Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23194 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23194 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16195-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4573/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/12/2021 R.G.N. 2098/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Con la sentenza n. 4573/2021 la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa
Oggetto
Qualifica -mansioni rapporto privato
R.G.N. 16195/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
sede, ha dichiarato che NOME COGNOME aveva svolto, a decorrere dal 22 marzo 2004 mansioni dirigenziali inquadrabili nella qualifica di Dirigente di ‘S taff ‘ e, per l’effetto, condannava l’ANAS S.p.a. al pagamento, a titolo di differenze retributive, della somma complessiva di euro 118.967,67 e al conseguente accantonamento della relativa quota di TFR, oltre accessori e spese di lite.
I giudici di seconde cure, dopo avere riportato le declaratorie dell’Area Quadri (in cui era formalmente inquadrato il Maestri) con i diversi profili del CCNL ANAS nonché la definizione di Dirigente e dopo avere individuato le relative differenze, rilevavano che, a differenza di quanto ritenuto dal primo giudice, dalle risultanze processuali era emerso che sia la centralità dei Settori di cui il Maestri era a capo, sia l’attività da questi svolta, costituita dalla emissione di circolari e note aventi carattere generale, erano indicative di un affidamento continuativo di incarichi di responsabilità e di alta professionalità; precisavano, poi, che dal trimestre successivo al conferimento dell’incarico di Responsabile del Settore Espropri e Catasto (avvenuto nel dicembre 2003) andavano riconosciute le funzioni di Dirigente di ‘Staff’ in area centrale, secondo la graduazione stabilita dall’art. 5 CCNL per la dirigenza e quantificavano, infine, l’importo dovuto, dopo avere espletato una consulenza tecnica contabile ed avere esaminato i rilievi delle parti, in euro 118.967,67.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione affidato ad un solo articolato motivo cui resisteva con controricorso NOME COGNOME
Le parti depositavano memorie.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
Con l’unico articolato motivo la società denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 del CCNL ANAS Dirigenti 2000 e successive modifiche ed integrazioni nonché la violazione e falsa applicazione dell’ar t. 2103 cc e degli artt. 2697 cod. civ. e 116 cpc. L’ANAS obietta, in sostanza, che la Corte territoriale aveva male interpretato i documenti in atti da cui aveva fatto discendere la centralità della Struttura cui era stato preposto il Maestri; lamenta che era stato omesso il richiamo al testo delle relative declaratorie, senza eseguire il raffronto tra le stesse; si duole, infine che non erano state ammesse le prove testimoniali da essa società articolate.
Il motivo non è meritevole di accoglimento presentando profili di inammissibilità e di infondatezza.
In punto di diritto, infatti, deve rilevarsi che la Corte distrettuale ha correttamente svolto il procedimento logicogiuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato: procedimento che si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini; ai fini dell’osservanza di tale procedimento, è necessario che, pur senza rigide formalizzazioni, ciascuno dei suddetti momenti di ricognizione e valutazione trovi ingresso nel ragionamento decisorio, configurandosi, in caso contrario, il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., per l’errata applicazione dell’art. 2103
c.c. ovvero, per il pubblico impiego contrattualizzato, dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 (per tutte Cass. n. 30580/2019).
In ossequio a tale principio, la gravata pronuncia, alle pagg. 3, 4 e 5, ha riportato la declaratoria di Quadro, prevista dal CCNL ANAS, sviluppata in relazione ai profili rilevanti, nonché la definizione di Dirigente, come prevista dalla legge, individuando le differenze (pag. 7) nel fatto che i Dirigenti sono i prestatori di lavoro che ricoprono nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano le loro funzioni al fine di promuovere coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi di impresa, mentre i Quadri sono i lavoratori che svolgono con carattere di continuità, con un grado elevato di capacità gestionale, organizzativa e professionale funzioni di rilevante importanza, con responsabilità diretta di autonomia decisionale ai fini dello sviluppo e della attuazione degli obiettivi stabiliti dall’azienda.
Tale statuizione è in linea con quanto affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria secondo cui il ‘Quadro’ è il lavoratore subordinato preposto, formalmente o di fatto, a un singolo settore, ramo o servizio dell’organizzazione aziendale, con supremazia gerarchica e responsabilità circoscritte a quel settore, ramo o servizio, entro il quale non si limita a trasmettere ordini ed a curarne l’esecuzione, ma ha il compito di attuare le direttive impartitegli dall’imprenditore o da un dirigente, mentre ‘Dirigente’, tecnico o amministrativo, è invece il lavoratore, pure subordinato, che -quale alter ego dell’imprenditoreè preposto alla direzione di tutti i settori, rami e servizi della organizzazione aziendale o di una branca rilevante ed
autonoma di questa, ed esplica le sue mansioni con generale supremazia gerarchica, con ampi poteri di autonomia e piena libertà di determinazione che gli consentono -nel quadro delle direttive generali dell’imprenditore e, quindi, senza l’obbligo di chiedere di volta in volta a quest’ultimo particolari istruzioni e consensi – di imporre, nell’ambito delle finalità perseguite dalla impresa, i propri discrezionali poteri di disposizione cosi da influenzare, con la sua opera, l’intera vita dell’azienda, tanto nel suo interno quanto nei rapporti con i terzi.
In punto di fatto, poi, con un accertamento di merito adeguatamente motivato e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità, la Corte di appello ha sottolineato che, dal dicembre del 2003, nell’ambito della nuova organizzazione aziendale della Direzione Centrale del Lavoro, il COGNOME ebbe l’incarico di Capo del Settore Espropri e contestualmente di Capo del Settore Catasto Strade: due settori centrali e rilevanti, con funzioni di coordinamento e di supervisione tecnica per gli altri Responsabili dei procedimenti di servizio.
Inoltre, la Corte territoriale ha ritenuto dirimente, ai fini del riconoscimento delle funzioni dirigenziali all’originario ricorrente, la circostanza che questi avesse il potere di emanare circolari e note aventi carattere generale: atti, cioè, di organizzazione e di indirizzo diretti ai Direttori centrali, ai Capi Compartimento e ai Dirigenti tecnici, a firma congiunta sua e del Direttore Generale e/o dell’Ispettore Generale.
Sulla base di tali premesse non pare dubbio che la valutazione compiuta dal giudice di secondo grado si sottragga alle censure che le sono state mosse con il motivo in esame, atteso che: a) la Corte ha esaminato concretamente e in maniera compiuta le attività svolte dal
lavoratore; b) ha fatto espresso riferimento alle declaratorie contrattuali “delle due categorie a confronto”, già oggetto di completo richiamo nella sentenza oggetto di gravame; c) ha dimostrato di avere ben presenti i tratti differenziali che distinguono la nozione di Quadro da quella di Dirigente.
Infondata, infine, è anche la doglianza riguardante la omessa ammissione della prova testimoniale diretta a dimostrare che, in un contesto di mansioni non facilmente riconoscibili, la società aveva diritto a provare le proprie deduzioni per contrastare l’a vversa pretesa.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, il giudizio sulla superfluità o sulla genericità di una prova per testimoni è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto, che, tuttavia, può essere censurata se basata su erronei principi giuridici ovvero su incongruenze di carattere logico (Cass., sez. 1, 10/08/1962, n. 2555; Cass., sez. 3, 06/09/1963, n. 2450; Cass., sez. 3, 16/11/1971, n. 3284; Cass., sez. 3, 24/02/1987, n. 1938; Cass., sez. 2, 10/09/2004, n. 18222; Cass., sez. L, 21/11/2022, n. 34189).
Tanto non si è verificato, nel caso di specie, perché i giudici di seconde cure hanno ritenuto raggiunta la prova delle mansioni superiori sulla base della documentazione in atti e, quindi, si verte in un evidente caso di rigetto implicito di prove orali volte a dimostrare, peraltro, lo svolgimento di mansioni inferiori rispetto a quelle risultanti dagli stessi documenti di parte datoriale.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 aprile 2025