Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31955 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31955 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14727-2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME
ricorrente principale -controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 2726/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/12/2020 R.G.N. 2409/2018;
Oggetto
ENPALS
Pensione anzianità
Decadenza e calcolo quota
B
R.G.N. 14727/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 10/07/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME convenne in giudizio l’INPS e chiese che si accertasse l’illegittimità dei provvedimenti con i quali erano stati liquidati il supplemento della pensione e la quota B sulla base della media ridotta entro un limite massimo invece che sulla media effettiva delle retribuzioni. Chiese perciò la condanna dell’Istituto, successore dell’ENPALS, al pagamento delle differenze dovute oltre agli accessori di legge.
1.1. Il Tribunale accolse la domanda e condannò l’INPS a corrispondere per il periodo dal 2000 al 2015 la somma di € 67.216,21 oltre interessi legali dalle scadenze al saldo.
La Corte di appello di Roma in parziale riforma della sentenza, in accoglimento dell’eccezione di decadenza formulata dall’INPS e disattesa dal giudice di primo grado, preso atto del fatto che la domanda giudiziale era stata presentata il 30.9.2016, ha accertato l’intervenuta decadenza dal diritto ai ratei della prestazione per il periodo antecedente il 30 settembre 2013.
2.1. Ha poi escluso che fosse maturata la prescrizione, pure eccepita dall’INPS in primo grado e reiterata in appello.
2.2. Quanto al diritto alla riliquidazione dei ratei nella misura richiesta la Corte di merito, nel richiamare un suo precedente specifico, ha ritenuto che nessun tetto fosse legittimamente applicabile e che i conteggi nel merito non fossero stati specificatamente contestati.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso NOME COGNOME che articola due motivi. L’Inps resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale affidato anch’esso a due
censure al quale NOME COGNOME ha resistito con tempestivo controricorso.
RITENUTO CHE
Con il primo motivo del ricorso principale il pensionato denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 47 d.P.R. 639/1970, come modificato dall’art. 38, quarto comma lett. d) d.l. n. 98 del 2011 e dell’art. 252 disp. att. c.p.c., in relazione alla ritenuta decadenza dei ratei maturati antecedentemente al 30 settembre 2013, triennio precedente alla data di proposizione del ricorso giudiziario.
Con il secondo motivo del ricorso il COGNOME si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2935 c.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto prescritto il credito maturato prima del 2 novembre 2005 relativo al supplemento di pensione maturato dal l’ 1.5.2000.
Con il ricorso incidentale l’INPS denuncia , anch’ess o, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 47 d.P.R. 639/1970, come modificato dall’art. 38, quarto comma lett. d) d.l. n. 98 del 2011 e deduce che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere che la d ecadenza non comporti l’inammissibilità della domanda ma piuttosto l’estinzione del diritto alle differenze maturate negli anni antecedenti il triennio dalla data di instaurazione del giudizio.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale, poi, l’Istituto censura la sentenza della Corte di appello per avere ritenuto in violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 1420 del 1971 e dell’art. 4 del D.lgs. n. 182 del 1997 – l’abrogazione tacita della disciplina del “massimale pensionabile”, a dispetto della compatibilità tra
tale disciplina e quella posteriore, riguardante la “quota B” della pensione.
Il primo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale investono da diversi punti di vista la medesima questione e devono, perciò, essere trattati congiuntamente e, entrambi, rigettati.
8.1. La Corte d’appello ha correttamente interpretato il d.l. n. 98 del 2011, art. 38, comma 1, lett. d, conv. in L. n. 111 del 2011 – già in vigore al momento di presentazione della domanda giudiziaria – dichiarando inammissibile la domanda di ricalcolo della prestazione pensionistica per i ratei collocati oltre il triennio antecedente alla domanda giudiziale.
8.2. Questa Corte anche di recente (cfr. da ultimo Cass. n. 24555 del 2023 ma già Cass. n. 17 e 430 del 2021, nn. 123, 4858 e 38015 del 2022) con riferimento ad analoga questione ha ribadito che nel caso di richiesta di adeguamento o di ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute la decadenza definisce una volta per tutte, anche nell’interesse della stabilità dei conti pubblici, l’ammontare della prestazione da erogare, e tuttavia essa è ipotizzabile solo in quei casi in cui la prestazione nel suo nucleo essenziale sia comunque riconosciuta e mantenuta, trattandosi di prestazione costituzionalmente protetta ed imprescrittibile.
8.3. Si è ricordato che l’art. 47, comma 6, nel suo tenore letterale, estende alle azioni di riliquidazione i commi 2 e 3, in relazione ai quali il D.L. n. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito in legge 1 giugno 1991, n. 166, chiarisce che il decorso dei termini previsti dal citato D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, commi 2 e 3, “determina l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l’inammissibilità della
relativa domanda giudiziale”, precisando poi che in caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo i termini decorrono dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei. In relazione alla natura del termine decadenziale in genere, esso è stato riferito ai singoli ratei (vedi Cass. n. 13104 del 2003, n. 152 del 1999 e n. 2364 del 2004), in ragione della loro autonoma cadenza temporale.
8.4. L’art. 6 non riguarda però solo la domanda di pensione, e dunque il caso in cui la pensione sia negata in toto, ma ha portata generale, potendo dunque applicarsi anche alla domanda di riliquidazione. Ciò è confermato proprio dal D.L. n. 98 del 2011, art. 38, che ha modificato la disciplina del 1970, sia aggiungendo all’art. 47 un comma 2, secondo cui le decadenza si applica alle azioni giudiziarie avente oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito, sia aggiungendo, dopo l’art. 47, un art. 47-bis, a norma del quale “si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronuncia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui alla L. 9 marzo 1988, n. 88, art. 24, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni”.
8.5. L’intento del legislatore, anche in tema di ricalcoli pensionistici, è dunque quello di continuare a incidere unicamente sui ratei pregressi e tale interpretazione trova conferma anche dai lavori preparatori e dalla relazione che accompagna l’art. 38, dove si afferma che a differenza del diritto al trattamento pensionistico, di per sé imprescrittibile, il diritto ai singoli reati è considerato soggetto a prescrizione in quanto considerato dalla giurisprudenza di contenuto esclusivamente
patrimoniale, periodicamente risorgente e limitatamente disponibile.
8.6. L’interpretazione che limita ai ratei l’applicazione dei termini di prescrizione e decadenza anche nel caso di riliquidazioni è in linea con i principi affermati in materia dalla Corte Costituzionale, che ha sempre ritenuto il diritto a pensione come diritto fondamentale, irrinunciabile, imprescrittibile e non sottoponibile a decadenza, in conformità di principio costituzionalmente garantito che non può comportare deroghe legislative (tra le altre, Corte Costituzionale 26 febbraio 2010 n. 71, Corte Costituzionale 22 luglio 1999 n. 345, Corte Costituzionale 15 luglio 1985 n. 203).
8.7. Una diversa interpretazione (che applicasse la decadenza all’intera pretesa di rideterminazione travolgendo i ratei futuri ed infra triennali) sarebbe del resto incompatibile con la Costituzione tutte le volte in cui la misura della prestazione riconosciuta o pagata non salvaguardi il nucleo essenziale della prestazione, come nel caso che solo una parte esigua della prestazione sia riconosciuta e pagata dall’ente previdenziale. Per tali casi, ritenere il diritto alle differenze pensionistiche perduto per decadenza comporterebbe di fatto la vanificazione del diritto alla pensione, in netto contrasto con la Cost., art. 38.
8.8. Sarebbe peraltro non agevole individuare (per ciascuna prestazione periodica), in difetto di criteri legali o costituzionali espliciti, quale sia il nucleo essenziale della prestazione pensionistica non comprimibile; l’applicazione della decadenza della domanda di riliquidazione ai soli ratei pregressi oltre il triennio e non all’intera pretesa del privato attua, del resto, un giusto equilibrio tra il diritto alla pensione e l’obiettivo decorso del tempo assicurato dalla decadenza mobile, che comunque sanziona il pensionato in modo significativo con la perdita
dell’integrazione dei ratei ultra triennali rispetto alla domanda giudiziale.
8.9. Per converso, alcun bilanciamento tra gli opposti interessi sarebbe assicurato dall’accoglimento della tesi opposta, che produrrebbe una pensione decurtata per sempre in modo contra legem, con effetto completamente ablativo del diritto alle differenze (a fronte di una situazione di ignoranza del pensionato in ordine all’esatto importo della prestazione, che potrebbe protrarsi per anni) e con incidenza normalmente rilevante su una situazione soggettiva costituzionalmente protetta.
8.10. Si può dunque affermare che, in riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, la decadenza, in considerazione della natura della prestazione, si applichi solo alle differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale, come correttamente ritenuto, nella specie, dalla Corte territoriale.
Quanto al secondo motivo del ricorso incidentale dell’INPS esso è fondato.
9.1. In continuità con i numerosi precedenti di questa Corte di cassazione resi in fattispecie analoghe (a partire da Cass. 36056 del 2022 e sino alla più recente Cass. 24555 del 2023) la censura è ammissibile, contrariamente a quanto eccepito dal controricorrente, posto che nessun giudicato interno si è formato in ordine alla perdurante vigenza, anche per tale quota, del limite previsto dall’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971 che rappresenta un tema ancora controverso.
9.2. La questione è relativa ai trattamenti pensionistici dei lavoratori dello spettacolo, oggi corrisposti dalla Gestione
speciale del Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo dopo il subentro all’Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i lavoratori dello spettacolo (RAGIONE_SOCIALE), in virtù del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 21 convertito, con modificazioni, nella L. 22 dicembre 2011, n. 214.
9.3. La “quota A” corrisponde “all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolate con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile” (D.lgs. n. 503 del 1992, art. 13, lett. a).
9.4. La “quota B” corrisponde, invece, “all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993” (citato D.lgs. n. 503 del 1992, art. 13, lett. b); la retribuzione giornaliera pensionabile, per la quota in esame, è variamente modulata nei tre gruppi in cui i lavoratori dello spettacolo risultano oggi suddivisi.
9.5. Quanto al calcolo della “quota B”, nel limite alla retribuzione giornaliera pensionabile di cui al D.P.R. n. 1420 del 1971, art. 12, comma 7, il consolidato orientamento di questa Corte di cassazione ha confermato la perdurante operatività del limite alla retribuzione giornaliera pensionabile anche per la “quota B” della pensione, in ragione del fatto che: la disposizione non ha formato oggetto di un’abrogazione espressa.
9.6. Il massimale di cui al D.P.R. n. 1420 del 1971, art. 12, comma 7, è rimasto inalterato nell’avvicendarsi delle riforme del sistema previdenziale, che hanno investito anche il settore dei
lavoratori dello spettacolo, in linea rispetto alla “politica di contenimento della spesa pubblica” e alle esigenze di “risanamento delle gestioni previdenziali” (Corte costituzionale, sentenza n. 173 del 1986, punto 10 del Considerato in diritto), è l’espressione di una scelta discrezionale del legislatore e costituisce il punto di equilibrio tra i contrapposti interessi. Compete infatti al legislatore la facoltà di individuare come base di calcolo della pensione una misura della retribuzione, inferiore a quella effettivamente percepita dal lavoratore (sentenza n. 202 del 2008). Il D.lgs. n. 503 del 1992, nel tracciare quella linea di demarcazione tra la “quota A” e la “quota B” che è rilevante nel presente giudizio, non incide sul limite oggi contestato e neppure la L. n. 335 del 1995 abroga in maniera espressa il tetto della retribuzione giornaliera pensionabile. L’art. 1, comma 22, ha conferito al Governo una delega per l’armonizzazione dei regimi pensionistici operanti presso l’ENPALS, delega esercitata con il D.lgs. n. 182 del 1997 ove non si rinviene traccia di un esplicito superamento di tale regime per la “quota B.
9.7. Il legislatore delegato ha mantenuto questo elemento imprescindibile del regime previdenziale in esame, rimodulando in termini generali il limite alla retribuzione giornaliera pensionabile (D.lgs. n. 182 del 1997, art. 1, comma 10), senza alcuna specificazione volta a circoscrivere alla “quota A” l’operatività delle innovazioni. Ciò esclude l’incompatibilità tra le nuove e le vecchie disposizioni di legge, che “si verifica solo quando tra le norme considerate vi sia una contraddizione tale da renderne impossibile la contemporanea applicazione, cosicché dalla applicazione ed osservanza della nuova legge non possono non derivare la disapplicazione o l’inosservanza
dell’altra (Cass. n. 1429 del 2002, n. 10053 del 2002)” (cfr. Cass. 13/10/2022 n. 29974).
9.8. Non rileva che l’applicazione del “massimale pensionabile” anche alla “quota B” consenta d’impiegare solo in parte la tabella del citato D.lgs. n. 503 del 1992, art. 12 e implichi l’irrilevanza della terza e della quarta aliquota di rendimento; infatti, la tabella allegata al D.lgs. n. 503 del 1992 ha valenza generale e non è calibrata in via esclusiva sul regime del personale appartenente al settore dello spettacolo, operando nel rispetto dei limiti che tale regime contempla, in virtù della descritta disciplina speciale. La retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione annua pensionabile previsto per l’assicurazione generale obbligatoria in esame è computata secondo le aliquote decrescenti di cui alla tabella allegata e la quota aggiuntiva così calcolata diviene parte integrante della pensione; il regime previdenziale dei lavoratori dello spettacolo presuppone l’indicazione legislativa, univoca e vincolante, di un massimale della retribuzione pensionabile e di un massimale contributivo; per i lavoratori, come il controricorrente, già iscritti al Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo alla data del 31 dicembre 1995, il massimale contributivo permane, nei termini definiti dal D.lgs. n. 182 del 1997, art. 1, comma 8: le aliquote contributive “si applicano integralmente sulla retribuzione giornaliera non eccedente il limite massimo di Lire 1.000.000.
9.9. Fermo restando il disposto di cui al D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420, art. 2, comma 5, qualora la retribuzione giornaliera sia superiore a Lire 1.000.000 l’aliquota contributiva è dovuta sul massimale di retribuzione giornaliera imponibile corrispondente a ciascuna fascia ed è accreditato un numero di giorni di contribuzione, con un massimo di otto, secondo
l’allegata Tabella A fino al raggiungimento di 312 giornate annue superate le quali si applica la previgente normativa.
9.10. Sulla parte di retribuzione eccedente il massimale di retribuzione imponibile relativo a ciascuna fascia, si applica un contributo di solidarietà nella misura del 5 per cento di cui 2,50 per cento a carico del datore di lavoro e 2,50 per cento a carico del lavoratore”.
9.11. Dunque, la retribuzione soggetta a prelievo contributivo è più elevata rispetto alla retribuzione giornaliera pensionabile. Per il personale che sia iscritto al Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo in data successiva al 31 dicembre 1995 o che eserciti l’opzione per il sistema contributivo (D.lgs. n. 182 del 1997, art. 1, comma 14), si applica il massimale annuo della base contributiva e pensionabile di Lire 132 milioni, secondo le modalità stabilite, con valenza generale, dalla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 18. L’indiscriminata abolizione, per la “quota B”, di un limite massimo della retribuzione giornaliera pensionabile darebbe adito a una situazione rovesciata rispetto a quella che la Corte costituzionale ha vagliato nella già menzionata sentenza n. 202 del 2008.
9.12. La Corte costituzionale ha affermato che tale divario non è di per sé lesivo dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza e di adeguatezza e di proporzionalità della tutela previdenziale, “purché una certa proporzionalità venga assicurata e, soprattutto, non sia compromessa la realizzazione delle finalità di cui all’art. 38 Cost.” (sentenza n. 202 del 2008, punto 2 del Considerato in diritto), posto che non vi è “necessaria corrispondenza tra i contributi versati e le prestazioni erogate” (sentenza n. 202 del 2008, punto 2), in quanto l’adempimento dell’obbligo contributivo trascende l’interesse del singolo soggetto protetto e non obbedisce a una logica meramente
corrispettiva (sentenza n. 173 del 1986, punto 10 del Considerato in diritto). Né lo “squilibrio di notevole entità che esisterebbe tra la misura del tetto pensionabile e quella, all’incirca tripla, della retribuzione assoggettata a contribuzione” pregiudica quelle esigenze minime di protezione della persona, che s’impongono come nucleo intangibile anche alla discrezionalità del legislatore (sentenza n. 202 del 2008, il già richiamato punto 2 del Considerato in diritto), chiamato a tener conto delle risorse finanziarie disponibili. Alla disarmonia denunciata non potrebbe comunque porre rimedio la Corte costituzionale, in quanto un intervento di tal fatta implicherebbe “valutazioni e bilanciamenti di interessi comportanti scelte politiche che, nei limiti del rispetto dei diritti fondamentali, competono al legislatore” e richiederebbe una pronuncia manifestamente manipolativa; quanto alla disparità di trattamento con il regime dell’assicurazione generale obbligatoria, la Corte costituzionale ha rilevato che lo squilibrio denunciato sussiste, in termini generali, con riguardo a entrambe le quote di pensione.
9.13. Inoltre, il sistema, che impone il pagamento della contribuzione in misura piena fino ad un certo importo (Lire 1.000.000) e, per l’eccedenza, il versamento di un mero contributo di solidarietà, non potrebbe combinarsi con l’eliminazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile, posto che ad una disciplina, che ancora fissa ratione temporis un limite alla retribuzione imponibile a fini contributivi, è coessenziale la presenza di un limite alla retribuzione pensionabile.
9.14. La fissazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile contribuisce a comporre i diversi interessi di rilievo costituzionale e si colloca in “un sistema ampiamente favorevole
per gli iscritti, quanto all’entità delle prestazioni ed alle condizioni di accesso, rispetto a quello della generalità dei lavoratori assicurati presso l’INPS; di talché non è possibile lamentare il semplice dato della diversità esistente tra retribuzione soggetta a prelievo contributivo e retribuzione pensionabile senza tenere presente l’intero sistema previdenziale in cui detta previsione si inserisce” (Corte costituzionale, sentenza n. 202 del 2008, punto 3 del Considerato in diritto); tale regime previdenziale, che prescinde dalla natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro e dal settore di appartenenza dell’impresa, è contraddistinto dall’accredito di contributi d’ufficio, da un accesso alle pensioni di vecchiaia, che è anticipato per talune figure rispetto ai regimi ordinari, dall’erogazione di uno specifico trattamento d’invalidità professionale; la specialità, tuttavia, non si può tramutare nell’introduzione di un regime d’incongruo favore o nella configurazione di un sistema previdenziale che, di questa specialità, riproduca solo gli aspetti più convenienti, disgiunti dal complessivo bilanciamento attuato dal legislatore al fine di garantire la sostenibilità del sistema globalmente inteso. In questa prospettiva, si coglie la giustificazione del permanere del limite in quanto tanto l’abolizione del limite quanto l’introduzione di un limite meno rigoroso determinerebbero irragionevoli disparità tra il calcolo delle due quote, caratterizzate da limiti sensibilmente diversi anche nell’interpretazione correttiva perorata dal controricorrente. Non si attuerebbe quel “bilanciamento tra i metodi di calcolo delle due quote”, delineato nella sentenza impugnata; per il calcolo della “quota B”, il legislatore, con il D.lgs. n. 503 del 1992, ha introdotto criteri più rigidi, in una prospettiva di contenimento della spesa previdenziale e sarebbe in antitesi con le linee ispiratrici degl’interventi di riforma, ipotizzare che, per i
lavoratori dello spettacolo, la determinazione della “quota B” sia improntata a criteri più favorevoli, disancorati da ogni limite alla retribuzione giornaliera pensionabile o commisurati a un limite notevolmente meno severo rispetto alla “quota A”; inoltre, un sistema, che superi il massimale della retribuzione giornaliera pensionabile e perpetui l’operatività di una retribuzione massima imponibile a fini contributivi, sarebbe disarmonico rispetto alla legge di delegazione, che non soltanto non racchiude indicazioni di sorta in ordine a tale superamento, ma vincola il legislatore a salvaguardare le esigenze di equilibrio delle gestioni previdenziali.
9.15. L’indiscriminato superamento del massimale della retribuzione giornaliera pensionabile, a fronte del permanere di un massimale contributivo, porrebbe a repentaglio quelle esigenze di equilibrio che la legge di delegazione ha enunciato come criterio direttivo cogente. Tale criterio direttivo non può non orientare anche l’opera dell’interprete, chiamato ad assicurare la compatibilità del D.lgs. con i principi e i criteri direttivi prescritti dal delegante e, di conseguenza, con la Carta fondamentale (art. 76 Cost.). nell’esame del D.lgs. n. 182 del 1997, questa Corte di cassazione, sia pure con riguardo alla diversa questione dell’incidenza dello ius superveniens sulle pensioni già liquidate, ha posto l’accento sulla necessità di un’interpretazione conforme ai principi e criteri direttivi della legge di delegazione, rimarcando che “quale canone ermeneutico preminente, il principio di supremazia costituzionale (…) impone all’interprete di optare, fra più soluzioni astrattamente possibili, per quella che rende la disposizione conforme a Costituzione” (Cass., sez. lav., 24 febbraio 2006, n. 4163); né si può ribattere che la gestione RAGIONE_SOCIALE, allorché è stata inglobata nell’INPS, non registrasse disavanzi di sorta, posto che il dato testuale indica l’esigenza di
salvaguardare l’equilibrio delle gestioni previdenziali, esigenza che s’impone anche come criterio interpretativo delle disposizioni adottate dal legislatore delegato.
Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte territoriale, nel ritenere oramai superato, per la “quota B” della pensione, il limite alla retribuzione giornaliera pensionabile di cui al D.P.R. n. 1420 del 1971, art. 12, comma 7, è incorsa nell’errore di diritto denunciato dal l’I stituto ricorrente in via incidentale.
Ne consegue che il secondo motivo del ricorso incidentale va accolto e con riguardo ad esso la sentenza impugnata deve essere cassata, mentre va rigettato il primo motivo del ricorso principale e rimane assorbito l’esame del secondo motivo del ricorso principale.
Per l’effetto l a causa dev’essere rinviata alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si uniformerà al seguente principio di diritto: “Nella determinazione della “quota B” della pensione, relativa alle anzianità maturate successivamente al 31 dicembre 1992 dai lavoratori iscritti al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo in data anteriore al 31 dicembre 1995, non si prendono in considerazione, ai fini del calcolo della retribuzione giornaliera pensionabile, per la parte eccedente, le retribuzioni giornaliere superiori al limite fissato dal D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420, art. 12, comma 7, così come da ultimo modificato dal D.lgs. 30 aprile 1997, n. 182, art. 1, comma 10. Tale limite non è stato abrogato per incompatibilità dal medesimo D.lgs. n. 182 del 1997, art. 4, comma 8″. Al giudice del rinvio è demandata, inoltre, la liquidazione delle spese del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale rigettato il primo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale ed assorbito il secondo motivo del ricorso principale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 luglio 2024