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Minimale contributivo e permessi: quando si paga?

Una società cooperativa ha contestato l’obbligo di versare i contributi previdenziali per i periodi di permesso non retribuito, concordati con i dipendenti. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che l’obbligo di versamento del minimale contributivo sussiste anche in caso di sospensione concordata della prestazione lavorativa, qualora tale sospensione non trovi giustificazione nella legge o nei contratti collettivi.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Il Minimale Contributivo si Applica Anche ai Permessi Non Retribuiti? La Cassazione Conferma

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di obblighi previdenziali: il versamento del minimale contributivo è dovuto anche durante i periodi di permesso non retribuito concordato tra datore di lavoro e dipendente, se tale assenza non è prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza per i datori di lavoro, chiarendo i limiti degli accordi individuali rispetto agli obblighi di legge.

I Fatti del Caso

Una società cooperativa si è opposta alla richiesta di pagamento di contributi avanzata dall’Istituto previdenziale. La controversia verteva specificamente sull’assoggettamento a contribuzione dei periodi in cui la prestazione lavorativa era stata sospesa a causa di ‘permessi non retribuiti’ concessi ai dipendenti. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’ente previdenziale, affermando la debenza dei contributi. La società ha quindi deciso di presentare ricorso in Cassazione, sostenendo che, in assenza di prestazione lavorativa, nessuna contribuzione fosse dovuta.

La Questione Giuridica sul Minimale Contributivo

Il cuore della questione sottoposta alla Corte Suprema era stabilire se un accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore, che prevede una sospensione non retribuita del rapporto, possa prevalere sull’obbligo legale di versare i contributi previdenziali calcolati sul cosiddetto minimale contributivo. La ricorrente argomentava che, non essendoci retribuzione, non poteva esserci base imponibile per i contributi. L’ente previdenziale, al contrario, sosteneva la natura inderogabile delle norme in materia di contribuzione minima, posta a tutela del lavoratore.

L’Orientamento Consolidato della Giurisprudenza

La Corte di Cassazione, nel decidere il caso, ha scelto di dare continuità al suo orientamento ormai consolidato. I giudici hanno richiamato numerose sentenze precedenti che hanno già affrontato il tema. Il principio cardine è che l’obbligo contributivo è strettamente legato al rapporto di lavoro e non alla sua effettiva esecuzione quotidiana. La legge impone un minimale di retribuzione imponibile per garantire al lavoratore una tutela previdenziale minima, indipendentemente dagli accordi che possano intervenire tra le parti.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha rigettato il ricorso della società, motivando la sua decisione sulla base di principi chiari. I giudici hanno affermato che ‘la contribuzione è dovuta anche in caso di assenze o di sospensione concordata della prestazione che non trovino giustificazione nella legge o nel contratto collettivo, bensì in un accordo tra le parti che derivi da una libera scelta del datore di lavoro’.
In altre parole, la sospensione della prestazione lavorativa, se non è imposta da cause legali (come malattia, maternità) o da disposizioni del contratto collettivo, è considerata una scelta volontaria delle parti che non può pregiudicare la posizione previdenziale del lavoratore. L’obbligo di versare il minimale contributivo protegge il lavoratore da accordi che potrebbero, di fatto, svuotare di contenuto la sua futura protezione sociale. Pertanto, la corte territoriale ha correttamente applicato i principi di diritto consolidati, rendendo il ricorso infondato.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per i datori di lavoro. La concessione di permessi non retribuiti basata su semplici accordi individuali non esonera dal versamento dei contributi previdenziali sul minimale stabilito dalla legge. Questo principio di inderogabilità delle norme previdenziali tutela l’interesse pubblico alla sostenibilità del sistema pensionistico e garantisce ai lavoratori una copertura minima. Le aziende devono quindi valutare con attenzione le implicazioni contributive di qualsiasi accordo di sospensione del lavoro che non rientri nelle casistiche previste dalla normativa o dalla contrattazione collettiva, per evitare di incorrere in successive richieste di pagamento da parte degli enti previdenziali.

I contributi previdenziali sono dovuti durante un permesso non retribuito concordato tra le parti?
Sì, i contributi sono dovuti calcolati sul minimale contributivo se il permesso non è giustificato da una norma di legge o da un contratto collettivo, ma deriva da un semplice accordo tra datore di lavoro e lavoratore.

Un accordo privato può derogare all’obbligo di versamento del minimale contributivo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un accordo privato che deriva da una libera scelta delle parti non può prevalere sulle norme imperative che regolano gli obblighi contributivi previdenziali, le quali sono poste a tutela del lavoratore.

Qual è la ragione principale per cui i contributi sono dovuti anche in assenza di lavoro retribuito?
La ragione principale è garantire al lavoratore una tutela previdenziale minima e inderogabile. L’obbligo contributivo è legato all’esistenza del rapporto di lavoro e non necessariamente all’effettivo svolgimento della prestazione, proteggendo così il lavoratore da accordi che potrebbero compromettere i suoi futuri diritti pensionistici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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