Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19467 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19467 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15629-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
Oggetto
Minimale contributivo L.389/892070 c.c.decadenza AVAinterpretazionecontratti di prossimità
R.G.N.15629/2019
COGNOME
Rep.
Ud.14/02/2025
CC
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 153/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 13/11/2018 R.G.N. 93/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Perugia ha confermato la pronuncia di primo grado di rigetto del ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE in opposizione avverso l’avviso di addebito emesso da INPS per l’importo di € 356.993,92 con il quale le era stato richiesto il pagamento di contributi dovuti alla gestione lavoratori dipendenti, per il periodo compreso tra il febbraio 2012 ed il dicembre 2013, determinati in base alla retribuzione minima prevista dal CCNL terziario, anziché in base al CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE applicato dalla società e derogato dal contratto di prossimità stipulato il 25/1/2012.
La Corte territoriale ha preliminarmente respinto l’eccezione di nullità dell’avviso di addebito per decadenza, ai sensi dell’art. 25 d.lgs. n.46/1999, dovendosi prendere in considerazione, ai fini della individuazione del termine di iscrizione a ruolo del credito dell’ente previdenziale non già la data di notifica bensì quella di emissione dell’avviso che, ai sensi dell’art. 30 del d.l. n.78/2010, ha sostituito la cartella esattoriale del concessionario; ha altresì respinto l’invocata individuazione nel CCNL RAGIONE_SOCIALE del contratto collettivo applicabile ai fini della determinazione dell’imponibile contributivo, stante la non riconducibilità in esso delle attività svolte dalla Progressum
RAGIONE_SOCIALE e la riferibilità all’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore, ai sensi dell’art. 2070 c.c., ai fini dell’applicazione del contratto collettivo di riferimento, nonché la determinazione della retribuzione da assumere a base del calcolo dei contributi di previdenza in misura non inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale come previsto dall’art. 1, co .1, del d.l. n. 338/1989 conv. in L. n. 389/1989. Ne derivava che il contratto collettivo attinente dovesse essere individuato nel CCNL Terziario e che fosse non rilevante l’applicazione del contratto di prossimità più favorevole per il lavoratore, non costituendo parametro idoneo ai sensi della richiamata normativa.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione la società affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria, a cui INPS resiste con controricorso.
La causa è stata discussa e decisa all’adunanza camerale del 14/2/2025.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo la società deduce la nullità dell’avviso di addebito opposto per intempestività della notifica, in violazione dell’art. 25 del d.lgs n.46/1999, avvenuta il 21/01/2016, oltre il termine del 31 dicembre dell’anno successivo alla data di notifica del provvedimento di accertamento ricevuto il 26/3/2014.
Con il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2070 c.c., dell’art. 1 CCNL Multiservizi FISE del 31/05/2011, dell’art. 1 del CCNL Terziario, degli artt. 1362 e ss. c.c. e dell’art. 1 L. n.389/1989, non ravvisandosi un
diverso campo di applicazione del CCNL RAGIONE_SOCIALE rispetto all’attività svolta dalla ricorrente con riferimento sia alle attività promozionali e di call center, sia al criterio interpretativo dei testi contrattuali tenuto conto del significato letterale delle parole, della comune intenzione delle parti e del senso complessivo del testo contrattuale, di cui le sentenze di merito non avevano tenuto conto; ed inoltre, per lo specifico richiamo del CCNL RAGIONE_SOCIALE al contratto di prossimità, stipulato ex art. 8 L. 148/2012 dalla società con il sindacato di categoria, e nei contratti di assunzione dei lavoratori dipendenti, non poteva non tenersi conto della comune volontà delle parti in ordine all’applicazione del predetto CCNL, almeno quale parametro di riferimento per la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost. La ricorrente rileva altresì di non essere mai stata iscritta presso una delle organizzazioni sindacali che hanno stipulato il CCNL Terziario.
Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del d.l. n.138/2011 conv. in L. 148/2011, dell’art. 1 L. n. 389/1989, dell’art. 2 co. 25 della L. 549/1995, dei contratti collettivi di prossimità del 25/01/2012 e del 4/3/2014, anche con riferimento all’art. 2070 c.c. ed agli art t. 1362 e ss. c.c. In particolare, la ricorrente evidenzia che le parti contraenti del contratto di prossimità avevano più volte espresso la volontà di assoggettare i rapporti di lavoro del personale dipendente (costituito da impiegati, promoter, hostess, lavoratori a chiamata) al CCNL RAGIONE_SOCIALE, e tale dato non era mai stato oggetto di contestazione, di contro alla tesi esposta dalla Corte di merito secondo la quale tale accordo non costituiva parametro idoneo ai fini della determinazione degli imponibili contributivi, non perché le organizzazioni stipulanti non fossero rappresentative, bensì per essere il contratto
collettivo e, quindi, l’accordo di prossimità da esso derivato, destinati a disciplinare attività di lavoro diverse da quelle della società.
Nel controricorso l’INPS eccepisce l’inammissibilità del primo motivo, non specifico né decisivo, stante la incompatibilità strutturale dell’avviso di addebito con l’iscrizione a ruolo; rileva l’infondatezza del secondo motivo vertendo l’interpretazione del CCNL in un accertamento di fatto e dovendosi individuare l’ambito di operatività dell’art. 2070 c.c. nel rapporto di lavoro mentre, ai fini previdenziali, opera l’art. 1 L. 338/1989. In ordine al terzo motivo, poi, una volta accertato in base all’atti vità svolta che la contrattazione collettiva di riferimento sia quella del Terziario, gli accordi di prossimità sarebbero nulli e, comunque, non potrebbero derogare al criterio determinativo della retribuzione ai fini previdenziali.
Il ricorso è infondato e va respinto.
Riguardo al primo motivo il ricorrente non illustra ragioni specifiche per le quali intenda ritenere non corretta la ricostruzione compiuta dalla Corte di merito, pianamente conferente con l’ambito normativo di riferimento. A seguito dell’introduzione della normativa di cui all’art. 30 del d.l. n.78/2010, avente ad oggetto il potenziamento dei processi di riscossione dell’INPS, l’attività di recupero delle somme a qualunque titolo dovute all’Istituto previdenziale, anche a seguito di accertamenti degli uffici, è effettuata mediante notifica di un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo. Esso costituisce sia una modalità di esternazione del credito che trova la sua fonte nell’accertamento definitivo, sia una specifica modalità di riscossione delle pretese contributive, in tal modo superando il coinvolgimento del concessionario di
riscossione, direttamente affidata allo stesso ente creditore. Dalla modifica normativa è derivata l’irrilevanza dell’iscrizione a ruolo, richiesta, invece, per gli affidamenti dei crediti in riscossione al concessionario, e la diretta formazione di un titolo esecutiv o attraverso l’emissione d i un avviso di addebito. I richiami ‘ al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento ‘ di cui all’art. 30 co .14 si intendono riferiti, ai fini del recupero delle somme dovute a qualunque titolo all’INPS, al titolo esecutivo emesso dallo stesso Istituto, ‘ costituito dall’avviso di addebito contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo di pagamento delle medesime somme affidate per il recupero agli agenti della riscossione ‘ .
4.1 – Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha precisato che il termine di decadenza entro il quale vanno iscritti a ruolo i contributi degli enti previdenziali, in virtù della predetta modifica normativa inerente alla modalità di riscossione dei credi ti INPS, si riferisce all’epoca di emissione dell’avviso di addebito e non all’epoca della notifica, così come, nell’originaria disciplina della riscossione mediante cartella di pagamento, l’art. 25, comma 1, non individuava il termine decadenziale nella notifica della cartella, bensì nella mera iscrizione a ruolo.
L’argomento non è stato puntualmente contrastato dal ricorrente che ha, invece, attribuito alla funzione di certezza e stabilità dei rapporti giuridici assolta dall’istituto della decadenza, il rilievo della riferibilità al momento in cui l’atto viene portato a conoscenza del destinatario e, quindi, al momento della sua notifica.
4.2 – Invero, come affermato in precedenti pronunce di questa Corte (cfr. ord. n. 14368/2020, n.27726/2019, e da ultimo, ord. n. 607/2025) l ‘art. 25 d.lgs. n 46 del 1999 prevede una
decadenza processuale e non sostanziale, come dimostrato dal tenore testuale della norma, che fa riferimento alla decadenza dall’iscrizione a ruolo del credito e non alla decadenza dal diritto di credito o dalla possibilità di azionarlo nelle forme ordinarie. La ratio dell’introduzione dello strumento della riscossione coattiva dei crediti previdenziali mediante iscrizione a ruolo è, infatti, quella di fornire all’ente un più agile strumento di realizzazione dei crediti e non già di rendere più difficoltosa l’esazione imponendo brevi termini di decadenza (sul tema, si richiama l’orientamento espresso da questa Corte con sentenze n.11346/21, n.5963/18, n.19708/17, n.16307/19).
4.3 – Numerose pronunce affrontano in modo analogo le tematiche sulla natura e funzione della decadenza prevista dall’art. 25 d.lgs. n.46/99, all’interno del complessivo sistema di riscossione dei crediti contributivi previdenziali, e sui meccanismi del loro recupero – salva la possibilità di agire in via alternativa nelle forme ordinarie -, nonché le questioni sulla impossibilità di avvalersi del titolo esecutivo senza decadere dal diritto di chiedere in sede giudiziaria l’accertamento dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito .
4.5 Va anche aggiunto che la notifica dell’avviso di addebito rileva, invece, ai fini dell’art. 24 d.lgs. 46/99, per la decorrenza dei termini ad impugnare in sede di opposizione; al riguardo, cfr. ord. n.8788/2025 in cui espressamente si afferma che la notifica rileva ai fini del citato art. 24, essendo prevista con riguardo alla cartella di pagamento, che presuppone l’iscrizione a ruolo del debito accertato.
4.6 – Per la formazione del titolo esecutivo, pertanto, il termine decadenziale (di natura processuale), previsto a carico dell’ente creditore, non richiede l’ulteriore momento della
conoscenza per il destinatario dell’avviso. La diversa prospettazione difensiva non si fa carico della distinzione fra i due ambiti normativi (art. 24 e art. 25 d.lgs. 46/99), non espone argomenti critici alla ricostruzione storica compiuta nella impugnata sentenza sul significato di ‘iscrizione a ruolo’, applicabile, mutatis mutandis, al nuovo regime di accertamento/riscossione dell’ente previdenziale, e non illustra ragioni per le quali la decadenza (ove mai compiuta) determini una preclusione per l’eserc izio del credito contributivo. Il motivo è quindi infondato.
Il secondo ed il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, ed entrambi sono anch’essi infondati.
5.1 – In tema di retribuzione imponibile posta a base di calcolo dei contributi previdenziali (cd. minimale contributivo), l’art. 1 L.388/89 ne individua la commisurazione alle retribuzioni stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, nel senso che essa non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.
Questa Corte ha già affermato che ‘l ‘importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (c.d. “minimale contributivo”), secondo il riferimento ad essi fatto – con
esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dall’art. 1 D.L. 9 ottobre 1989 n. 338 (convertito in legge 7 dicembre 1989 n. 389), senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Costituzione (c.d. “minimo retributivo costituzionale”), che sono rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre -con incidenza sul distinto rapporto di lavoro- ai fini della determinazione della giusta retribuzione ‘ (in questi termini, sent. S.U. n.11199/2002, a cui hanno fatto seguito numerose altre pronunce, ex multis, 2758/2006, 16/2012, 19284/17).
Nell’operare un distinguo tra individuazione del contratto collettivo applicabile nei rapporti fra datore e lavoratore, sotto il profilo economico-retributivo, e contratto collettivo posto a base degli obblighi previdenziali, rilevante nel rapporto fra datore ed INPS, si pone un necessario raffronto con la disposizione contenuta al primo comma dell’art. 2070 c.c. che fornisce il criterio per individuare il settore specifico dell’attività svolta dall’impresa: l’appartenenza alla categoria professionale, a i fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore. Sul punto, si richiama la pronuncia resa da questa Corte con ord. n. 19759/2024 secondo la quale ‘la retribuzione da assumere a parametro per la determinazione dei contributi previdenziali (cd. minimale contributivo) ex art. 1 d.l. n. 338 n. 1989, conv. con modif. dalla L. n. 389 del 1989, è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nel settore di attività effettivamente svolta dall’impresa ai sensi dell’art. 2070 c.c., dovendosi far riferimento ad un criterio oggettivo e predeterminato che non lasci spazio a scelte discrezionali o a processi di autodeterminazione normativa, che
restano viceversa possibili solo in relazione al trattamento economico e normativo dei lavoratori nei limiti dell’art. 36 Cost. ‘.
Per la determinazione del minimale contributivo, con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale, si fa riferimento, quindi, all’importo retributivo spettante ai lavoratori di un determinato settore in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale a mente dell’art. 1 d.l. 338/89 conv. in L. 389/89 , senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Cost. (cosiddetto minimo retributivo costituzionale), che sono rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre -con conseguente influenza sul distinto rapporto di lavoro- ai fini della determinazione della giusta retribuzione (in tal senso, Cass. ord. n.19284/17).
Nel caso di specie, non è rilevante individuare l’attività svolta dai singoli lavoratori dipendenti, quanto l’oggetto dell’attività esercitata dall’imprenditore, e trattasi di un accertamento di fatto che, espletato nelle fasi di merito, non è sindacabile in sede di legittimità. Tale indagine, tuttavia, è nuovamente posta all’attenzione dal ricorrente sotto il profilo della lamentata violazione del canone ermeneutico della normativa contrattuale collettiva di cui si pretende l’applicazione, ritenendo di correttamente sussumere, nelle attività comprese all’art. 1 del CCNL RAGIONE_SOCIALE, quelle svolte dalla società di servizi, ed in particolare le attività di segreteria, contabilità ed amministrativa in genere, esercitate da lavoratori con funzioni impiegati zie all’interno dei locali della sede della società, l’attività di call center finalizzata alla conclusione di contratti di utenza telefonica, e le attività promozionali svolte all’interno di
esercizi commerciali per lavoratori promoter e hostess occupati con contratti di lavoro intermittente.
La correlata censura mossa dalla ricorrente in ordine alla violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. non è fondata. Al di là della corretta riconducibilità delle descritte attività nell’ambito delle esemplificazioni elencate nel citato art. 1, anziché nel generico settore Terziario per la fornitura di servizi accessori ad altre imprese, va evidenziato che il motivo di ricorso non illustra le ragioni di una devianza argomentativa della impugnata sentenza dai canoni interpretativi negoziali (letterale, intenzionale, sistematico), limitandosi a prospettare una diversa interpretazione del testo contrattuale.
10.1 – In ambito di sindacato di legittimità su contratti collettivi aziendali, questa Corte ne ha affermato l’ammissibilità ‘ soltanto con riguardo ai vizi di motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (nella specie, nel testo antecedente al d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella L. n. 134 del 2012 “ratione temporis” applicabile), ovvero ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, per violazione delle norme di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., a condizione, per detta ipotesi, che i motivi di ricorso non si limitino a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella del provvedimento gravato, ma prospettino, sotto molteplici profili, l’inadeguatezza della motivazione anche con riferimento alle norme del codice civile di ermeneutica negoziale come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e congruità della motivazione stessa ‘ (Cass., sent. n. 21888/2016).
10.2 Si aggiunga che l’interpretazione letterale alla quale resta ancorata una parte della seconda censura, e l’interpretazione suggerita secondo l’intenzione delle parti, su
cui si incentra il terzo motivo di ricorso, non soltanto dirottano sul campo ermeneutico delle disposizioni contrattuali ciò che primariamente resterebbe concentrato sulla individuazione del contratto collettivo applicabile ai fini della determinazione del minimale contributivo (che costituisce il nucleo della contestata pretesa dell’ente previdenziale), ma neppure consent ono di soddisfare appieno l’indagine sulla completezza e correttezza dell’attività ermeneutica svolta in fase di merito.
10.3 – Invero, in tema di interpretazione della contrattazione collettiva trovano applicazione i criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e ss. c.c., sicché, seguendo un percorso circolare, occorrerà tener conto, in modo equiordinato, di tutti i canoni previsti dal legislatore, sia di quelli tradizionalmente definiti soggettivi che di quelli oggettivi, confrontando il significato desumibile dall’utilizzo del criterio letterale con quello promanante dall’intero atto negoziale e dal comportamento complessivo delle parti, coordinando tra loro le singole clausole alla ricerca di un significato coerente con tutte le regole interpretative innanzi dette (Cass. sent. n. 30141/2022). Peraltro, è stato anche osservato (Cass. ord. n. 2996/2023) che ‘i n materia di contrattazione collettiva, al fine di ricostruire la comune intenzione delle parti contrattuali, non può essere attribuita rilevanza esclusiva al senso letterale delle parole, atteso che la natura di detta contrattazione, spesso articolata in diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale, ecc.), la vastità e la complessità della materia trattata, in ragione della interdipendenza dei molteplici profili della posizione lavorativa, il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali, non necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il carattere vincolante che non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi, costituiscono elementi
tutti che rendono indispensabile una utilizzazione dei generali criteri ermeneutici che tenga conto della specificità della materia, con conseguente assegnazione di un preminente rilievo al canone interpretativo dettato dall’art. 1363 c.c. ‘
Non va quindi limitata la doglianza interpretativa delle disposizioni contrattuali al senso letterale delle definizioni di servizi amministrativi, di iniziative promozionali nei servizi integrati in ambito fieristico, museale ed archeologico, di limitazione della esclusione del call center ai servizi di biglietteria ed informazioni anche telefoniche, ma va considerato il tenore complessivo delle disposizioni contrattuali e soprattutto l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore. Del pari non va limitata l’analisi contenutistica della contrattazione di prossimità per individuare la comune intenzione delle parti di rimandare al CCNL RAGIONE_SOCIALE la disciplina del rapporto economico per i rapporti di lavoro del personale dipendente, poiché andrebbero considerati la finalità e l’idoneità parametrica dell’accordo derogatorio del contratto collettivo nell’ambito dei canoni determinativi del contratto collettivo di riferimento ai sensi dell’art. 1 del d.l. n.338/1989.
11. Resta inalterato il minimale contributivo commisurato alle retribuzioni stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative come individuato in applicazione dell’art. 1 del d.l. 338/89 conv. in L. 389/89 (Cass. sent. 17993/2021), il cui importo, quello della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali, è desumibile dai diversi accordi sindacali o dal contratto individuale di lavoro quando questi ultimi prevedano una retribuzione superiore alla misura minima stabilita dal
contratto collettivo nazionale, mentre in caso contrario la contribuzione va parametrata a quella stabilita dalla contrattazione nazionale di settore (Cass. sent. 6966/2010); e ad ogni modo, riguardo ai contratti di prossimità, che integrano il contratto collettivo per meglio rispondere ai bisogni della singola impresa, la contrattazione aziendale, ai fini del calcolo del minimale contributivo, non può derogare in pejus al livello retributivo assunto dall’art. 1 L. n.389/1989, essendo la materia previdenzial e indisponibile, come si desume dall’art. 2115 c.c., e soggetta a regolamentazione tramite norme imperative di legge statale, inderogabile dall’autonomia collettiva (Cass. 28972/24).
11.1 Nel caso di specie, l’accordo di prossimità non è idoneo ad individuare il parametro del minimale contributivo non perché non è stipulato dalle organizzazioni sindacali aventi i requisiti dimensionali e formali dell’art. 1 L.389/89, quanto perché esso non può porsi in contrasto con la disciplina normativa primaria ai fini della individuazione di un livello minimo garantito di retribuzione utile ai fini contributivi, derogandola in pejus; ed infatti, come riportato nella impugnata sentenza, tale accordo contemplava una deroga all’importo complessivo delle retribuzioni, riducendolo rispetto a quello fissato dal CCNL FISE, con la conseguenza che ‘tali previsioni avevano fatto sì che la contribuzione versata dall’azienda fosse notevolmente inferiore rispe tto a quella che sarebbe risultata dovuta, se l’imponibile fosse stato commisurato ai minimi retributivi stabiliti dal CCNL del terziario’. Tale argomentazione, che palesa un accertamento di fatto incensurabile in questa sede, non risulta peraltro neppure specificamente confutata dalla società ricorrente.
12. Tutti i motivi si sono mostrati infondati. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo in ragione del valore della controversia.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che si liquidano in Euro 7.500,00 oltre accessori, ed Euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 febbraio