18, comma 6, del CCNL EPNE quadriennio normativo 1994-1997 e biennio economico 1994-1995 prevede a sua volta: ‘6. A tutti i dipendenti sono altresì attribuite 4 giornate di riposo da fruire nell’anno solare ai sensi ed alle condizioni previste dalla legge 23 dicembre 1977, n. 937. E’ altresì considerata giorno festivo la ricorrenza del Santo Patrono della località in cui il dipendente presta servizio, purché ricadente in giorno lavorativo ‘, mentre i successivi comma 12 e 13 così prevedono: ‘ 12. In caso di indifferibili esigenze di servizio che non abbiano reso possibile il godimento delle ferie nel corso dell’anno, la frizione delle ferie deve avvenire entro il primo semestre dell’anno successivo. 13. In caso di motivate esigenze di carattere personale e compatibilmente con le esigenze
di servizio, il dipendente dovrà fruire delle ferie residue al 31 dicembre entro il mese di aprile dell’anno successivo a quello di spettanza ‘.
L’ art. 18 CCNL EPNE 6/7/1995 è stato così integrato dall’art. 46, co. 2, c.c.n.l. 16/2/1999: ‘ 2. Il comma 13 dell’art. 18 del CCNL 6 luglio 19 9 5 è integrato con l’aggiunta, dopo il punto, dal seguente periodo: ‘ In caso di impedimento, derivante da malattia del lavoratore, all’utilizzo delle ferie residue entro il mese di aprile dell’anno successivo a quello di spettanza, la fruizione relativa può avvenire anche oltre il predetto termine, in periodi compatibili co n le oggettive esigenze di servizio e comunque non oltre l’anno’ ; il comma 16 della medesima disposizione così stabilisce: ’16. Fermo restando il disposto del comma 9, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti a tale data non siano state fruite per esigenze di servizio, si procede al pagamento sostitutivo delle stesse sulla base del trattamento economico di cui al comma 1 ‘ (in realtà, tale ultima previsione, non è stata riportata in sede di Raccolta sistematica delle disposizioni contrattuali del 2017 in quanto ‘ la sua ulteriore applicabilità deve essere verificata alla luce delle previsioni contenute ne ll’art. 5, comma 8, del D.L. n. 95/2012, convertito dalla Legge n. 135/2012 ‘ , vedi note nn. 137 e 163).
A fronte delle chiare disposizioni contenute nell’art. 2 della legge n. 937/1977, la mancata previsione, nell’art. 18 del CCNL EPNE, quadriennio normativo 1994-1997 e biennio economico 1994-1995, di una disciplina anche per il caso della mancata fruizione delle festività soppresse non può ritenersi ostativa alla monetizzazione delle stesse alla cessazione del rapporto, là dove vi siano gli stessi presupposti del mancato godimento che consentono tale monetizzazione quanto alle ferie. E, del resto, poiché le previste quattro giornate di riposo per festività soppresse sono sostanzialmente assimilabili alle ferie, evidentemente, non possono non trovare applicazione le medesime regole valevoli per le prime.
La sentenza impugnata, che con accertamento in fatto ha escluso che il breve lasso di tempo intercorso tra la comunicazione dell’RAGIONE_SOCIALE (22.3.2012) e la cessazione del rapporto di lavoro (1.4.2012) non avrebbe consentito al COGNOME di godere delle festività soppresse, è dunque conforme a tali disposizioni.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo, per il ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 3.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge, in favore del controricorrente e con attribuzione a ll’NOME COGNOME, distrattario.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 20 febbraio 2024