Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29929 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29929 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28731-2022 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 145/2022 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 13/06/2022 R.G.N. 355/2021;
Oggetto contributi
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/10/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2025 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che
Con sentenza del 13.06.2022 n. 145, la Corte d’appello di Genova respingeva il gravame proposto dalla società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del tribunale di Genova che aveva respinto il ricorso di quest’ultima società volto ad opporsi all’avviso di addebito per il pagamento di € 557.926,95 a titolo di contributi previdenziali e somme aggiuntive relativi alla gestione Lavoratori Dipendenti per il periodo dal 1.1.12 al 31.12.16.
La Corte d’appello confermava la sentenza di rigetto del ricorso della società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, ritenendo sussistente anche per le società portuali il parametro del minimale contributivo, correlato alla specificità del settore d’interesse e alle peculiari caratteristiche delle prestazioni lavorative e dei caratteri della retribuzione non mensilizzata e non omogenea dei lavoratori portuali, con l’applicazione del minimale giornaliero inderogabile, st abilito per legge dall’art. 7 comma 1 del DL n. 463/83, convertito in legge n. 638/89 s.m.i. – in misura non inferiore al 9,5% dell’importo del trattamento minimo mensile a carico del FPLD in vigore al primo gennaio di ogni anno -moltiplicato per il numero medio di 26 giornate lavorative.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria. L ‘Inps ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riserva to il deposito dell’ ordinanza nel termine di sessanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso la società deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 24 comma 4 del d.lgs. n. 46/99, con riferimento anche a quanto previsto dagli artt. 23 e 47 della legge n. 88/89 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte del merito aveva ritenuto legittima l’emissione dell’avviso di addebito, nonostante fossero stati violati i termini dell’art. 24 del d.lgs. n. 46 cit., in quanto la pretesa contributiva era stata iscritta a ruolo prima della decisione del ricorso proposto in via amministrativa così che, nella successiva sede processuale, si sarebbe dovuto fare applicazione dei criteri generali di riparto degli oneri probatori, che però dovevano essere tutti a carico dell’Istituto previdenziale .
Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 4 comma 1 del d.lgs. n. 423/01, nonché dell’art. 3 comma 2 della legge n. 92/12, degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. con riferimento alla contrattazione collettiva del settore portuale e al regolamento interno CULMV. In particolare la società ricorrente si duole dell’avvenuto accertamento dell’esistenza dell’obbligo contributivo anche con riferimento alle assenze dal lavoro per indisponibilità alla chiamata. In buona sostanza, secondo la società, quando il lavoratore era indisponibile alla chiamata si determinava una sospensione del rapporto di lavoro e della correlata obbligazione contributiva. In subordine, poi, viene dedotta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale delle norme sopra indicate con riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.
Con il terzo motivo, la società ricorrente denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c.
e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per essere la motivazione apparente e intrinsecamente contraddittoria, con connessa e conseguente nullità per violazione degli artt. 115 e 420 c.p.c. nonché dell’art. 24 Cost.
Il terzo motivo, che per priorità logico-giuridica deve essere esaminato per primo, è inammissibile. Rileva il Collegio che il ricorrente nel censurare la motivazione della sentenza sulla mancata riconducibilità dei permessi oggetto di controversia alle ipotesi tipizzate di sospensione, mira a una nuova valutazione del merito della decisione. Ed infatti la motivazione è coerente e logica, si colloca ben al di sopra del ‘minimo costituzionale’ (cfr. Cass. sez. un. n. 8053/16).
Il primo motivo è, in primo luogo inammissibile per mancanza di decisività. Come correttamente affermato dalla Corte del merito, l’eventuale nullità dell’avviso di addebito non esime il giudice dal potere-dovere di esaminare nel merito la fondatezza della pretesa contributiva (Cass. nn. 11671/22, 1558/20). In ogni caso, la Corte d’appello ha accertato che l’avviso di addebito è stato emesso, una volta esaurito il procedimento amministrativo. Il motivo è, altresì, infondato. La società datrice, che assume di avere diritto alla riduzione dell’ordinario carico contributivo, è gravata dell’ onere probatorio della sussistenza dei fatti legittimanti il preteso pagamento ridotto della contribuzione previdenziale, rispetto a quello ordinario.
Il secondo motivo è infondato.
Ai fini dell’individuazione della retribuzione imponibile da porre a base del calcolo dei contributi previdenziali (cd. minimale contributivo) occorre avere riguardo a quanto disposto dall’art.
1 della legge n. 388/89 che li parametra, tra l’altro, alle retribuzioni stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, nel
senso che essa non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.
A tal riguardo questa Corte ha affermato che “l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (c.d. “minimale contributivo”), secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dall’art. 1 D.L. 9 ottobre 1989 n. 338 (convertito in legge 7 dicembre 1989 n. 389), senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Costituzione (c.d. “minimo retributivo costituzionale”), che sono rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre -con incidenza sul distinto rapporto di lavoro- ai fini della determinazione della giusta retribuzione” (in questi termini, sent. S.U. n.11199/2002, a cui hanno fatto seguito numerose altre pronunce, ex multis, 2758/2006, 16/2012, 19284/17).
Nell’operare un distinguo tra individuazione del contratto collettivo applicabile nei rapporti fra datore e lavoratore, sotto il profilo economico-retributivo, e contratto collettivo posto a base degli obblighi previdenziali, rilevante nel rapporto fra datore ed INPS, si pone un necessario raffronto con la disposizione contenuta al primo comma dell’art. 2070 c.c. che fornisce il criterio per individuare il settore specifico dell’attività svolta dall’impresa: l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini
dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore. Sul punto, si richiama la pronuncia resa da questa Corte con ord. n. 19759/2024 secondo la quale “la retribuzione da assumere a parametro per la determinazione dei contributi previdenziali (cd. minimale contributivo) ex art. 1 D.L. n. 338 n. 1989, conv. con modif. dalla L. n. 389 del 1989, è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nel settore di attività effettivamente svolta dall’impresa ai sensi dell’art. 2070 c.c., dovendosi far riferimento ad un criterio oggettivo e predeterminato che non lasci spazio a scelte discrezionali o a processi di autodeterminazione normativa, che restano viceversa possibili solo in relazione al trattamento economico e normativo dei lavoratori nei limiti dell’art. 36 Cost.”.
Più recentemente (Cass. n. 12974/25) si è chiarito che l’obbligo contributivo permane nell’intero ammontare previsto dal contratto collettivo, anche in caso di assenza del lavoratore o di sospensione della prestazione lavorativa, mentre la sospensione dell’obbligo contributivo si realizza nelle sole ipotesi p reviste dalla legge o dal contratto collettivo, con riferimento a istituti quali la malattia, infortunio, maternità o cassa integrazione. Quest’ultim a decisione si inserisce nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata, che riafferma con chiarezza l’autonomia dell’obbligazione contributiva rispetto a quella retributiva, anche alla luce della funzione pubblicistica dell’obbligazione previdenziale, intesa come presidio del sistema di protezione sociale e, in quanto tale, sottratta alla libera disponibilità delle parti del rapporto di lavoro.
Il principio del minimale contributivo -quale standard inderogabile -non può essere ridimensionato neppure in
presenza di accordi individuali, orari multiperiodali o flessibilità convenzionali, se questi comportano il rischio di una contribuzione inferiore a quella dovuta secondo i parametri della contrattazione collettiva nazionale. La retribuzione effettiva rileva, dunque, solo se superiore a quella prevista dal contratto collettivo. Tale posizione si ispira a ragioni di equità e sostenibilità del sistema previdenziale, garantendo che tutti i lavoratori, anche in contesti cooperativi o di impiego flessibile, maturino diritti pensionistici e assistenziali adeguati: pertanto, l’accordo sindacale non poteva porsi in contrasto con la disciplina normativa primaria (art. 1 della legge n. 389/89) ai fini della individuazione di un livello minimo garantito di retribuzione utile ai fini contributivi, derogandolo in pejus.
Quanto alla prospettata questione di illegittimità costituzionale ritiene il Collegio che essa sia inammissibile, sia perché generica e per nulla argomentata sia perché non rilevante nel presente giudizio.
In conclusione il ricorso deve essere complessivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo, rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente a pagare le spese di lite che liquida nell’importo di € 7.000,00 per compensi professionali € 200,00 per esborsi e 15% per spese generali, oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9.10.2025
Il Presidente NOME COGNOME