Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31738 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31738 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29771-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2109/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/05/2021 R.G.N. 1309/2018;
Oggetto
R.G.N. 29771/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 10/07/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 2109/2021, la Corte d’appello di Roma ha respinto in parte qua il gravame dell’INPS avverso la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva dichiarato il diritto di NOME COGNOME a ricalcolo della base di calcolo della quota B del trattamento pensionistico INPS, già ENPALS, in suo godimento, senza il massimal e di cui all’art. 12 del d.P.R. n. 142/1971, accogliendo parzialmente l’eccezione di decadenza ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 69/1970, come modificato dall’art. 38, comma 1, lett. d) del d.l. n. 98/2011 (trattandosi di liquidazione effettuata successi vamente all’entrata in vigore di detta legge e cioè il 6 luglio 2011), con riferimento alla sola liquidazione di supplemento di pensione del 6 novembre 2011 e con riferimento ai ratei maturati anteriormente al triennio anteriore al deposito del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, e respingendo sia l’eccezione di prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 47 bis del d.P.R. n. 639/1970, come modificato dall’art. 38, comma 1, lett. d), del d.l. n. 98/2011, sia l’eccezione di prescrizione decennale.
L’INPS impugna la sentenza sulla base di due motivi, illustrati da memoria.
Resiste COGNOME NOME con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità /improcedibilità dell’avversa impugnazione per intervenuto giudicato.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 10 luglio 2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, c.p.c.).
CONSIDERATO CHE
L’INPS muove due motivi di censura alla sentenza della Corte d’appello di Roma.
I Motivo) Violazione dell’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970 n. 639, come novellato dall’art. 38, comma 1, lettera d), numero 1, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., p er avere la Corte respinto il motivo di censura con il quale era stato lamentato il mancato rilievo della decadenza.
II Motivo) Violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 1420 del 31 dicembre 1971 e dell’art. 4 del d.lgs. n. 182 del 30 aprile 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte ritenuto che il massimale pensionabile di cui all’ar t. 12 del d.P.R. n. 1420/71 non operi nel calcolo della quota B del trattamento dei lavoratori dello spettacolo.
Il controricorrente, in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilità o, in alternativa, l’improcedibilità del ricorso. L’eccezione non è fondata (come già argomentato, ex multis , in Cass. n. 870/2023).
Secondo la Corte d’appello di Roma, l’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 182 del 1997 non rimanda al comma 2 dell’art. 12 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, che fa salvi i limiti massimi alla retribuzione pensionabile previsti nei singoli ordinamenti, essendo il richiamo circoscritto al comma 1 del citato art. 12, che determina le aliquote di rendimento.
Poiché contro tale affermazione, che rappresenterebbe una ratio decidendi di per sé idonea a sorreggere la pronuncia, il ricorrente non avrebbe formulato censure di sorta, ne conseguirebbe la definitività della decisione impugnata, che renderebbe inammissibile o improcedibile il ricorso per cassazione.
Con un’esposizione intelligibile ed esaustiva dei fatti di causa e dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza, il ricorso contesta in radice le argomentazioni della Corte d’appello in ordine all’abrogazione del “massimale pensionabile” per la “quota B”, avendo l’INPS espressamente impugnato l’affermazione della pronuncia secondo cui il massimale pensionabile di cui all’art. 12 del d.P.R. n. 1420/1971 non opererebbe per la quota B della pensione dei lavoratori dello spettacolo.
Ne consegue che la perdurante vigenza, anche per tale quota, del limite previsto dall’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971 rappresenta un tema ancora controverso e che nessun “giudicato interno” può precluderne l’esame.
Il giudicato non si forma, difatti, sulle singole affermazioni in diritto della pronuncia gravata, ma sull’unità minima di decisione, che ricollega a un fatto, qualificato da una norma, un determinato effetto, di talchè l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo degli elementi della sequenza vale a riaprire la cognizione sull’intera statuizione, sebbene ciascuno di essi possa essere oggetto di singolo motivo di gravame (così, tra le più recenti, Cass. n.24783/2018, n.10769/2019, n.28565/2022, n. 30728/2022).
In ordine al primo motivo, va richiamato l’orientamento di legittimità consolidato in forza del quale il termine di decadenza,
introdotto dall’art. 38, comma 1, lett. d), n. 1), del d.l. n. 98/2011, convertito in legge n. 111/2011, con riguardo “alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito”, decorrente “dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, trova applicazione anche con riferimento a prestazioni già liquidate, ma solo a decorrere dall’entrata in vigore della citata disposizione (Cass. n.17430/2021, sulla scorta di Cass. n. 28416/2020, ha applicato i principi e le ragioni enunciati dalle Sezioni Unite con la sent. n. 15352/2015 in relazione ai termini introdotti dall’art. 1, comma 9, della legge n. 238/1997 per la domanda volta al conseguimento dell’indennizzo da vaccinazioni o di epatiti post trasfusionali e pensioni da HIV).
Peraltro, quanto alla possibilità, in caso di richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, che la decadenza investa, in considerazione della natura della prestazione, solo le differenze sui ratei maturati precedenti il triennio ovvero, in generale, ogni differenza comunque dovuta per il titolo in relazione al quale è richiesto l’adeguamento o il ricalcolo, questa Corte si è già espressa nel primo senso: «l’interpretazione che limita ai ratei l’applicazione dei termini di prescrizione e decadenza anche nel caso di riliquidazioni è in linea con i principi affermati in materia dalla Corte Costituzionale, che ha sempre ritenuto il diritto a pensione come diritto fondamentale, irrinunciabile, imprescrittibile e non sottoponibile a decadenza, in conformità di principio costituzionalmente garantito che non può comportare deroghe legislative (tra le altre, Corte Costituzionale 26 febbraio 2010, n. 71; Corte Costituzionale 22 luglio 1999, n. 345; Corte Costituzionale 15 luglio 85, n. 203). Una diversa
interpretazione (che applicasse la decadenza all’intera pretesa di rideterminazione travolgendo i ratei futuri ed infra triennali) sarebbe del resto incompatibile con la Costituzione tutte le volte in cui la misura della prestazione riconosciuta o pagata non salvaguardi il nucleo essenziale della prestazione, come nel caso che solo una parte esigua della prestazione sia riconosciuta e pagata dall’ente previdenziale. Per tali casi, ritenere il diritto alle differenze pensionistiche perduto per decadenza comporterebbe di fatto la vanificazione del diritto alla pensione, in netto contrasto con l’art. 38 Cost. Sarebbe peraltro non agevole individuare (per ciascuna prestazione periodica), in difetto di criteri legali o costituzionali espliciti, quale sia il nucleo essenziale della prestazione pensionistica non comprimibile. L’applicazione della decadenza della domanda di riliquidazione ai soli ratei pregressi oltre il triennio e non all’intera pretesa del privato attua del resto un giusto equilibrio tra il diritto alla pensione e l’obiettivo decorso del tempo assicurato dalla decadenza mobile, che comunque sanziona il pensionato in modo significativo con la perdita dell’integrazione dei ratei ultra triennali rispetto alla domanda giudiziale» (Cass. n. 123/2022, idem n. 11943/2024, n. 13441/2024 ex multis ).
Pertanto, in riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, la decadenza riguarda solo le differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale.
Quindi, il motivo, nei limiti sopra esposti, è fondato e va accolto.
Anche il secondo motivo è fondato.
La questione giuridica dedotta riguarda la determinazione della cd quota B dei trattamenti pensionistici dei lavoratori dello spettacolo, oggi corrisposti dalla Gestione speciale del Fondo
pensioni lavoratori dello spettacolo istituita presso l’Inps (subentrato all’Enpals), posto che la ‘quota A’ corrisponde «all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolate con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile» (art. 13, lettera a, del d.lgs. n.503/1992), e la ‘quota B’ «all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993» (art. 13, lettera b, del citato d.lgs. n. 503/1992). Relativamente alla ‘quota B’ vi è controversia sul permanere o meno del limite alla retribuzione giornaliera pensionabile di cui all’art. 12, comma 7, del d.P.R. n.1420/1971.
Si registra sul punto un ormai consolidato orientamento di legittimità, in forza del quale è stato chiarito che nella determinazione della ‘quota B’ della pensione non deve essere presa in considerazione, ai fini del calcolo della retribuzione giornaliera pensionabile, la parte eccedente delle retribuzioni giornaliere che risulti superiore al limite fissato dall’art. 12, comma 7°, del d.P.R. n. 1420/1971, così come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 10, del d.lgs. n. 182/1997, posto che tale limite non è stato abrogato espressamente dai successivi interventi legislativi, né appare incompatibile con l’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 182/1997, dovendo piuttosto ritenersi che la fissazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile, contribuendo a comporre i diversi interessi di rilievo costituzionale, sia coessenziale alla disciplina, collocandosi in un sistema ampiamente favorevole per gli iscritti, in ordine all’entità delle prestazioni ed alle condizioni di
accesso, rispetto a quello della generalità dei lavoratori assicurati presso l’INPS (così , ex multis , Cass. n. 36056/2022, n. 36641/2022, n.36444/2022, n. 37043/2022 n.38016/2022, n.870/2023, n.1775/2023, n.18169/2023, n.21010/2023, n.24526/2023, n.24555/2023, n.27494/2023, n. 27503/2023).
Tale principio di diritto va qui ribadito, non essendo state prospettate dal controricorrente ragioni che inducano a discostarsi dall’orientamento consolidato.
Non essendosi la Corte territoriale attenuta all’anzidetto principio di diritto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione,