Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23605 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23605 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18052-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrenti –
Oggetto
Previdenza
Contributi
Contratto Leader
Minimale contributivo
R.G.N.18052/2022
COGNOME
Rep.
Ud 28/05/2025
CC
avverso la sentenza n. 14/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 11/01/2022 R.G.N. 619/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La Corte di Appello di Firenze, in riforma della decisione di primo grado, ha accertato la debenza dei contributi oggetto del verbale di accertamento e notificazione indicato in atti e rigettato, di conseguenza, la domanda di accertamento negativo proposta dall’odierna ricorrente .
1.1. Per quanto più rileva in questa sede, la Corte di Appello ha ritenuto che, in concreto, la società ricorrente svolgesse l’attività delle aziende di «utilizzazione delle foreste e dei boschi» riconducibile al settore agricolo, secondo l’art. 49 della legge nr. 88 del 1989; in particolare, i cinque lavoratori subordinati svolgevano un’attività di natura agricola che consisteva nel taglio dei boschi. Ha, pertanto, ritenuto che il contratto collettivo di riferimento, ai fini contributivi, era quello indicato dall’Istituto previdenziale e cioè il contratto provinciale degli operai agricoli della provincia di Arezzo, in quanto «più vantaggioso» per il maggior numero di mensilità (cfr. pag. 5 sentenza impugnata) riconosciute.
1.2. La Corte di appello ha ritenuto, inoltre, che la retribuzione «dovuta» era quella stabilita per i lavoratori inquadrati nel livello A3. Si trattava di operai in grado di utilizzare la motosega e tanto era sufficiente per affermare che i lavoratori avevano « l’autonomia » richiesta dalla declaratoria contrattuale che esigeva una autonomia esecutiva.
Avverso la decisione, ha proposto ricorso la società in epigrafe, con tre motivi. Ha resistito l’Inps con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c. p.c.è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 49 del D.L. 338 del 1989 ( conv. in legge nr. 389 del 1989), dell’art. 6 della legge nr. 92 del 1979, come modificato dal D.Lgs. nr. 173 del 1998, degli artt. 2070 e 2697 c.c., in relazione all’individuazione del CCNL applicabile ai fini della determinazione del minimale contributivo.
Il motivo, per come sviluppato, è infondato.
4.1. La Corte di appello, come riportato nello storico di lite, ha accertato lo svolgimento, in concreto, di un’attività agricola ed ha, coerentemente, applicato il CCNL riferibile all’attività esercitata.
4.2. L’operata correlazione si sottrae alle censure mosse.
4.3. I rilievi, infatti, omettono di considerare il principio di questa Corte in base al quale l’inquadramento ai fini contributivi di cui all’art. 1 del D.L. nr. 338 del 1989, per come autenticamente interpretato dall’art. 2, comma 25, legge n. 549 del 1995, va correlato all’attività effettivamente svolta dall’impresa, ex art. 2070 c.c., dovendo necessariamente farsi ricorso, in ragione del rilievo pubblicistico della materia, ad un criterio oggettivo e predeterminato che non lasci spazio a scelte discrezionali o a processi di autodeterminazione normativa, che restano viceversa possibili, stante il principio di libertà sindacale e la non operatività dell’art. 2070 cit. nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, solo in relazione al trattamento economico e normativo dei lavoratori, sia pure nei limiti del rispetto dei diritti fondamentali garantiti dall’art. 36
Cost. (già Cass. n. 801 del 2012, in motivazione, sulla scorta di Cass. S.U. n. 11199 del 2002, nonché Cass. n. 623 del 2024, sempre in motivazione).
4.4. Ne consegue che «La retribuzione da assumere a parametro per la determinazione dei contributi previdenziali (cd. minimale contributivo) ex art. 1 d.l. n. 338 n. 1989, conv. con modif. dalla l. n. 389 del 1989, è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nel settore di attività effettivamente svolta dall’impresa ai sensi dell’art. 2070 c.c.» (così di recente Cass. nr. 19759 del 2024).
4.5. In estrema sintesi, il CCNL di riferimento è quello corrispondente all’attività svolta in concreto dall’azienda e, nello specifico, la Corte di appello ha individuato il Contratto Collettivo Provinciale per la Provincia di Arezzo quale contratto più vantaggioso, per il maggior numero di mensilità riconosciute.
4.6. La società ricorrente censura l’ iter argomentativo, assumendo la carenza di comparazione con altre fonti collettive, parimenti applicabili. Tuttavia, articola critiche generiche, con mero richiamo di principi astratti, senza argomentare con specifico riferimento ai dati di causa. La Corte territoriale, come già esposto, ha valorizzato l’attività agricola svolta e ha individuato il contratto collettivo territoriale di riferimento come «il più vantaggioso» economicamente.
4.7. In questi passaggi argomentativi, rispettosi dei principi della Corte, non sono riscontrabili errori di diritto.
Con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c. -è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1367 e 2103 c.c., in relazione all’art. 31 del contratto collettivo per gli operai agricoli e florovivaisti della Provincia di Arezzo.
5.1. È censurata l’in dividuazione della declaratoria contrattuale sia sotto il profilo del l’effettivo contenuto delle mansioni svolte, sia in ordine all’interpretazione della norma collettiva con riferimento al requisito dell’ autonomia.
Anche il secondo motivo è, nel suo complesso, da disattendere.
6.1. Sono inammissibili tutte le censure che cercano di sovvertire il giudizio di merito -in particolare il fatto che gli operai utilizzassero la motosega- non più sindacabile in sede di legittimità.
6.2. Sono, invece, infondati i rilievi mossi alla sentenza impugnata per avere erroneamente interpretato la norma collettiva.
6.3. Secondo la ricorrente, la Corte di appello avrebbe collegato « l’autonomia », richiesta dalla declaratoria contrattuale, all’uso dello strumento (motosega) e non all’attività, come invece richiesto.
6.4. Così non è. La Corte di appello, in modo assolutamente coerente, desume dall’uso della motosega «strumento di lavoro particolarmente complesso e dotato di una sua pericolosità intrinseca» e utilizzato sia per «tagliare i boschi» che per «pulire i tronchi»( v. pag. 6 della sentenza impugnata) non solo la competenza professionale richiesta dalla declaratoria contrattuale ma altresì quella «autonomia meramente esecutiva» della prestazione lavorativa richiesta dal livello di riferimento. È sufficiente osservare che, al livello A3, le parti sociali hanno ricondotto , tra l’altro, «l’operaio che svolge in autonomia con asce e seghe a motore il taglio e la lavorazione dei legnami ».
Con il terzo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 5 c.p.c. -è dedotto l’omesso esame di fatto decisivo. L’omissione è riferita
al fatto che, a parità di livello di inquadramento, il minimale retributivo e contributivo garantito ai dipendenti attraverso il contratto collettivo nazionale di lavoro RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato maggiore; è dedotta, altresì, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Il terzo motivo è inammissibile.
8.1. Quanto all’errore di fatto, lo stesso si pone al di fuori del paradigma normativo evocato (v., ex plurimis , in motiv. Cass. nr. 32759 del 2021), nel senso inteso da questa Corte (fatto storico, principale o secondario, che se esaminato avrebbe condotto con certezza o alta verosimiglianza ad un diverso esito della lite: Cass., sez. un., nr. 8053 del 2014 e successive, plurime conformi).
8.2. Quanto alle violazioni di legge, le censure non illustrano situazioni che contravvengono alle regole dettate dagli artt. 115 e 116 c.p.c.: non è dedotto che il Giudice abbia posto a base della decisione prove non indicate dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali e neppure che abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v., tra le tante, Cass. nr. 6774 del 2022).
Conclusivamente, il ricorso va rigettato, con le spese che seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in
Euro 3.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘Adunanza camerale del 28 maggio 2025
La Presidente NOME COGNOME