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Minimale contributivo inderogabile: la Cassazione

Una società cooperativa ha applicato un contratto collettivo aziendale che prevedeva retribuzioni inferiori a quelle del contratto nazionale di settore più rappresentativo. A seguito di un accertamento, gli enti previdenziali hanno richiesto il pagamento delle differenze contributive, qualificando l’inadempienza come evasione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della cooperativa, stabilendo che il minimale contributivo, fissato per legge con riferimento ai CCNL stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative, è un principio inderogabile. Pertanto, nessun accordo di secondo livello può prevedere una base imponibile inferiore. La Corte ha inoltre confermato la classificazione del fatto come evasione contributiva, in quanto le denunce presentate erano basate su un presupposto giuridico errato e non veritiero.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Minimale Contributivo Inderogabile: No a Riduzioni tramite Accordi Aziendali

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine del diritto del lavoro e della previdenza sociale: il minimale contributivo previsto dai contratti collettivi nazionali (CCNL) stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative non può essere ridotto da accordi aziendali. Questa decisione chiarisce i confini dell’autonomia contrattuale di secondo livello e le conseguenze per i datori di lavoro che applicano contratti meno favorevoli, delineando nettamente la differenza tra omissione ed evasione contributiva.

I fatti del caso: Una cooperativa e il CCNL applicato

Il caso ha origine da un verbale di accertamento notificato a una società cooperativa operante nel settore della distribuzione commerciale. Gli enti previdenziali (INPS e INAIL) e l’Ispettorato del Lavoro contestavano alla società il mancato versamento di contributi e sanzioni civili. La ragione della pretesa risiedeva nel fatto che la cooperativa applicava un CCNL, e un successivo accordo aziendale, che prevedevano retribuzioni inferiori rispetto a quelle stabilite dal CCNL ritenuto di riferimento per il settore, ovvero quello sottoscritto dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

La cooperativa si opponeva, sostenendo la legittimità del contratto applicato e la validità dell’accordo aziendale, anche come ‘accordo di prossimità’. La Corte d’Appello, tuttavia, respingeva l’opposizione, confermando la pretesa degli enti. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La questione del minimale contributivo e la sua inderogabilità

Il cuore della controversia riguarda il concetto di minimale contributivo, ossia la retribuzione minima imponibile ai fini del calcolo dei contributi previdenziali. La legge stabilisce che tale base imponibile non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale.

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso della cooperativa, ha ribadito con fermezza che questa materia è ‘indisponibile’ e regolata da norme imperative. Ciò significa che la contrattazione aziendale, pur essendo uno strumento importante per regolare specifici aspetti del rapporto di lavoro, non può mai derogare in peius (cioè in senso peggiorativo per il lavoratore) al livello retributivo minimo fissato a livello nazionale ai fini previdenziali.

L’irrilevanza dell’accordo aziendale

I giudici hanno chiarito che, una volta stabilita l’inderogabilità del minimale contributivo, diventa irrilevante stabilire se l’accordo aziendale fosse stato sottoscritto o meno da un’organizzazione sindacale rappresentativa. Il limite imposto dalla legge prevale su qualsiasi accordo di secondo livello che preveda una base imponibile inferiore. La contrattazione aziendale può intervenire per migliorare le condizioni dei lavoratori, non per peggiorarle su aspetti coperti da norme imperative come la base per il calcolo dei contributi.

La distinzione tra evasione e omissione contributiva

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte è la qualificazione della condotta della cooperativa. La difesa sosteneva che si trattasse di una semplice ‘omissione contributiva’, con sanzioni più lievi. La Cassazione, invece, ha confermato la tesi dell’ ‘evasione contributiva’. La differenza è sostanziale:
* Omissione: Si verifica quando il datore di lavoro presenta denunce corrette e complete, ma omette di versare i relativi contributi. È una sorta di ‘mora’ nel pagamento.
* Evasione: Si configura quando le denunce presentate agli enti sono false o incomplete, basate su dati non conformi alla realtà o, come in questo caso, sull’applicazione di un CCNL errato. L’intento di non versare il dovuto si manifesta attraverso una rappresentazione non veritiera della situazione.

Nel caso di specie, avendo la cooperativa presentato denunce basate su un contratto inapplicabile e su retribuzioni inferiori a quelle dovute per legge, ha fornito una base di calcolo non veritiera. Per accertare il debito reale, gli enti hanno dovuto svolgere un’attività ispettiva, elemento che caratterizza proprio l’ipotesi di evasione.

le motivazioni

La Corte Suprema ha fondato la sua decisione su una ‘doppia ratio decidendi’. In primo luogo, ha stabilito che l’accordo aziendale non poteva rientrare nell’ambito di applicazione derogatorio né dell’art. 7 del CCNL di settore né dell’art. 8 del d.l. n. 138/11 (accordi di prossimità), poiché la materia del minimale contributivo è per sua natura indisponibile e non derogabile. Qualsiasi patto contrario è nullo. In secondo luogo, ha chiarito che l’obbligo contributivo è determinato dalla legge, che individua il parametro retributivo nei CCNL stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. La Corte d’Appello aveva correttamente identificato tale contratto e, sulla base di dati presuntivi (come il numero di iscritti a livello nazionale e una circolare ministeriale), aveva concluso che quello applicato dalla ricorrente non possedeva tale requisito. Infine, la qualificazione come evasione è stata confermata perché le denunce, basate su un presupposto giuridico errato, non erano veritiere, rendendo necessario un accertamento ispettivo per determinare il dovuto.

le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza la tutela previdenziale dei lavoratori, ponendo un chiaro limite all’autonomia contrattuale aziendale. I datori di lavoro devono prestare la massima attenzione nell’individuare il CCNL di riferimento, basandosi sul criterio della maggiore rappresentatività comparativa nel settore di appartenenza. L’applicazione di un contratto collettivo che preveda retribuzioni inferiori a quelle del benchmark di settore espone al rischio non solo di recupero delle differenze contributive, ma anche all’applicazione delle più gravose sanzioni previste per l’evasione contributiva, con significative conseguenze economiche. La sentenza ribadisce che la corretta determinazione della base imponibile previdenziale è un obbligo di legge, non un elemento negoziabile tra le parti.

Un accordo aziendale può prevedere una retribuzione inferiore a quella del CCNL nazionale ai fini del calcolo dei contributi?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il minimale contributivo, ovvero la retribuzione minima da usare come base per il calcolo dei contributi, è fissato dalla legge con riferimento ai CCNL stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative. Tale livello è inderogabile e non può essere ridotto da accordi di secondo livello (aziendali).

Qual è la differenza tra omissione ed evasione contributiva secondo la Corte?
L’omissione contributiva si ha quando il datore di lavoro presenta denunce corrette ma non effettua il pagamento. L’evasione contributiva, invece, si configura quando le denunce presentate sono infedeli, incomplete o basate su presupposti errati (come l’applicazione di un CCNL non corretto), nascondendo così l’effettivo ammontare dei contributi dovuti e richiedendo un accertamento ispettivo per la loro determinazione.

Come viene determinata la maggiore rappresentatività di un’organizzazione sindacale ai fini dell’individuazione del CCNL di riferimento?
La Corte ha ritenuto legittimo l’uso di indici presuntivi, come i dati numerici degli associati a livello nazionale e specifici atti amministrativi (come una Circolare del Ministero del Lavoro), per trarre la conclusione sulla maggiore rappresentatività comparativa delle organizzazioni sindacali firmatarie di un CCNL all’interno di una specifica categoria merceologica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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