Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1494 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1494 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22635/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME INDIRIZZO presso lo studio RAGIONE_SOCIALE nonché con domicilio digitale EMAIL, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
ASL FG – AZIENDA SANITARIA RAGIONE_SOCIALE FOGGIA , in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso INDIRIZZO
Oggetto: Lavoro pubblico – Domanda mobilità volontaria – Riconoscimento qualifica dirigente struttura semplice
R.G.N. 22635/2018
Ud. 19/12/2023 CC
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOMEcontroricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di BARI n. 9/2018, depositata il 08/01/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 19/12/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 9/2018 la Corte d’appello di Bari, nella regolare costituzione dell’appellata NOME COGNOME ha accolto l’appello proposto dalla AZIENDA RAGIONE_SOCIALE DELLA PROVINCIA DI FOGGIA e, in riforma della sentenza del Tribunale di Fo ggia dell’11 gennaio 2016, ha respinto la domanda della stessa NOME COGNOME volta a conseguire l’accertamento del diritto al riconoscimento della qualifica di dirigente di struttura semplice.
La decisione qui impugnata ha preso le mosse dalla ricostruzione della vicenda che aveva dato origine al contenzioso, riferendo che:
–NOME COGNOME era dipendente della AUSL FOGGIA 1 dal 1° settembre 2000 con la qualifica di Dirigente Sociologa;
-successivamente, la ricorrente aveva presentato domanda di mobilità per il posto di Dirigente Sociologa presso la AUSL FOGGIA 3, domanda che aveva ricevuto l’assenso da parte dell’AUSL FOGGIA 1 e l’accoglimento da parte dell’AUSL FOGGIA 3;
-a seguito di denunce-esposti, la procedura di trasferimento era stata bloccata;
-nelle more della procedura, con parere del 6 settembre 2005, il collegio di valutazione dell’AUSL FOGGIA 1 aveva dichiarato positivamente superato il quinquennio di servizio;
-con delibera del 9 settembre 2005 l’RAGIONE_SOCIALE aveva conferito a NOME COGNOME l’incarico di Dirigente di Unità Semplice URP, ex art. 27, lett. b), CCN di settore;
-l’odierna ricorrente aveva adito il Tribunale di Foggia, il quale aveva accertato il diritto della stessa NOME COGNOME a conseguire il posto di Dirigente Sociologo presso l’AUSL FOGGIA 3, in esecuzione delle precedenti delibere di assenso da part e dell’AUSL FOGGIA 1 e di accoglimento della domanda di mobilità da parte dell’AUSL FOGGIA 3;
-con successiva delibera del 10 agosto 2006 il Direttore Generale dell’RAGIONE_SOCIALE aveva dato esecuzione alla sentenza del Tribunale di Foggia, riconoscendo all’odierna ricorrente il posto di Dirigente Sociologo, attribuendole il trattamento di Dirigente Equiparato, anziché quello di Dirigente di Unità Semplice;
-intervenuto accordo sindacale del 3 luglio 2008, che aveva reso omogenei i trattamenti economici del personale dirigenziale presso l’ASL FOGGIA e fissat o in via temporanea gli importi da erogare come indennità di posizione aziendale, alla ricorrente era stata erogata la retribuzione di Dirigente di Unità Semplice.
Sulla scorta di tale ricostruzione, la Corte territoriale ha rilevato che:
-anche in virtù della decisione del Tribunale di Foggia – che aveva risolto il profilo della sospensione della procedura di passaggio disposta a seguito degli esposti – il passaggio dell’odierna ricorrente all’AUSL FOGGIA 3, seppur avvenuto con presa effettiva di servizio del 1° giugno 2006, aveva comunque decorrenza dalla data del 1° maggio 2005 -come stabilito nella stessa sentenza -con la conseguenza che il conferimento dell’incarico dirigenziale risultava adottato in data successiva al passaggio all’AUSL di destinazione;
-poiché la domanda di mobilità concerneva il passaggio all’AUSL FOGGIA 3 senza alcun conferimento di incarico dirigenziale ex art. 27, lett. b), CCNL ed era su tale posizione che NOME COGNOME aveva accettato la mobilità, la stessa non poteva pretendere che la mobilità medesima si attuasse su una posizione differente e superiore a quella oggetto della proposta e della richiesta di mobilità;
-la ricorrente, ulteriormente, non aveva neppure chiesto accertarsi il proprio diritto alla qualifica superiore nel già citato giudizio innanzi al Tribunale di Foggia, sebbene alla data di instaurazione di quest’ultimo, avesse già ricevuto l’incarico dirigenziale da parte dell’AUSL FOGGIA 1.
La Corte territoriale ha, quindi, concluso che, allorquando nelle more della procedura di trasferimento ad altro ente per mobilità del pubblico dipendente quest’ultimo consegua il conferimento di incarico o di mansioni superiori, deve essere escluso il diritto del dipendente medesimo all’assegnazione all’incarico o mansioni superiori conferite nelle more dal l’Ente di provenienza, ‘in quanto gli interessi pubblici che giustificano il ricorso alla procedura concorsuale riservata verrebbero frustrati qualora si consentisse la nomina di soggetti ormai estranei
all’amministrazione, per essere cessati dal servizio o perché transitati alle dipendenze di altri enti, ed ai quali verrebbe attribuita una agevolazione nella progressione in carriera, non più giustificata una volta venuto meno il rapporto con l’ente che a veva indetto il concorso interno’ .
Ha, quindi, concluso la Corte territoriale che, a seguito dell’accoglimento della domanda di passaggio ad altra Amministrazione si cristallizzano sia l’inquadramento che le mansioni del dipendente trasferito, il quale deve pertanto prestare servizio per gli specifici compiti e con la retribuzione sussistenti al momento della domanda di passaggio.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari ricorre ora NOME COGNOME
Resiste con controricorso AZIENDA RAGIONE_SOCIALE PROVINCIA DI FOGGIA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale sarebbe incorsa in un errore, nel momento in cui ha concluso che il passaggio della ricorrente alla AUSL FOGGIA 3 si era perfezionato in data 1° aprile 2005, laddove la ricorrente ha continuato a prestare servizio presso la AUSL FOGGIA 1 sino al 30 agosto 2008, da ciò derivando che al
momento del suo effettivo passaggio alla AUSL FOGGIA 3, la stessa aveva già conseguito l’incarico di Dirigente di Unità Semplice.
Il ricorso, quindi, contesta quella che definisce fictio iuris seguita dalla decisione impugnata, la quale avrebbe erroneamente operato una retrodatazione del passaggio alla AUSL FOGGIA 3, evidenziando, infine, che il SER.T. istituito da quest’ultima costituisce una Struttura Complessa, nell’ambito della quale era possibile assegnare un incarico equivalente a quello conseguito dalla ricorrente medesima presso la AUSL FOGGIA 1.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 30, D. Lgs. n. 165/2011; 1406 c.c.; 20, CCNL Area Dirigenza SPTA dell’8 giugno 2000.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello di Bari avrebbe erroneamente richiamato i principi enunciati da questa Corte con riferimento all’art. 30, D. Lgs. 165/2001, omettendo di valutare la specifica disciplina che regolamenta l’istitut o della mobilità volontaria nel settore della dirigenza sanitaria.
Deduce il ricorso che l’art. 20 del CCNL Area Dirigenza SPTA dell’8 giugno 2000 stabilisce espressamente che la mobilità non comporta novazione del rapporto di lavoro, comportando una sostanziale continuità del rapporto medesimo e che la stessa previsione stabilisce la perdita dell’incarico nella sola ipotesi di mobilità richiesta da un Dirigente con incarico di direzione di Struttura Complessa ma non nella diversa ipotesi di mobilità che coinvolga Dirigenti del settore SPTA.
Argomenta, ulteriormente, la necessità di applicare i principi in tema di cessione del contratto -cui la mobilità sarebbe riconducibile -rimarcando che, non avendo la RAGIONE_SOCIALE concluso alcun nuovo contratto con la ricorrente, il rapporto deve ritenersi ancora regolato
dal contratto concluso in data 9 settembre 2005 con la AUSL RAGIONE_SOCIALE
D eve preliminarmente essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente, che deduce il mancato rispetto dell’art. 369 c.p.c. per non avere la ricorrente provveduto al deposito del testo integrale del CCNL su cui si fonda il ricorso.
L’eccezione è infondata, in quanto questa Corte ha già chiarito che l’improcedibilità del ricorso per cassazione a norma dell’art. 369, secondo comma, n. 4), c.p.c., non può conseguire al mancato deposito del contratto collettivo di diritto pubblico, ancorché la decisione della controversia dipenda direttamente dall’esame e dall’interpretazione delle relative clausole, atteso che, in considerazione del peculiare procedimento formativo, del regime di pubblicità, della sottoposizione a controllo contabile della compatibilità economica dei costi previsti, l’esigenza di certezza e di conoscenza da parte del giudice era già assolta, in maniera autonoma, mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 47, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001, sì che la successiva previsione, introdotta dal d.lgs. n. 40 del 2006, deve essere riferita ai contratti collettivi di diritto comune (Cass. Sez. U, Sentenza n. 23329 del 04/11/2009).
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorso, invero, non deduce in concreto l’omesso esame di fatti -dovendosi intendere l’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. come riferita a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico -ma, nell’invocare una serie di circostanze che nel complesso sono state comunque esaminate dalla decisione impugnata – a cominciare dalla valenza della decisione del Tribunale di Foggia -viene a dedurre il carattere erroneo del ragionamento del giudice di
merito in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie, cioè un profilo che attiene alla mera sufficienza della motivazione, non (più) deducibile come motivo di ricorso (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).
Ulteriore profilo di inammissibilità concerne il punto C) (pag. 15) del ricorso, in quanto lo stesso riguarda un accertamento in fatto non deducibile in Cassazione, rispetto al quale non risulta che sia stato dedotto nei precedenti gradi di giudizio, valendo la regola generale per cui, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6), e 369, secondo comma, n. 4), c.p.c., il ricorrente deve indicare: 1) il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso; 2) il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente; 3) il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti; 4) la sua “decisività” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), essendo consentito denunciare in Cassazione solo il vizio specifico relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo, con la conseguenza che il ricorrente non può limitarsi a denunciare l’omesso esame di elementi istruttori, ma deve indicare l’esistenza di uno o più fatti specifici, il cui esame è stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui essi risultino, il ‘come’ ed il ‘quando’ tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti e la loro decisività (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 7472 del 23/03/2017).
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La decisione della Corte d’appello, infatti, risulta pienamente conforme al principio – da questa Corte enunciato – per cui, in caso di mobilità del personale, il dipendente la cui domanda sia stata accolta
in relazione ad una specifica vacanza nell’ente di destinazione e che abbia accettato la valutazione espressa da quest’ultimo quanto alla corrispondenza fra aree e profili professionali di inquadramento, non può contestare a passaggio già avvenuto l’inquadramento riconosciutogli e pretendere di rimanere nell’ente di destinazione con un superiore profilo professionale, percependo le relative differenze retributive non essendo consentito alterare il bilanciamento di interessi che il legislatore ha inteso realizzare attraverso il meccanismo della mobilità e vanificare le esigenze di efficienza, buon andamento e contenimento della spesa complessiva che le norme generali sul rapporto di impiego alle dipendenze delle PP. AA. mirano ad assicurare in attuazione dei principi di cui all’art. 97, avuto riguardo alle peculiarità proprie dell’istituto del passaggio diretto, che corrisponde anche all’interesse del lavoratore di conoscere il profilo di inquadramento che gli verrà riconosciuto nell’ente di destinazione, risultando quindi questi libero di non accettare il transito (Cass. Sez. L – Sentenza n. 30875 del 22/12/2017).
Questa Corte, anzi, ha reiteratamente affermato il principio per cui in tema di pubblico impiego privatizzato, in caso di passaggio ad altra amministrazione per la qualifica corrispondente a quella indicata dal lavoratore nella domanda, non sussiste il diritto per il dipendente di ottenere, in ordine al rapporto costituito su tale base, la qualifica superiore acquisita, nelle more del passaggio stesso, nell’amministrazione di provenienza, atteso che il trasferimento è chiesto ed avviene in ragione di una disponibilità creatasi nell’organico dell’Amministrazione di destinazione e nella qualifica prevista, e non è coerente con le esigenze di imparzialità e buon andamento che un ente terzo incida sul rapporto di lavoro di un’altra P.A. (Cass. Sez. L, Sentenza n. 19925 del 05/10/2016 e le successive Cass. Sez. L,
Ordinanza n. 24487 del 2021 e Cass. Sez. L, Ordinanza n. 23992 del 2022).
Su tali principi non incidono le deduzioni della ricorrente in ordine alla riconducibilità del passaggio ad altra amministrazione alla cessione del contratto: se, infatti, è vero che detta ricostruzione è stata recepita dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. L – Sentenza n. 23884 del 01/08/2022 -quest’ultima peraltro affermando la conservazione dei soli diritti maturati prima della cessione del contratto -e Cass. Sez. L – Ordinanza n. 86 del 07/01/2021), vi è tuttavia da rilevare che nella fattispecie la questione decisa dal giudice di merito non verteva su ll’assimilazione della mobilità alla cessione bensì sullo specifico profilo della individuazione del momento in cui in cui poteva ritenersi avvenuto il passaggio della ricorrente dalla precedente alla nuova Amministrazione e quindi dell’individuazione del momento in cui eventuali progressioni nell’ambito dell’Amministrazione di provenienza dovevano ritenersi sterilizzate dal già avvenuto passaggio alla nuova Amministrazione.
Rilevato, allora, che il problema concreto era quello di stabilire se si dovesse fare riferimento al provvedimento – poi sospeso – con cui era stato disposto il passaggio alla nuova Amministrazione, oppure al successivo momento in cui – a seguito della sentenza del Tribunale di Foggia -detto passaggio era divenuto effettivo, si deve osservare che correttamente la Corte d’appello di Bari ha rilevato che la stessa precedente decisione del Tribunale di Foggia aveva già accertato la regolarità della procedura di mobilità ed aveva stabilito che la ricorrente aveva diritto al posto di Dirigente Sociologo presso la AUSL FG/3, con decorrenza dal 1° aprile 2005 in esecuzione delle delibere del 2005, e da tale rilievo ha tratto la conclusione per cui il momento in cui doveva ritenersi concretizzato il passaggio alla nuova
amministrazione andava collocato nella data già individuata dalla precedente decisione -non impugnata -del Tribunale di Foggia, irrilevante essendo il differimento del momento in cui detto passaggio era divenuto effettivo.
Altrettanto corretta -e conforme ai principi individuati da questa Corte -è l’argomentazione della Corte territoriale nel momento in cui quest’ultima – sulla scorta, peraltro, del dato costituito dall’art. 30, D. Lgs. 165/2001 – ha evidenziato che la mobilità è sempre finalizzata alla copertura di una specifica vacanza – quale era quella che la stessa domanda di mobilità della ricorrente mirava a coprire -e che pertanto il riconoscimento di incarichi o mansioni superiori conseguiti nelle more presso l’Am ministrazione di provenienza non solo verrebbe a frustrare detta finalità -determinando il persistere della scopertura -ma produrrebbe l’effetto distonico di imporre alla nuova Amministrazione di appartenenza la presenza in sovrannumero di dipendenti con profilo diverso da quello per il quale vi era la scopertura stessa, oltre ad incidere sulla procedura concorsuale riservata, agevolando la progressione in carriera di uno dei concorrenti e generando asimmetrie tra le posizioni dei soggetti interessati a concorrere.
Prive di pregio, infine, risultano anche le deduzioni che la ricorrente viene ad ancorare all’art. 20 del CCNL Area Dirigenza SPTA dell’8 giugno 2000, atteso che il comma 1, di tale previsione subordina comunque la mobilità volontaria alla presenza della vacanza di organico, conformemente alla già richiamata previsione di cui all’art. 30, D. Lgs. 165/2001.
5. Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
6. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater , nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘adunanza camerale in data 19 dicembre