Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9952 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9952 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13115-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della RAGIONE_SOCIALE
Oggetto
Minimale contributivo
R.G.N.13115/2019 Cron. Rep. Ud.25/02/2025 CC
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
ISPETTORATO RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA alla INDIRIZZO
– controricorrente – avverso la sentenza n. 532/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,
depositata il 30/10/2018 R.G.N. 582/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
In parziale riforma della pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Torino rigettava l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso un verbale unico di accertamento cui avevano partecipato Inps, Inail e Ispettorato Territoriale del Lavoro e contenente pretese contributive, oltre sanzioni civili, dovute al mancato rispetto del minimale contributivo, sul presupposto che fosse stato applicato un CCNL diverso da quello firmato dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’ambito della categor ia della distribuzione commerciale.
Per quanto qui di rilievo, riteneva la Corte che: il CCNL firmato dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative fosse quello sottoscritto da CGIL-CISLUIL e Legacoop e Confcooperative, e non quello applicato dalla ricorrente, sottoscritto da UNCI e CISAL; l’accordo aziendale del 12.12.2012, che prevedeva retribuzioni inferiori, non poteva prendersi a riferimento ai fini del minimale contributivo poiché non rientrava nella sfera di applicabilità dell’art.7 CCNL per i dipendenti della distribuzione, né era qualificabile come accordo di prossimità ai sensi dell’art.8 d.l. n.138/11; i conteggi riportati nel verbale ispettivo erano stati contestati solo in via generica dalla cooperativa, e unicamente in sede d’appello erano state fatte valere specifiche contestazioni; risultava infine corretta la qualificazione in termini di evasione contributiva e non di omissione contributiva in ordine alle sanzioni civili.
Avverso la sentenza, la RAGIONE_SOCIALE ricorre per sette motivi, illustrati da memoria.
Resistono con controricorso Inps, in proprio e quale procuratore speciale della Società di RAGIONE_SOCIALE, Inail e l ‘Ispettorato Nazionale del Lavoro.
All ‘odierna adunanza camerale il collegio riservava il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, la cooperativa deduce violazione o falsa applicazione degli artt.1 d.l. n.338/89,
conv. con modif. in l. n.389/89, nonché degli artt.1322, 1362, 1363, 2077 c.c., 7 CCNL distribuzione cooperativa 22.12.2011 e dell’accordo aziendale 12.12.2012 per avere la Corte escluso che l’accordo aziendale rientrasse nel campo di applicazione dell’art .7 CCNL.
Con il secondo motivo di ricorso la cooperativa deduce omesso esame di un fatto decisivo ovvero che l’accordo aziendale 12.12.2012 era stato sottoscritto da RAGIONE_SOCIALE, quale organizzazione sindacale comparativamente più rappresentativa a livello nazionale.
Con il terzo motivo di ricorso, la cooperativa deduce violazione o falsa applicazione dell’art.8 d.l. n.138/11 conv. con l. n.148/11, per avere escluso la Corte che l’accordo aziendale potesse rientrare nel campo applicativo della citata norma quale accordo di prossimità.
Con il quarto motivo di ricorso la cooperativa deduce violazione e falsa applicazione degli artt.115, 116, 416 c.p.c., 2729 e 2697 c.c. per avere la Corte ritenuto generiche le contestazioni sui conteggi sviluppati nel verbale d’accertamento
Con il quinto motivo di ricorso la cooperativa deduce violazione o falsa applicazione artt.1 d.l. n.338/89, conv. con modif. in l. n.389/89, 2697 e 2729 c.c., nonché dell’art.12 delle Disposizioni sulla legge in generale , per avere la Corte reputato che il CCNL stipulato dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative entro la categoria della distribuzione fosse quello siglato da CGIL-CISL-UIL e Legacoop e Confcooperative.
Con il sesto motivo di ricorso la cooperativa deduce omesso esame di un fatto decisivo, per non avere la Corte accertato se la ricorrente fosse cooperativa non di consumo ma di produzione e lavoro.
Con il settimo motivo di ricorso la cooperativa deduce violazione e falsa applicazione dell’art.116, co.8, lett. a) e b) l. n.388/00 per avere la Corte ritenuto sussistere l’ipotesi di evasione contributiva.
I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
Va premesso che sia con riguardo al primo motivo di ricorso, sia con riguardo al terzo motivo, la Corte d’appello ha adottato una duplice ratio decidendi : ha escluso che l’accordo aziendale rientrasse nell’ambito dell’art.7 CCNL distribuzione cooperativa 22.12.2011 poiché: a) l’accordo aziendale aveva ad oggetto in modo dire tto l’ammontare delle retribuzioni, mentre l’art.7 CCNL considera le differenze retributive solo in via indiretta, come conseguenza cioè di modifiche temporanee della disciplina su prestazione lavorativa, orario e organizzazione del lavoro; b) l’art.7 CCNL non consente la deroga del minimale contributivo, in quanto materia indisponibile e inderogabile; la Corte ha poi escluso che lo stesso accordo aziendale rientrasse nell’ambito operativo dell’art.8 d.l. n.138/11 poiché: a) la materia retributiva oggetto dell’accordo aziendale era esclusa dalle specifiche intese derogatorie di cui alla citata norma; b) il minimale contributivo è indisponibile e non può entrate a far parte delle intese derogatorie.
Il primo e terzo motivo di ricorso censurano entrambi i duplici argomenti, e, per quanto riguarda l’argomento sub b) il motivo di censura è il medesimo, esposto nel primo motivo, cui si richiama il terzo motivo.
Ora, trattandosi di doppia ratio decidendi , una volta respinta la censura avverso una delle due ragioni, diviene inammissibile per difetto di interesse la censura sull’altra ragione decisoria (Cass. 12372/06).
Nel caso di spece essendo infondato il motivo di ricorso incentrato sull’argomento sub b), divengono inammissibili gli ulteriori profili di censura del primo e terzo motivo sugli argomenti sub a).
Il motivo di censura sull’argomento sub b) è infondato poiché la sentenza ha fatto corretta applicazione del principio per cui la contrattazione aziendale non può mai derogare in peius il livello retributivo assunto dall’art.1 l. n.389/89 al fine del calcolo del minimale contributivo, ovvero il livello retributivo previsto dalla contrattazione collettiva nazionale. La materia previdenziale è infatti indisponibile, come si desume dall’ar t.2115, co.3 c.c., e soggetta a regolamentazione tramite norme imperative di legge statale (Cass.28972/24). Nel caso di specie, la norma imperativa è fisata nell’art.1 l. n.389/89 che detta il livello minimo di retribuzione da assumere a riferimento per calcolare l’imponibile contributivo. Tale livello retributivo può essere derogato solo in melius dalla contrattazione di secondo livello, e non anche in peius .
Questa Corte (Cass.17993/21, in un caso in cui la contrattazione aziendale non aveva inciso in peius sui
livelli retributivi fissati dal CCNL) ha affermato che l’art.1 l. n.389/89 determina l’ imponibile “minimo” da sottoporre a contribuzione, al di sotto del quale non è possibile scendere, ancorché la retribuzione dovuta ed erogata al lavoratore sia inferiore, poiché la contrattazione collettiva nazionale funge da parametro per la determinazione dell ‘ obbligo contributivo minimo.
Il secondo motivo è conseguentemente da rigettare poiché, affermata l’inderogabilità in peius della contrattazione aziendale dei livelli retributivi a fini contributivi stante la norma imperativa dell’art.1 l. n.389/89, diviene irrilevante il fatto che l’accor do aziendale sia stato sottoscritto o meno da una organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa a livello nazionale.
Il quarto motivo è per un verso infondato e per altro verso inammissibile.
Il motivo non censura l’assunto della Corte secondo cui la contestazione dei conteggi svolta dalla cooperativa fu inizialmente generica. Sostiene però la ricorrente che ciò era dovuto alle difese dell’Inps, e che solo in seguito si ebbe l’introduzione di un o specifico argomento di difesa, ovvero quello della non coincidenza del numero dei livelli retributivi previsti dal CCNL applicato dalla cooperativa e dal CCNL applicato dall’Inps. In realtà, però il motivo non riporta in modo compiuto la difesa svolta d all’Inps in primo grado, trascrivendone solo un breve stralcio; peraltro, in base a tale stralcio, emerge che l’Inps non fece altro che difendersi richiamando nella sostanza i criteri dei conteggi del verbale d’accertamento, noti alla cooperativa sin da prima del processo. Sul punto, quindi,
rettamente la sentenza ha affermato che la contestazione iniziale fu generica e che le successive contestazioni furono tardive (v. Cass.4854/14), poiché sin da subito, sulla base del verbale di accertamento, si sarebbe potuta articolare da parte della cooperativa la contestazione sulla non coincidenza del numero dei livelli retributivi previsti dai due CCNL.
Inammissibile poi è il motivo laddove deduce una questione nuova, di cui la sentenza non dà atto e di cui il motivo non allega l’avvenuta proposizione già in sede di merito (Cass.23675/13, Cass.20694/18), ovvero la contestazione dei conteggi basata sul fatto che la cooperativa operava dei ristorni e che non è dato sapere se tali ristorni siano stati o meno considerati in sede di accertamento.
Il quinto motivo di ricorso è infondato.
Con esso si sostiene che la Corte avrebbe accertato la maggior rappresentatività delle organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL invocato dall’Inps avendo riguardo non alla maggior rappresentatività valutata comparativamente entro la categoria, bensì alla maggior rappresentatività a livello nazionale, poiché la Corte avrebbe considerato i dati numerici degli aderenti a CGIL-CISL-UIL, Legacoop e AGCI a livello nazionale e non entro la categoria della distribuzione.
In realtà, la Corte ha tratto la maggior rappresentatività comparativamente valutata entro la categoria non direttamente dai dati numerici degli associati a livello nazionale, ma prendendo questo dato come indice presuntivo, ex art.2729 c.c., da cui trarre la conclusione
che, anche entro la categoria della distribuzione, quelle fossero le organizzazioni maggiormente rappresentative.
L’argomento presuntivo non è efficacemente contestato dal motivo, che sul punto di mostra generico, non specificando le ragioni per cui il dato di fatto considerato dalla Corte fosse privo del requisito della gravità.
Vale aggiungere che la motivazione della Corte non si fonda esclusivamente sul numero di iscritti a livello nazionale, bensì anche sulla Circolare 1.6.12 del Ministero del Lavoro che aveva accertato in capo a CGILCISL-UIL, Legacoop e Confcooperative i requisiti della maggior rappresentatività a livello comparativo entro la categoria.
Il sesto motivo è inammissibile poiché non argomenta sulla decisività del fatto omesso, ovvero che la cooperativa fosse di produzione e lavoro anziché di consumo. In particolare, il motivo non spiega la ragione per cui, ove fosse stato accertato che la cooperativa era di produzione e lavoro, ad essa non si sarebbe potuto applicare il CCNL invocato dall’Inps . Né il motivo deduce che il CCNL applicato dalla cooperativa riguardasse proprio le cooperative di produzione e lavoro. Del resto, non è dubbio che la categoria cui ha riguardo l’art.2, co.25 l. n.549/95 fosse quella della distribuzione commerciale, presso la quale operava la ricorrente, a prescindere dall’essere la ricorrente cooperativa di produzione e lavoro o di consumo.
Il settimo motivo è infondato.
Come rilevato dalla Corte, le denunce inviate dalla cooperativa agli enti previdenziali erano errate, poiché
prevedevano contribuzioni inferiori a quelle dovute, sulla base di un dato di fatto (applicazione di un CCNL errato) non conforme a diritto.
Se così è, si fuoriesce dalla ipotesi di omissione contributiva. Questa Corte ha affermato che la fattispecie di omissione contributiva di cui all’art.116, co.8, lett. b) l. n.388/00 ricorre nel solo caso in cui il datore di lavoro abbia provveduto e tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, omettendo però il pagamento dei contributi dovuti (Cass. 11261/10, Cass.28966/11). L’omissione contributiva sussiste, in altri termini, nell’ipotesi di mora nel versamento dei contributi dovuti (v. Cass.17970/22) in base alle denunce effettuate all’Inps e senza che l’ente debba procedere ad accertamenti volti ad individuare omissioni o falsità nelle denunce e registrazioni (v. ancora Cass.28966/11). Nel caso di specie, sono stati Inps e Inail a svolgere un accertamento ispettivo sulla scorta del quale hanno appurato il mancato pagamenti della contribuzione dovuta. Non si può perciò affermare che, già in base alle denunce e registrazioni comunicate dalla cooperativa, risultasse il debito contributivo in seguito fatto valere dall’ente, come invece sarebbe occorso in caso di denunce corrette ma senza pagamento del debito contributivo (v. Cass.8115/23 per l’evasione contributiva in caso di violazione del minimale contributivo).
Conclusivamente, il ricorso va respinto con condanna alle spese secondo soccombenza della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in € 10.000 per compensi, per ciascuno dei tre controricorrenti, oltre €200 per esborsi e oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge per Inail e Inps per ciascuno, e oltre alle spese prenotate a debito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro ;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, all’adunanza camerale del 25.2.25