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Mansioni superiori retribuzione: spetta l’indennità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 7818/2025, ha stabilito che al dipendente pubblico che svolge mansioni superiori spetta l’intera retribuzione dirigenziale, compresa l’indennità di posizione. A differenza di quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, tale indennità non è un compenso variabile legato alla performance, ma un emolumento fisso connesso alla funzione. Pertanto, la sua quantificazione può essere provata per riferimento a quella percepita da altri dirigenti con incarichi analoghi. Il caso riguarda un funzionario della Polizia Municipale a cui erano state affidate responsabilità dirigenziali. La Cassazione ha cassato la sentenza d’appello che aveva escluso tale indennità dal calcolo delle differenze retributive, rinviando la causa per una nuova decisione.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Mansioni superiori retribuzione: spetta l’indennità di posizione?

Il riconoscimento della corretta mansioni superiori retribuzione nel pubblico impiego è un tema cruciale che tocca i principi di equità e proporzionalità del compenso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: al lavoratore che svolge mansioni dirigenziali spetta la retribuzione completa, inclusa l’indennità di posizione, che non può essere considerata un compenso variabile legato alla performance.

I Fatti di Causa

Un funzionario di Polizia Municipale di un grande Comune italiano si è trovato a svolgere, per un periodo di oltre un anno, le funzioni di responsabile di una macrostruttura territoriale. Questo incarico, per sua natura, comportava responsabilità e compiti di livello dirigenziale, ben superiori a quelli del suo inquadramento formale.

Di conseguenza, il funzionario ha agito in giudizio per ottenere il riconoscimento delle differenze retributive corrispondenti al superiore livello dirigenziale. Mentre il Tribunale di primo grado aveva respinto la sua richiesta, la Corte d’Appello aveva parzialmente accolto le sue ragioni.

La Decisione Parziale della Corte d’Appello

I giudici di secondo grado avevano riconosciuto il diritto del lavoratore a percepire un trattamento economico superiore, ma avevano escluso dal calcolo una componente fondamentale: l’indennità di posizione. La motivazione di tale esclusione risiedeva nella presunta natura variabile di questo emolumento. Secondo la Corte territoriale, l’indennità sarebbe legata alla performance individuale e al raggiungimento di specifici obiettivi, elementi che il lavoratore non avrebbe provato in modo specifico. Pertanto, il suo calcolo era stato rimandato a un separato giudizio, di fatto negandone l’immediata liquidazione.

Le motivazioni della Cassazione sul diritto alla retribuzione per mansioni superiori

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la visione della Corte d’Appello, accogliendo il ricorso del funzionario. I giudici supremi hanno chiarito la natura giuridica dell’indennità di posizione, specificando che essa non ha carattere variabile legato alla performance.

Al contrario, l’indennità di posizione è un emolumento accessorio intrinsecamente legato all’acquisizione dell’incarico e all’esercizio delle relative funzioni e responsabilità. Il suo importo è predeterminato e omogeneo rispetto a quello attribuito ad altri dirigenti che svolgono funzioni analoghe. Non si tratta, quindi, di un premio di risultato, ma di una parte fissa della retribuzione che compensa il peso e la complessità dell’incarico dirigenziale.

Sulla base di questo principio, la Corte ha affermato che la prova della sua quantificazione non richiede la dimostrazione del raggiungimento di obiettivi specifici. È invece sufficiente fare riferimento agli importi percepiti da altri dirigenti investiti di funzioni simili all’interno della stessa amministrazione. Questa prova era stata, di fatto, fornita dal lavoratore.

Conclusioni

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, affinché proceda a una nuova valutazione che includa, nel calcolo delle differenze retributive, anche l’indennità di posizione. Questa decisione riafferma un principio di giustizia sostanziale: chi svolge mansioni superiori ha diritto alla totalità del trattamento economico corrispondente, senza esclusioni ingiustificate. Per i dipendenti pubblici, ciò significa che l’amministrazione non può negare componenti fisse della retribuzione superiore adducendo una loro presunta variabilità, quando invece sono strettamente connesse al ruolo e alle responsabilità effettivamente assunte.

Un dipendente pubblico che svolge mansioni superiori ha diritto alla piena retribuzione del livello più alto?
Sì, la sentenza conferma che l’assunzione di un ruolo dirigenziale, con le relative funzioni e responsabilità, comporta il diritto a percepire l’intero trattamento economico previsto per quella posizione, in applicazione del principio di adeguatezza della retribuzione sancito dall’art. 36 della Costituzione.

L’indennità di posizione è considerata una parte fissa o variabile della retribuzione dirigenziale?
La Corte di Cassazione chiarisce che l’indennità di posizione non è un compenso variabile legato alla performance individuale o al raggiungimento di obiettivi. È invece un emolumento accessorio fisso, predeterminato e legato all’acquisizione dell’incarico e all’esercizio delle relative responsabilità.

Come può un lavoratore dimostrare l’importo dell’indennità di posizione a cui ha diritto?
Secondo la Corte, la prova può essere fornita in modo adeguato facendo riferimento agli importi attribuiti ad altri dirigenti che, all’interno della stessa amministrazione, sono investiti di funzioni analoghe. Non è necessario provare il conseguimento di specifici obiettivi individuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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