Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30457 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 30457 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25684-2022 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO;
– controricorrente –
Oggetto
CONTRIBUTI PREVIDENZIALI
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
Ud 09/10/2025 CC
avverso la sentenza n. 28/2022 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO SEZIONE DISTACCATA di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 02/08/2022 R.G.N. 6/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Rilevato che:
1. La RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, comitato di Bolzano, adiva il Tribunale di Bolzano e impugnava un verbale unico di accertamento e notificazione dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e un verbale unico di accertamento e notificazione dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE contestando la pretesa contributiva vantata in relazione a una serie di basi imponibili. L’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio contestando la domanda e chiedendone il rigetto. Il Tribunale di Bolzano accoglieva parzialmente l’impugnazione con specifico riguardo, per quanto in questa sede rileva, alla indennità mensile e alla indennità di turno oraria e alla indennità di servizio piste perché non inserite nell’imponibile contributivo, rigettava nel resto l’impugnazione.
L’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE proponeva appello lamentando l’erroneità della decisione del Tribunale nella parte in cui aveva accolto l’impugnazione riducendo la base imponibile contributiva. La RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, comitato di Bolzano, si costituiva chiedendo il rigetto dell’a ppello. La Corte di Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, sezione RAGIONE_SOCIALE e previdenza, con la sentenza n. 28/2022 depositata il 02/08/2022, accoglieva parzialmente l’appello, con esclusivo riguardo alla indennità di servizio piste, da considerarsi nella base imponibile contributiva e lo rigettava nel resto e cioè con riferimento alla indennità mensile e alla indennità di turno oraria non corrisposte e non inserite nell’imponibile contributivo e compensava le spese di lite.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE con un unico motivo. La RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, comitato di Bolzano, si è costituita con controricorso chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La parte controricorrente ha depositato anche memoria conclusiva.
Il ricorso è stato trattato dal RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE nella camera di consiglio del 09/10/2025.
Considerato che :
Con l’unico motivo di ricorso l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 legge 153/1969, che sostituisce gli artt. 1 e 2 d.l. 692/1945, recepito negli artt. 27 e 28 t.u. approvato con d ecreto 797/1995, a propria volta modificato dall’art. 1, comma 4, d.l. 44/1985 convertito nella legge 155/1985, dall’art. 1, comma 1, l. 876/1986, dall’art. 4, comma 2 -bis, d.l. 173 del 1988 convertito dalla legge 291/1988, dall’art. 2, comma 15, legge 335 /1995 ed infine sostituito dall’art. 6, comma 1, d.lgs. 314/1997 e dall’art. 1, comma 1, d.l. 338/1989 convertito con modificazioni nella legge 389/1989.
1.1. Si critica la sentenza impugnata per avere ritenuto che non facciano parte della retribuzione imponibile somme che i RAGIONE_SOCIALE avrebbero diritto di avere per la previsione dei rispettivi contratti individuali e tanto perché, nel ragionamento della Corte territoriale, queste ultime erano state recepite in seno ad un accordo collettivo integrativo stipulato e poi divenuto inefficace successivamente alla stipulazione del contratto individuale.
1.2. L’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE si duole in sostanza che i contratti individuali presi in considerazione prevedano una indennità di turno pari ad euro 0,92 per ogni ora di soccorso prestata, prevista nei
contratti individuali come voce retributiva, quindi da assoggettare a contribuzione e che, tuttavia, sulla medesima indennità il datore di RAGIONE_SOCIALE non avrebbe versato contribuzione perché ha ritenuto che detta indennità non fosse più dovuta in quanto superata da un contratto integrativo aziendale che la aveva prevista ma che poi aveva perso efficacia.
Il motivo è fondato. La sentenza impugnata, in effetti, ricostruisce la vicenda negoziale dei dipendenti della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e rileva come sia stato proposto ai dipendenti, e da questi in gran parte accettato, un contratto integrativo aziendale che prevedeva una serie di indennità (indennità di mensile per i dipendenti con qualifica C3, indennità di bilinguismo e, appunto, l’indennità di turno); di seguito, prosegue la sentenza, il contratto integrativo aziendale è venuto meno per la sua onerosità economica ed è stato, in altre parole, caducato. Venuto meno il contratto integrativo aziendale l’indennità non è stata più corrisposta e su di essa il datore di RAGIONE_SOCIALE non ha più conteggiato e versato contribuzione.
2.1. Orbene, coglie nel segno il motivo di ricorso dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE perché il venire meno del contratto integrativo aziendale non esclude che l’indennità fosse ancora dovuta in ragione dei contratti individuali. In questo senso il venir meno del contratto integrativo aziendale rappresenta un trattamento peggiorativo per i lavorativi rispetto a quello garantito dai contratti individuali.
2.2. La sentenza impugnata non chiarisce quale fosse il contratto collettivo applicabile, se ve ne fosse uno applicabile e se in ragione di esso l’indennità fosse dovuta ma la questione non assume rilievo decisivo perché, una volta riconosciuta
l’indennità nei contratti individuali, essa contribuiva a definire il minimale sul quale calcolare i contributi.
2.3. In tal senso si consideri che l’art. 1 del d.l. n. 338 del 1989, convertito nella legge n. 389 del 1989, nel definire il concetto di minimale contributivo stabilisce: «La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE più rappresentative su base RAGIONE_SOCIALE, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo». La norma fa, dunque, espresso riferimento anche ai contratti individuali quando, appunto, ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.
2.4. Assume rilievo, oltre alla disposizione normativa appena richiamata, la costante interpretazione che di essa ha fornito questa Corte: in materia di contribuzione previdenziale, il richiamo operato dall’art. 1 del d.l. n. 338 del 1989, convertito nella legge n. 389 del 1989, alla retribuzione prevista dai contratti collettivi stipulati dalle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE più rappresentative su base RAGIONE_SOCIALE se superiore a quella fissata dai contratti individuali o dagli accordi aziendali, impone di assumere la contrattazione collettiva quale parametro per il calcolo dei contributi. Ne consegue che, ove il contratto individuale preveda una retribuzione meno elevata rispetto al contratto collettivo, il datore di RAGIONE_SOCIALE è tenuto a pagare i contributi anche sulle differenze tra salario percepito e quello fissato dalla contrattazione collettiva di settore (Cass. 25/03/2010, n. 7194).
2.5. Si consideri, altresì, che: l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai RAGIONE_SOCIALE di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni RAGIONE_SOCIALE più rappresentative su base RAGIONE_SOCIALE (cosiddetto minimale contributivo), secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dall’art. 1 del d.l. n. 338 del 1989, convertito dalla l. n. 389 del 1989, senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Cost. (cosiddetto minimo retributivo costituzionale), che sono rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre – con conseguente influenza sul distinto rapporto di RAGIONE_SOCIALE – ai fini della determinazione della giusta retribuzione; né è configurabile la violazione dell’art. 39 Cost., alla stregua dei principi espressi con la sentenza della Corte costituzionale n. 342 del 1992, per via dell’assunzione di efficacia “erga omnes” dei contratti collettivi nazionali, essendo l’estensione limitata secondo la previsione della legge – alla parte economica dei contratti soltanto in funzione di parametro contributivo minimale comune, idoneo a realizzare le finalità del sistema previdenziale ed a garantire una sostanziale parità dei datori di RAGIONE_SOCIALE nel finanziamento del sistema stesso (Cass. 02/08/2017 n. 19284).
2.6. Se l’importo della retribuzione imponibile non può essere inferiore a quanto (è o sarebbe) dovuto in base al contratto RAGIONE_SOCIALE leader , sul versante del rapporto contributivo risulta dunque indifferente il fatto che il datore di RAGIONE_SOCIALE possa applicare ai propri dipendenti il contratto di un altro settore, ovvero quello stipulato, nello stesso settore, da associazioni sfornite della richiesta rappresentatività: in entrambi i casi,
invero, ai fini della contribuzione il contratto di fatto applicato rileva solo se impone una retribuzione superiore, rispetto a quella del suddetto contratto leader . Anche i contratti collettivi di livello inferiore, territoriali e/o aziendali, applicati o comunque applicabili al datore di RAGIONE_SOCIALE secondo le discipline lavoristiche, rilevano -al pari del contratto individuale, ed a prescindere da quali siano i loro firmatari -solo se impongono una retribuzione maggiore rispetto a quella del medesimo contratto RAGIONE_SOCIALE. In applicazione di tale principio, si è ritenuto che neppure l’abbassamento della retribuzione derivante dall’applicazione di un (pur legittimo) contratto di prossimità stipulato ex art. 8, d.l. n. 138/2011 possa giustificare una deroga al minimale contributivo.
2.7. Assumono, poi, rilievo assorbente le considerazioni spese da questa Corte, recentemente e in un caso analogo, con la pronuncia Cass. 21/08/2025, n. 23647: «si osserva che il contratto collettivo che abbia le caratteristiche dell’art. 1, comma 1, della L. 389/1989 è finalizzato ad individuare il minimale contributivo, non a disciplinare il rapporto tra datore di RAGIONE_SOCIALE e lavoratore per il quale non sarebbero esclusi i contratti in deroga, salvo l’inderogabilità in peius . Sul punto la giurisprudenza dell a Corte è univoca nell’affermare che l’individuazione del contratto leader ai fini contributivi di cui alla citata legge attiene al principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva (sul punto cfr. Cass. ord. n. 13840/2023 ed altre numerose ivi menzionate), e ciò si ispira anche ‘all’esigenza di salvaguardia dell’unitarietà e della tenuta del sistema previdenziale’, giacché la finalità della normativa di cui all’art. co. 1 d.l. 338/89 integrato da art. 2 comma 25 L.549/95 non è quella di assicurare la conciliazione tra il diritto di organizzazione sindacale e la
selezione della categoria di riferimento, ma di individuare un parametro riferimento per il calcolo della misura del minimale contributivo, che non è devoluta all’autonomia datoriale ma è una scelta che il legislatore riserva a sé, escludendo che la stessa possa essere oggetto di deroga da parte dei contraenti (dello stesso avviso cfr. anche Cass. ord. n.4209/2023). L’individuazione della retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali in quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e dei datori RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE comparativamente più rappresentative nella categoria esprime una capacità di scelta della fonte collettiva ai fini della determinazione della misura dell’ob bligo previdenziale, fra tutte quelle astrattamente applicabili; in linea con quanto innanzi, e per un ulteriore approfondimento finalistico della normativa in esame, cfr. ord. 13840/2023 ‘il legislatore ha inteso far entrare in gioco la fonte contrattuale consentendo la traslazione, sul piano collettivo, della garanzia in capo ai RAGIONE_SOCIALE di conseguire quel trattamento pensionistico (obbligatorio) ‘adeguato’ cui fa espresso riferimento l’art. 38 Cost.; in un settore nel quale le parti sociali hanno stipulato una pluralità di strumenti contrattuali, anche del medesimo livello, l’esigenza concreta che si pone ai fini contributivi, è quella di individuare, nella possibile giungla di trattamenti e di voci retributive, lo strumento trainante (definito, per ciò stesso ‘leader’), quale quello che meglio degli altri appare in grado di rappresentare le caratteristiche, anche soggettive dell’impresa nonché la storia contributiva dei RAGIONE_SOCIALE interessati alla definizione del minimale contributivo, per un verso, preservando le esigenze di eguaglianza e di solidarietà, per un altro verso, scongiurando un aumento incontrollato della spesa
previdenziale pubblica. Nel caso in esame, poi, non trova condivisione quanto sostenuto dal ricorrente circa la possibilità di consentire, sul piano di accordo aziendale, una deroga al CCNL (diversa gradualità temporale per l’applicazione degli aumenti retributivi posti a livello RAGIONE_SOCIALE); questa Corte ha già affermato di recente che la contrattazione aziendale può derogare in melius ma non in pejus al livello retributivo assunto dall’art. 1 della L. n.389/89 ai fini del calcolo del minimale contributivo (vale a dire quello previsto dalla contrattazione collettiva RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE), essendo la materia previdenziale indisponibile, come desumibile dall’art. 2115, comma 3 c.c. ed è soggetta a regolamentazione tramite norme imperative di legge statale (Cass. 28972/24). Nel caso di specie, la norma imperativa è fisata nell’art.1 L. n.389/89 che detta il livello minimo di retribuzione da assumere a riferimento per calcolare l’imponibile contributivo, al di sotto del quale non è possibile scendere, ancorché la retribuzione dovuta ed erogata al lavoratore sia inferiore, poiché la contrattazione collettiva RAGIONE_SOCIALE funge da parametro per la determinazione dell’obbligo contributivo minimo. Affermata l’inderogabilità in peius della contrattazione aziendale dei livelli retributivi a fini contributivi, diviene irrilevante il fatto che l’accordo aziendale sia stato sottoscritto o meno da un’organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa a livello RAGIONE_SOCIALE».
2.8. Risulta confermato, anche per questa via, che non è consentito alla contrattazione integrativa aziendale derogare al principio del minimale contributivo e che la contribuzione si calcola sul trattamento astrattamente dovuto al lavoratore in ragione del contratto collettivo ovvero anche del contratto individuale se quest’ultimo riconosca una maggiore retribuzione. Non rileva, in altre parole, la retribuzione
concretamente erogata ma quella individuata per via legislativa con la disposizione finora approfondita.
Il ricorso deve essere accolto con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di Appello competente.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Trento cui è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, del 9 ottobre 2025.
Il Presidente
(NOME COGNOME)