Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23607 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23607 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 31859-2021 proposto da:
COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME
– resistente con mandato – avverso la sentenza n. 1048/2021 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 11/06/2021 R.G.N. 1072/2018;
Oggetto
Previdenza
Contributi
Minimale
R.G.N.31859/2021
COGNOME
Rep.
Ud 28/05/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La Corte di Appello di Bari ha confermato la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva accertato il credito contributivo, oggetto di un avviso di addebito, nei confronti dei ricorrenti, soci amministratori della cessata società RAGIONE_SOCIALE di COGNOMERAGIONE_SOCIALE
1.1. Per quanto qui più rileva, la Corte di appello ha premesso, in via generale, che, in applicazione della regola del minimale contributivo, la retribuzione da prendere quale base di calcolo dei contributi era quella «dovuta» ai lavoratori e non quella di fatto corrisposta e che, a tale fine, occorreva considerare le previsioni del contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale.
1.2. In particolare, ha, poi, osservato come la regola del minimale contributivo operasse anche con riferimento all’orario di lavoro che doveva essere quello «normale» stabilito dalla contrattazione collettiva sicché non rilevavano, ai fini dell’individuazione del minimale contributivo, le «sospensioni» del rapporto di lavoro, concordate tra le parti.
1.3. Pertanto, n el caso concreto, correttamente l’INPS aveva fatto riferimento al CCNL di settore (Legno e Arredamento Industria) sia ai fini dell’individuazione dei minimi retributivi -e quindi contributivi- sia sotto il profilo della determinazione dell’orario di lavoro per il computo della retribuzione virtuale. Non era, peraltro, rilevante che le parti del rapporto contrattuale (datore e lavoratori) avessero concordato l’applicazione del diverso CCNL artigianato. In primo luogo, la società dei
ricorrenti era stata iscritta alla Camera di Commercio con il codice relativo al settore Industria del Legno, su propria richiesta. In ogni caso, come osservato anche dal Tribunale, non vi erano i presupposti per la qualificazione della stessa come artigiana, in difetto dello svolgimento, da parte dei soci, in misura prevalente, del proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo. I ricorrenti svolgevano, infatti, la sola attività di amministratori .
1.4. Anche in relazione agli importi corrisposti a titolo di «RAGIONE_SOCIALE» erano dovuti i contributi rich iesti dall’In ps. Per le modalità concrete del trasporto, non ricorrevano le condizioni dell’ esonero contributivo.
1.5. Infine, non sussistevano i presupposti per i benefici contributivi collegati a situazioni di incremento occupazionale, poiché le assunzioni erano avvenute tra imprese legate da un rapporto di collegamento e controllo e in situazioni sostanzialmente elusive degli scopi legislativi.
Avverso la decisione, hanno proposto ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME con tre motivi. L’ Inps ha depositato procura speciale in calce alla copia notificata del ricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c. -è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del D.L. nr. 338 del 1989, conv. in legge nr. 389 del 1989, in riferimento anche alla legge nr. 549 del 2995, art. 2, comma 24, e alla legge nr. 443 del 1985
3.1. P arte ricorrente contesta l’applicazione del CCNL Industria. Assume la natura artigianale dell’attività svolta. Deduce che il CCNL applicabile è quello scelto liberamente dalle parti del rapporto di lavoro, salvo il limite dell’art. 36 Cost.
Assume anche la sussistenza dei presupposti normativi per la qualificazione di impresa come artigianale.
3.2. Le censure investono, inoltre, la statuizione con cui i giudici di merito non hanno dato rilievo alle «assenze giustificate» e alle aspettative non retribuite. A tale riguardo, i ricorrenti chiariscono che «molti dei lavoratori si (erano) presi la responsabilità delle assenze per motivi personali».
Il motivo, per come argomentato, è, nel suo complesso, infondato.
4.1. Con pronuncia doppia conforme, la sentenza impugnata ha accertato che i soci non avevano svolto «in misura prevalente, anche manuale, nel processo produttivo» la propria attività lavorativa e, pertanto, ha escluso che l’impresa potesse qualificarsi come artigiana, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2 della legge nr. 443 del 1985. Coerentemente, la pronuncia ha escluso l’applicazione de l CCNL invocato dai ricorrenti che, per come pacifico in causa (e riportato nello stesso ricorso a pag. 22, ultimo cpv., e pag. 23), è riferibile ai «dipendenti delle aziende artigiane».
4.2. La sentenza impugnata ha, invece, ricondotto l’attività svolta dall’impresa nell’ambito di quella «industriale».
4.3. Poste queste premesse, non efficacemente contrastate nella presente sede, tutte le argomentazioni sviluppate in ricorso sono infondate.
4.4. Esse omettono di considerare che la Corte ha da tempo chiarito che l’inquadramento ai fini contributivi di cui all’art. 1 del D.L. nr. 338 del 1989, per come autenticamente interpretato dall’art. 2, comma 25, l egge n. 549 del 1995, va correlato all’attività effettivamente svolta dall’impresa, ex art. 2070 c.c., dovendo necessariamente farsi ricorso, in ragione del rilievo pubblicistico della materia, ad un criterio oggettivo e
predeterminato che non lascia spazio a scelte discrezionali o a processi di autodeterminazione normativa, che restano viceversa possibili, stante il principio di libertà sindacale e la non operatività dell’art. 2070 cit. nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, solo in relazione al trattamento economico e normativo dei lavoratori, sia pure nei limiti del rispetto dei diritti fondamentali garantiti dall’art. 36 Cost. (già Cass. n. 801 del 2012, in motivazione, sulla scorta di Cass. S.U. n. 11199 del 2002, nonché Cass. n. 623 del 2024, sempre in motivazione).
4.5. Ne consegue che la retribuzione da assumere a parametro per la determinazione dei contributi previdenziali (cd. minimale contributivo) ex art. 1 d.l. n. 338 n. 1989, conv. con modif. dalla l. n. 389 del 1989, è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative «nel settore di attività effettivamente svolta dall’impresa ai sensi dell’art. 2070 c.c.» ( così in ultimo Cass. nr. 19759 del 2024).
In estrema sintesi, il CCNL di riferimento, cui parametrare l’obbligazione contributiva, è quello corrispondente all’attività svolta in concreto dall’azienda.
Anche gli ulteriori rilievi sono inesatti. A più riprese, la Corte ha chiarito che non sussiste alcuna possibilità per i datori di lavoro di modulare l’obbligazione contributiva in funzione dell’orario o della stessa presenza al lavoro che abbiano concordato con i loro dipendenti: l’obbligazione relativa ai contributi rimane dovuta nell’intero ammontare previsto dal contratto collettivo anche nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione della prestazione lavorativa che costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro e non da ipotesi previste dalla legge e dal
contratto collettivo medesimo, quali malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione (così, espressamente, Cass. nr. 4676 del 2021 e Cass. nr. 15120 del 2019, sulla scorta di quanto già affermato da Cass. nr. 13650 del 2019 che ha in tal senso superato il diverso principio affermato da Cass. nr. 24109 del 2018. In motivaz., anche 18954 del 2023).
Con il secondo motivo ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c. – è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge nr. 314 del 1997, per avere la Corte di appello escluso i presupposti di un esonero contributivo per i compensi corrisposti a titolo di mero rimborso delle spese di viaggio.
6.1. Il secondo motivo è inammissibile. Le censure, sub specie di violazione di norme di legge, si limitano a prospettare una critica generica dell’ iter argomentativo, senza sviluppare, in diritto, rilievi puntuali alle affermazioni in esso contenuto. Deve essere ribadito il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la deduzione di «errori di diritto» richiede una critica circostanziata delle soluzioni adottate dal giudice del merito, nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, in modo da dimostrare che determinate affermazioni contenute in sentenza siano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità (tra le tantissime, Cass. nn. 15568 e 17570 del 2020).
6.2. La denuncia di violazione di legge non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, cosa che, invece, il motivo di ricorso tende a sollecitare, così sconfinando nell’ambito degli apprezzamenti di fatto, non consentiti in questa sede di legittimità.
9.1.
Con il terzo motivo è dedott o l’indebito recupero dei benefici nonché -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c. la violazione o falsa applicazione dell’art. 8 della legge nr. 407 del 1990 e dell’art. 2359 c.c., sulla base del d.lgs. nr. 276 del 2003 e della legge nr. 311 del 2004, art. 1, comma 155.
Anche il terzo motivo è inammissibile per ragioni sovrapponibili a quelle enunciate in relazione al precedente motivo.
8.1. Posto che ogni questione relativa alla possibilità di ottenere benefici contributivi resta assorbita dal definitivo accertamento della non corretta applicazione del CCNL invocato dai ricorrenti, le ulteriori censure, ancora una volta, mettono in discussione gli accertamenti di fatto operati dai giudici di merito. Il richiamo alle disposizioni in rubrica non è conferente, atteso che i ricorrenti suggeriscono solo un diverso apprezzamento degli elementi di causa, meramente contrapponendo alle considerazioni della Corte di appello le proprie e diverse conclusioni. Anche in parte qua , dunque, il ricorso, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge tende ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2021) non consentita in sede di legittimità.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato, nulla dovendosi provvedere in ordine alle spese, in difetto di sostanziale attività difen siva da parte dell’Inps.
Sussistono, invece, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 28 maggio 2025
La Presidente NOME COGNOME